Camminava da quasi un'ora ormai, in una notte buia e quasi tempestosa. Faceva un freddo cane, con un vento teso e gelido che le sferzava il volto al punto che sembrava volesse spaccarlo, e che le faceva battere i denti con tanta violenza che aveva paura andassero in frantumi da un momento all'altro. Per fortuna aveva una giacca a vento che le permetteva di riparare almeno le mani nelle calde tasche. Non aveva incontrato nemmeno un'auto, né in un senso né nell'altro, camminava da quasi un'ora e l'unico essere vivente nel quale si era imbattuta era un non meglio identificato animale a quattro zampe, che all'improvviso le aveva attraversato la strada circa quindici minuti prima procurandole non poca strizza. Si erano guardati negli occhi alcuni istanti, poi l'animale aveva fatto un giro su se stesso ed era sparito, lasciando in sospeso la domanda su chi fosse l'indigeno e chi l'invasore, chi la potenziale vittima e chi l'ipotetico carnefice.
Una folata di vento particolarmente freddo le fece svolazzare la chioma bionda e lacrimare gli occhi azzurri, come reazione naturale si strinse il bavero della giacca attorno al collo e sprofondò il più possibile le mani rattrappite nelle tasche. Più di una persona di sua conoscenza avrebbe avuto qualcosa da ridire a vederla camminare da sola in una notte simile, specialmente con quello che stava succedendo in quella zona. Ma era successo, e lei non aveva nessuna colpa.
Guardò in alto; il cielo era stranamente limpido, nonostante il mercurio della colonnina che indicava la temperatura doveva aver preso stabilmente posizione ben al di sotto dello zero. La luna era piena e luminosa, un tempo da lupi. Ricordò di come da bambina non riuscisse a capire come a volte potesse fare così freddo con il sole, o comunque quando non c'erano nubi nel cielo. A quell'età era normale fare l'associazione freddo-cielo nuvoloso. Fino a quando qualcuno non le spiegò che proprio l'assenza di nuvole impediva che il calore del sole si accumulasse fra la superficie terrestre e l'atmosfera qualcosa che non viene trattenuto e si perde, non permettendo quello che in seguito sarebbe stato tristemente famoso come "effetto serra". Era passato del tempo dal giorno in cui ricevette quella spiegazione, e ne erano successe di cose da allora: da bambina era diventata ragazza e da ragazza era diventata donna. In più di un'occasione aveva avuto l'impressione che la vita le stesse scivolando addosso. Ma lei non era certo il tipo da perdersi d'animo e da compiangersi.
Anche in quella situazione pensò che ben poche sarebbero dove ora si trovava lei, specie con quella banda di pazzi scatenati che sembrava all'opera nella zona. Tornò a guardare la luna piena splendente nel cielo. Abbozzò un sorriso quando pensò ai film sui lupi mannari; la sua sembrava proprio una situazione classica di uno di quei film: una ragazza sola ed indifesa, una notte buia, fredda e deserta, il primo essere vivente rappresentante della razza dominante sul pianeta poteva essere a chilometri di distanza, ed in più, non ultima, la probabile presenza di non uno, ma di un'intera banda di pazzi criminali assetati di sangue. E non solo in senso figurato.
Già perché, nonostante la presenza della luna piena alta nel cielo che avrebbe potuto farlo pensare, non era dei lupi mannari che ci si sarebbe dovuti preoccupare se si fosse avuta la sventura di passare in quella zona. Non dei lupi mannari, ma dei vampiri. O meglio, visto che per una comune opinione generalmente condivisa i vampiri non esistono, di una banda di pazzi maniaci convinti, magari in buona fede, di essere diretti discendenti del conte più famoso del cinema dell'orrore. Sapete di che genere di persone si tratta, no? Di quei fanatici che si fanno limare i canini, che dormono nelle bare e non escono mai con la luce del sole, questo genere di cose. Di solito queste persone non fanno male a nessuno, si limitano ad una condotta di vita non molto ortodossa ma non fanno seguire i fatti alla loro secolare sete di sangue. Al massimo uccidono qualche piccolo animale per berne il sangue, oppure si feriscono a vicenda a si succhiano le vene tra loro, e così alla fine la loro presunta immortalità viene spazzata via da qualche malattia infettiva. Altre volte la loro ossessione ha radici più profonde, più organiche; magari si tratta di emofiliaci, o di persone affette da una particolare e patologica ipersensibilità alla luce del giorno. Niente di non spiegabile scientificamente, ma queste persone si convincono di essere delle vere e proprie creature della notte, e si comportano di conseguenza.
Ma le persone di cui si trattava erano di ben altra pasta. Loro avevano dato libero sfogo alla loro sete di sangue. I cadaveri di più dieci ragazze erano stati ritrovati abbandonati lungo il margine di qualche strada o in qualche discarica. E non avevano più una goccia di sangue in corpo. Come abbiamo già detto: per una comune opinione generalmente condivisa i vampiri non esistono, quindi dalle prime battute del caso si è cominciato a pensare che le vittime fossero state dissanguate con sistemi più... come dire... concepibili, che non il vecchio caro morso dato con i canini appuntiti dei film degli anni cinquanta. Poi era anche possibile che quei pazzi avessero bevuto il sangue, ma non era certo direttamente dalle giugulari delle vittime che lo facevano.
Infatti divenne subito chiaro che le ferite attraverso le quali le vittime erano state private del sangue, guardacaso due piccoli buchi fatti a lato del collo, erano state inferte con un qualche tipo di strumento metallico, forse una specie di grossa siringa, o qualcosa di simile. A dire il vero nei primi casi sui corpi delle povere ragazze erano state trovate tracce di morsi umani, ma le conseguenze erano state ben diverse da quelle volute dal sedicente vampiro di turno: la carne appariva lacerata e le venne rotte e slabbrate, non punte, come vorrebbe la tradizione dei figli della notte. In effetti il fatto che per una comune opinione generalmente condivisa i vampiri non esistono non ha impedito che sull'argomento si versassero fiumi di sangue... pardon... d'inchiostro. Da questi studi si è scoperto che i vampiri hanno, o dovrebbero avere, i canini di una particolare conformazione: oltre ad essere aguzzi sono dotati di un foro all'interno che permette di succhiare il sangue delle vittime dopo averle morse. Quindi la polizia ha subito pensato che quei pazzi avessero fatto ricorso ad un surrogato del morso vampiresco dopo essersi resi conto che non avrebbero mai potuto ricreare perfettamente le dentature delle creature del crepuscolo, carie comprese. I canini si possono limare, ma non si può fare niente per trasformarli in una sorta di cannuccia.
Semplici uomini quindi, pazzi maniaci probabilmente, spietati assassini sicuramente. Comunque gente che la maggior parte delle persone sane di mente preferirebbe non incontrare da sola e di notte, specie senza un paletto di frassino a portata di mano... no scusate... volevo dire... una pistola.
Mio Dio, quanti anni poteva avere quella ragazza, sedici? Forse diciassette, ma non poteva essere maggiorenne. Eppure quei bastardi non avevano avuto nessuno scrupolo a toglierle anche l'ultima goccia di sangue dalle vene. Aveva visto per la prima volta le foto durante quella che era diventata una delle occupazioni principali degli esponenti della sua generazione: navigando di notte su internet. Sapete come vanno questo genere di cose: c'è sempre qualche fotografo che ha gli agganci giusti nella polizia, che viene avvertito prima degli altri e che ha finito il suo lavoro prima che la zona brulichi di persone che fanno rilievi e formulano ipotesi che il più delle volte si rivelano errate, mentre gli assassini sono già sulle tracce della loro prossima vittima.
Aila, nonostante fosse ancora relativamente giovane, era convinta di averne viste abbastanza nella sua vita, e credeva che ci fossero ben poche cose che avrebbero avuto ancora il potere di scuoterla. Eppure le foto di quella povera ragazza, senza più una goccia di sangue in corpo, avevano turbato non poco i suoi sogni. A volte sentiva ancora fisicamente il rumore del doppio click che aveva fatto il mouse del suo computer, seguito dopo meno di un secondo da quello sguardo vitreo che pareva fissarla dallo schermo. Era morta così quella ragazza, con gli occhi aperti, e con nessuno che aveva avuto, o potuto avere, la premura di chiuderli. La bocca socchiusa a cercare di sussurrare un'ultima parola che nessuno avrebbe mai sentito. Quale parola si potrebbe mai dire mentre una banda di maniaci assassini ti sta levando il sangue, mentre intorno a te c'è gente che si eccita a sentire la tua sofferenza, che gode al pensiero del momento in cui lo berrà. L'avevano trovata completamente nuda ai margini di un bosco, la sua pelle sembrava di cera, a causa del pallore che aveva invaso le sue membra dissanguate, dava quasi l'impressione che sarebbe stato possibile guardarci attraverso, che sarebbe stato possibile vedere quello che c'era dietro il cadavere se lo si fosse sollevato e messo contro luce. I suoi capelli nerissimi, disposti a raggiera attorno al capo senza vita, contrastavano in maniera incredibile con tutto quel pallore. Pareva impossibile che quei capelli corvini appartenessero alla stessa persona che aveva quella pelle grigia e quegli occhi dello stesso colore. Era la morte che lo rendeva possibile, che rendeva possibile che un corpo caldo di vita divenisse freddo nel giro di pochi minuti, che dei capelli così neri appartenessero alla stessa persona che aveva quella pelle così priva di colore da apparire addirittura trasparente. Era la morte.
Aila si era ritrovata a fissare quello sguardo esangue, incapace di distogliere gli occhi da quello scempio. Per un attimo aveva avuto l'impressione di poter trovare in quegli occhi morti la risposta alle mille domande che gli si affollavano nel cervello. Com'è possibile che in mezzo a noi camminino persone capaci di fare cose simili, quale genere d'infanzia ha potuto mai causare traumi così profondi ed indelebili da scatenare simili mostri? E comunque con quale coraggio ci si potrebbe aggrappare a queste scuse per trovare giustificazioni ad una simile malvagità? Dov'era dio quando quella povera ragazza veniva dissanguata come un maiale sgozzato? Questo genere di domande. Domande che non avranno mai una risposta sensata, ma che non smetteremo mai di farci. Forse l'unico modo per cercare almeno di avvicinarci ad una risposta sensata sta proprio nel non smettere mai di farcele.
In quel sito c'erano foto di tutte le vittime, naturalmente, ma nessuna aveva colpito Aila come quella di quella ragazza dai capelli neri. A volte le vittime erano state ritrovate in condizioni anche peggiori, un paio erano state ritrovate con degli arti mancanti, che poi erano stati rinvenuti non lontani dai corpi, con evidenti tracce di morsi e torture subite prima della morte. In nessuna delle scene dei ritrovamenti, siano essi stati boschi, discariche o semplici stradine poco praticate, erano state ritrovate tracce di sangue. Le vittime ne erano state completamente private, eppure nei luoghi dei ritrovamenti non c'era la minima presenza ematica. Non c'era di che stupirsene eccessivamente: dopotutto era il sangue ciò che gli assassini bramavano, quindi era logico che non lo lasciassero. Ma la totale mancanza di esso sui luoghi poteva significare solo che le vittime venivano abbandonate in un luogo diverso da quello della morte. Probabilmente gli assassini avvicinavano le loro vittime in posti isolati, scegliendo con cura persone ai limiti della società, diseredati, emarginati, persone la cui mancanza sarebbe stata notata dopo giorni, e di cui probabilmente anche allora sarebbe importato poco. Poi le portavano in qualche casa isolata, dove nessuno avrebbe sentito le loro urla, e le dissanguavano, mettendo in essere chissà quale rito demoniaco. Posti isolati... persone di cui importava poco agli altri... sembrava la descrizione perfetta della sua situazione di quel momento. Già perchè Aila non aveva una vita sociale molto attiva, a parte i pochi inevitabili rapporti che doveva coltivare per lavoro. Ma anche per quelli stava bene attenta che non sfociassero in rapporti personali o amicizie che lei sarebbe stata costretta a coltivare anche al di fuori dell'orario lavorativo. Non si piangeva addosso per questo, dopotutto era lei che aveva scelto liberamente quello stato di cose. Non aveva nemmeno qualcosa in particolare contro la società, o almeno niente di più della dose di avversione fisiologica che deriva dal vivere di questi tempi, ma la vita più di una volta l'aveva costretta a rinunciare a persone cui si era affezionata, e lei non voleva farlo mai più.
Persa in questi pensieri Aila non si rese conto di quanta strada avesse percorso negli ultimi minuti. Conosceva molto poco la zona, quindi non aveva modo di sapere se gli ultimi passi l'avessero avvicinata al centro abitato più prossimo o avessero finito per allontanarla ulteriormente. Non poteva far altro che continuare a camminare, prima o poi avrebbe incontrato qualcuno, o sarebbe successo qualcosa. Guardò il cielo, quasi sobbalzò nel constatare quanto si fosse chiuso negli ultimi minuti, non c'era più la minima traccia di stelle nel firmamento, della Luna era rimasto solo un alone sfocato che riusciva a penetrare a fatica le spesse nubi. Quando Aila si accorse che il vento era calato e che tra poco sarebbe cessato completamente, capì che tra qualche minuto si sarebbe dovuta preoccupare anche della pioggia.
Vide una luce nascere ed ondeggiare fra i cespugli che costeggiavano la strada davanti a lei, dopo qualche istante una gigantesca figura umana si stagliò fra quella luminosità. Era troppo grande per essere un uomo, eppure pareva muoversi proprio come un uomo. E sembrava procedere verso di lei. La sorpresa fece sì che Aila impiegasse qualche secondo di troppo per capire che quella luce non era prodotta da nient'altro che dai fari di un'automobile che stava arrivando alle sue spalle, e che la figura che lei aveva scambiato per chissà che cosa non era altro che la sua stessa ombra distorta. Con il cuore che tornava lentamente alla velocità normale, si voltò e vide un'enorme auto bianca che le si avvicinava lentamente. L'auto si fermò e Aila sentì il fruscio del finestrino elettrico che veniva abbassato. "Salve." Disse l'uomo all'interno, era sulla trentina, con i capelli neri che gli ricadevano sulla fronte. "Salve." Rispose meccanicamente Aila.
"Che ci fa una brava ragazza come te sola in un posto come questo ed a quest'ora di notte?" L'uomo si trovava al lato opposto dell'auto e si era chinato sul sedile del passeggero per guardare Aila. Solo allora la ragazza notò il suo sguardo lascivo ed il sorriso da ubriaco che le stava rivolgendo. Era chiaro che l'aveva scambiata per una prostituta.
"La mia auto è in panne." Rispose Aila, dicendo la prima cosa che le passò per la mente.
"Ma davvero?" Ribatté l'uomo. "E dov'è successo?"
Aila cominciò ad essere infastidita da quell'atteggiamento ma cercò di non darlo a vedere. "Circa due chilometri in quella direzione." Rispose tendendo il braccio verso la strada alle sue spalle.
"Strano," Rispose l'uomo con aria di sufficienza. "non ho notato nessuna auto ferma sul bordo della strada." Aila capì che l'uomo stava giocando con lei e che non aveva creduto alla storia dell'auto in panne. Magari pensava che lei stesse facendo la difficile solo per tirare su il prezzo.
"È buio," Ribatté. "ed ho cercato di metterla il più vicino possibile al margine della strada. Probabilmente ci è passato vicino e non l'ha vista."
"Chiamami Paolo." Disse l'uomo, Aila non rispose e ricominciò a camminare lentamente, allora l'uomo si risistemò sul sedile ed avviò l'auto seguendola. "Dove stai andando?" Chiese.
"Devo trovare un carro attrezzi per recuperare la mia auto." Mentì nuovamente Aila.
"Sali, ti porto io." Ribatté l'uomo.
"No, grazie." Rispose Aila continuando a fissare l'oscurità davanti a sé, appena rischiarata dai fari dell'auto.
"Perché fai tanto la difficile?" Chiese Paolo. "Guarda che sono un bravo ragazzo. Bravo e ricco." Aggiunse sfoggiando nuovamente quel suo sorriso che Aila stava cominciando ad odiare. "Se è per una questione di soldi io posso..."
Aila si fermò di colpo sentendo quell'ultima frase e rivolse uno sguardo fiammeggiante all'uomo all'interno dell'auto. "Non è per una questione di soldi," Disse dura. "è solo che la mia mammina mi ha sempre detto di non accettare passaggi dagli sconosciuti." Aggiunse con la voce distorta dalla rabbia. "Specie dagli sconosciuti che pensano che un macchinone, un portafogli pieno ed una parlantina sciolta vogliano dire qualcosa di speciale." Disse quell'ultima frase quasi senza pensarci, infatti se ne pentì subito dopo, non perché avesse paura della reazione dell'uomo, ma perché ora lui, per non perdere la faccia, non si sarebbe tirato indietro facilmente.
L'uomo restò sconcertato da quella reazione, sul suo viso scomparve ogni traccia di sorriso, e quando parlò parlò con risentimento. "Ad occhio e croce in passato hai accettato ben altro dagli sconosciuti che non semplici passaggi." Aila si morse le labbra per non peggiorare la situazione, s'incamminò velocemente sperando che l'uomo ripartisse e se ne andasse. Lui ripartì facendo fischiare le gomme, infatti, ma si fermò di traverso sulla carreggiata subito dopo averla superata, tagliandole la strada. Subito dopo Aila sentì lo sportello del guidatore che veniva spalancato con rabbia ed i passi di Paolo che si avvicinavano velocemente. Dopo poco più di un secondo se lo ritrovò davanti, la sua espressione piena di rancore era amplificata, distorta e peggiorata dalla luminosità che veniva dai fanali della sua grossa auto. Anche da quella distanza Aila avvertì distintamente odore di alcool: fu sicura che fosse reduce da una sbronza, o che fosse ancora ubriaco. Istintivamente fece un passo indietro sollevando entrambe le mani fino alle spalle. "Senti amico," Disse. "c'è stato solo un grosso malinteso. Io non sono quello che credi, mi trovo su questa strada a quest'ora di notte per un motivo totalmente diverso da quello che pensi tu, ti chiedo scusa se sono stata un po' brusca prima."
L'uomo si mosse come se non avesse nemmeno sentito le parole di Aila, si avvicinò rapidamente e le afferrò una spalla cominciando a strattonarla. "Tu adesso sali in macchina e vieni con me," Disse con la voce impastata. "se ti comporti bene forse dimenticherò quello che hai det..." Aila si mosse velocissima, portò la mano destra a chiudersi come una morsa su quella dell'aggressore, ruotò il suo polso fino a fargli assumere una posizione innaturale, le dita si staccarono dalla sua giacca e, per assecondare il movimento ed evitare che il braccio si spezzasse, Paolo dovette girarsi di spalle. "Sei un gran maleducato, lo sai?" Disse Aila con voce calma, l'uomo accennò ad una reazione e lei diede un secco strattone, portò ossa e cartilagini vicine al punto di rottura, ma resistette all'impulso di spezzare il braccio. Comunque il grugnito di sofferenza che Paolo produsse fu sufficientemente appagante. "Adesso risali sul tuo macchinone e te ne torni a casa da bravo." Aggiunse Aila pacatamente, sembrava non fare il minimo sforzo per tenere bloccato il braccio di quell'uomo che ad occhio e croce pesava almeno venti chili più di lei, mentre Paolo si ritrovò ben presto la fronte imperlata di sudore, nonostante la bassa temperatura, ed ansimante per il dolore al braccio. "E se in futuro una donna, qualsiasi tipo di donna, ti dice di no, tu non insisterai, vero?" Attese alcuni istanti una risposta, quando capì che non sarebbe venuta aumentò impercettibilmente la pressione sul braccio e ripeté "Vero?"
Paolo gemette nuovamente ed iniziò a dire "Brutta putt..." Questa volta Aila ruotò ulteriormente il polso mentre con l'altro braccio faceva leva sull'arto intrappolato. Ancora pochi grammi di pressione e l'osso si sarebbe spezzato di netto, Paolo lanciò un vero e proprio gridò di sofferenza. "Non ho sentito." Disse Aila con le labbra socchiuse per lo sforzo che ora provava.
"Va bene... va bene." Gemette Paolo piegandosi in due dal dolore, Aila lo lasciò e lui cadde in ginocchio afferrandosi il gomito destro con l'altra mano, dopo alcuni secondi si rialzò ansimando e fissò gli occhi di Aila che non si era allontanata di un passo, restandogli davanti salda come una statua di roccia. La ragazza ebbe l'impressione che stesse per dire qualcosa, ma le fu sufficiente spostare lo sguardo sul braccio dolorante che Paolo girò attorno alla sua auto, risalì e se ne andò.
Aila restò a guardare i fari posteriori dell'auto che si allontanavano velocemente fino a sparire inghiottiti dalle tenebre che avvolgevano ogni cosa. Ragazza, ragazza, che cosa ci fai sola in questo posto a quest'ora di notte, con la gente che ti scambia per una prostituta e con quella banda di pazzi scatenati convinti di essere vampiri in giro? Lasciò che quel pensiero le attraversasse la mente come una nube carica di pioggia attraversa un cielo limpido, poi sorrise nel ricordare il verso di dolore emesso da quello squallido individuo mentre lei le torceva il braccio. Episodi come quello avevano la capacità di rimetterla al mondo. Trasse un profondo respiro lasciando che l'aria fredda e tonificante le invadesse i polmoni, poi tirò su il bavero della giacca a vento e lo strinse più che poté attorno al collo, sprofondò le mani nelle tasche e si rimise in cammino. Anche se quello che era appena successo le aveva dato la conferma di quanto fosse capace di badare a se stessa, non c'era certo di che stare tranquilli in quella situazione. Una cosa era avere a che fare con un balordo ubriaco, ben altra cosa era un'intera banda di pazzi scatenati.
Continuò a camminare per diversi minuti, il cielo sembrava essersi coperto ulteriormente; non c'era più nemmeno traccia della fioca luminosità che fino a quel momento era venuta dalla luna seminascosta dalle nubi, segno inequivocabile che le nuvole che fino a quel momento incrociavano sopra di lei si erano fermate, pronte a rilasciare il loro carico di pioggia da un momento all'altro. Era solo questione di secondi. Quasi nello stesso istante in cui formulava questo pensiero, una enorme goccia la colpì sulla fronte, schizzi le finirono negli occhi prima che l'acqua gelida cominciasse a scenderle lungo il viso facendola rabbrividire. Istintivamente Aila portò le mani al volto per cercare di liberarsi gli occhi, sentì altre gocce caderle sulle dita, mentre il ticchettio della pioggia che colpiva la vegetazione circostante aumentava velocemente di frequenza. Resa temporaneamente cieca dalla pioggia, continuò a strofinarsi gli occhi, ma questo servì a poco: le gocce cadevano con un'intensità tale che ormai tenerli aperti completamente risultava impossibile.
Fu per questo motivo che Aila avvertì, più che vedere, una grande sagoma scura che si era materializzata al suo fianco, dove le sembrava di ricordare che si trovasse la strada. Era come se un pezzo di notte, ancora più scuro della circostante, si fosse staccato e le galleggiasse vicino. Il rumore della pioggia che cadeva riusciva a coprire quasi totalmente gli altri rumori, se mai ve ne fossero, ma ad Aila sembrava di avvertire il brontolio cupo e basso di uno di quei vecchi motori di grossa cilindrata che si usavano circa trent'anni anni fa. Un'altra auto le se era fermata accanto.
Aila restò ad osservare alcuni secondi quella macchia scura con il cuore che le si era fermato, non badando minimamente alla pioggia che le stava inzuppando rapidamente i vestiti, cercando disperatamente di non trovare niente di preoccupante nel fatto che l'auto si fosse avvicinata a fari spenti. Una luce si accese all'interno dell'abitacolo. Un'oasi di luminosità in un deserto di buio si disegnò nella notte. Subito dopo il conducente accese anche i fari. Come Aila aveva immaginato, l'automobile era una grossa famigliare fine anni settanta, completamente nera. Poi guardò meglio e... mio Dio... era un carro funebre. Con gli occhi fissi sullo spazio posteriore predisposto per accogliere la bara, paralizzata dal terrore che pareva averla pervasa, non si accorse dello sportello del passeggero che veniva aperto. "Bene, bene, che cosa abbiamo qui?" Disse una voce proveniente dall'interno.
"Direi che si tratta della principale candidata al ruolo di ospite d'onore alla nostra prossima festicciola." Rispose un'altra voce, ci furono delle risa poi una terza voce aggiunse. "Ho idea che la natura alquanto peculiare del nostro mezzo di locomozione sia stata, nei suoi confronti, foriera di una certa preoccupata reazione." Ci furono delle altre risate che parvero destare finalmente Aila dal torpore causato dalla paura che l'aveva colta, si girò lentamente verso la portiera aperta respirando a fatica, le braccia paralizzate serrate lungo i fianchi. Dentro l'auto si trovavano quattro persone, due uomini e due donne. Gli uomini occupavano i sedili anteriori, quello alla guida era magro e pallido, con il volto scavato sulle guance, un naso aquilino ed i capelli nerissimi che gli cadevano sulle spalle. Quello al suo fianco sembrava il suo esatto opposto: era molto robusto, appena meno di quello che lo avrebbe potuto far definire grasso, la rotondità del suo viso era messa in risalto dai capelli che portava cortissimi, tagliati quasi a spazzola. Le ragazze sul sedile posteriore potevano avere si e no venti anni, una era sdraiata quasi completamente sul sedile ed aveva la testa poggiata al petto dell'altra, che le accarezzava una ciocca di capelli mentre fissava Aila. Entrambe apparivano di un pallore innaturale, probabilmente portato all'estremo da una forte dose di trucco, il rossetto che avevano usato era nero, come i loro capelli che portavano lunghi fino al seno. Tutti e quattro erano vestiti di pelle e portavano occhiali scuri; sembravano una banda di heavy metal.
Aila cercò di scappare, ma il buio che la circondava non le fu certo d'aiuto, urtò pesantemente contro la portiera aperta dell'auto e ciò le fece perdere secondi preziosi, sufficienti al Robusto per scendere dall'auto e pararlesi davanti, mentre il Magro scendeva dall'altro lato per fare il giro e prenderla alle spalle. Subito Aila venne stretta dalle forti braccia del Robusto, ma fu velocissima a sferrargli una ginocchiata al basso ventre che lo fece cadere ed urlare per il dolore. Non ebbe il tempo di gioire per quella piccola vittoria che altre due braccia, sorprendentemente forti per appartenere al Magro, la serrarono da dietro. Aila contrasse le reni per lanciare la sua nuca contro il volto dell'aggressore, purtroppo costui era molto più alto di lei, così che il suo colpo si abbatté sul torace scheletrico del Magro senza causare danni.
Intanto il Robusto si era un po' ripreso dalla ginocchiata subita e si era rimesso in piedi, tenendosi però ancora piegato in due ed ad un distanza di sicurezza dalle gambe di Aila, anche le ragazze scesero dall'auto e si posero ai suoi lati. Aila era circondata. La ragazza sperò che la sofferenza facesse almeno desistere il Robusto dal parlare facendo sfoggio del suo odioso eloquio, invece l'uomo parlò, seppur ansimando, mentre metabolizzava il dolore tenendo le mani appoggiate all'interno delle cosce, dicendo. "Trovo alquanto speciosa questa sua testardaggine nel palesare l'intenzione di sottrarsi ad un destino che ormai i più considererebbero ineluttabile, qualora si trovassero nella sua medesima situazione. Noi siamo soverchianti di numero e lei non ha modo di sottrarsi al nostro volere; il fatto che lei reputi il volere di cui sopra quanto mai deprecabile e censurabile, per sua sfortuna, non cambia minimamente questo stato di cose."
Aila guardò di seguito le due ragazze, come se si aspettasse una loro reazione alle parole del Robusto, ma loro si limitarono a sorridere, prima debolmente, poi le labbra si schiusero oscenamente in un ghigno demoniaco che mise in mostra due coppie di canini aguzzi come quelli di un lupo. La ragazza cercò ancora disperatamente di divincolarsi dalla presa. "Forse il nostro amico Slasher ha un modo di parlare troppo forbito per te, bellezza." Disse una delle ragazze afferrandola per il collo, Aila sentì che le faceva passare l'unghia dell'indice, affilata come un rasoio, proprio sopra la gola. "È perfettamente inutile che cerchi di scappare." Disse l'altra. "Tu non vai più da nessuna parte."
Aila guardò allora il Robusto, non aveva rinunciato del tutto a lottare ma i suoi strattoni erano diventati sempre più flebili; il Magro aveva rivelato una forza che il suo aspetto emaciato non avrebbe mai fatto sospettare. Il Robusto sorrise, il dolore doveva essere passato quasi completamente, ed Aila non fu sorpresa, ma più che mancanza di sorpresa forse si trattava di rassegnazione, quando vide che anche lui aveva canini aguzzi come quelli di un famelico predatore. Era senza dubbio quella la banda di pazzi maniaci che stava terrorizzando la zona.
Con movimenti precisi e coordinati, che tradivano una lunga e collaudata preparazione, il Magro le serrò i polsi, mentre una delle ragazze iniziò a legarle le mani dietro la schiena con una corda nera. Aila fu tentata di fare un altro disperato tentativo di fuga, sapendo per certo che, qualunque ne fosse stato l'esito, sarebbe stato l'ultimo, ma il Robusto parve leggerle nel pensiero e le sventolò davanti al volto la lama di un rasoio. "Non provarci dolcezza," Disse sfiorandole la gola con la lama fredda come il ghiaccio e scintillante nonostante la poca luce. "sarebbe veramente un peccato dover rovinare questo bel faccino, almeno per ora." L'uomo parve godere dell'espressione terrorizzata che Aila aveva sul volto, allontanò la lama dal suo viso e la mise davanti alle labbra, schiuse la bocca con un movimento calcolato, tirò fuori lentamente la lingua e la passò sul lato non tagliente del rasoio, dalla punta verso il basso, e poi facendo il percorso inverso. Aila cercò di distogliere lo sguardo ma era costretta dagli altri a guardare. Di colpo il Robusto girò il rasoio e leccò il filo della lama. Subito il sangue iniziò ad uscire dalla ferita e lui lo deglutì famelicamente, subito dopo le due ragazze gli furono accanto ed incollarono a turno le loro bocche sulle labbra insanguinate del Robusto. Aila ebbe un conato di vomito, che non riuscì a trattenere quando vide le due ragazze che si leccavano le labbra macchiate del sangue del loro amico. I quattro ghignarono e parvero godere della reazione della loro vittima, poi la spinsero sul sedile posteriore; le due ragazze si posero ai suoi lati, mentre il Magro si rimise alla guida ed il robusto sul sedile del passeggero.
Chiusa in macchina, Aila avvertì il fetore che emanavano i corpi dei suoi sequestratori. Fuori il freddo e l'aria aperta dovevano averlo coperto, ma ora, all'interno dell'autovettura, la puzza di sudore ed il tanfo della sporcizia le aggredirono violentemente le narici. Sentì anche il fetore di qualcos'altro, qualcosa di organico, senza dubbio, ma che non riuscì ad identificare subito; le ricordava le sensazioni che provava da bambina quando respirava profondamente con il naso dopo aver perso sangue dalle narici. Un fulmine illuminò la zona quasi a giorno per una frazione di secondo, e Aila potè vedere in un lampo i grandi alberi che costeggiavano la strada, testimoni impotenti e silenziosi di quello che le stava accadendo. Dopo alcuni secondi arrivò il tuono, che parve voler scuotere i pilastri della terra, mentre la pioggia che cadeva copiosa sembrava che avesse liquefatto il cielo e che volesse portarlo sugli uomini.
L'autovettura era senza dubbio un carro funebre, Aila si voltò e vide che nella parte posteriore del veicolo si trovava anche una bara, era di legno quasi nero ed aveva eleganti maniglie ed intagli di ottone. Quasi nello stesso istante in cui la vide il suo cervello la portò a chiedersi se fosse vuota. Qua e là erano sparsi sul pavimento alcuni mazzi di fiori ormai secchi, che nessuno si era preso la briga di gettare. L'odore di putrefazione che veniva da essi contribuiva a rendere l'aria all'interno della vettura quasi irrespirabile. C'erano anche alcune stuoie ricamate gettate un po' alla rinfusa negli angoli. Aila notò, in maniera quasi incomprensibile, visto lo stato d'animo nel quale pareva versare, che all'interno dell'intero veicolo non c'era una sola croce. Era dentro un carro funebre, quindi avrebbero dovuto essercene decine, di tutte le forme e grandezze, eppure non ne vedeva nemmeno una. Guardò meglio e vide che ovunque c'erano monconi di metallo troncati o supporti vuoti, sul cruscotto, ai lati dei sedili anteriori, persino sulla bara si vedeva una traccia nel legno. Tutte le croci erano state rimosse. Già, i vampiri non le amano.
Il Magro spense i fari dell'auto ed ingranò la prima, lasciando accesa solo una piccola luce di servizio sulla parte alta del cruscotto. Aila non riusciva a capire come l'uomo riuscisse a vedere la strada, nel buio che avvolgeva ogni cosa e con la pioggia fitta che non aiutava di certo, eppure l'automobile iniziò a muoversi ed assunse subito una velocità relativamente elevata per quel tipo di veicolo, ed era senza dubbio asfalto quello che si sentiva scorrere sotto le ruote. Il Robusto parve leggerle nuovamente nel pensiero e si voltò a guardarla, il suo volto già sgradevole era ulteriormente alterato dalla fioca luce che gli bagnava un lato della faccia, quando parlò, facendo sfoggio del suo odioso eloquio, Aila rivide i suoi denti aguzzi. "Sembra che la nostra graziosa ospite, per quanto reticente e poco loquace, sia in una certa maniera meravigliata dalla capacità, da noi or ora palesata, di non subire condizionamenti e limiti alle nostre facoltà visive nonostante il buio nel quale senza dubbio ci stiamo addentrando."
"Che... cosa... avete intenzione di farmi?" Riuscì a chiedere Aila.
"Tu che cosa pensi, bellezza?" Chiese la ragazza alla sua destra, Aila sentì il suo fiato caldo sul viso ed avvertì una forte zaffata di quell'odore sentito prima e che le aveva fatto pensare al sangue. Quella seduta al lato opposto si piegò in avanti e mise la faccia a pochi centimetri da quella di Aila, mosse la lingua all'interno della bocca tenendo le labbra chiuse, quando le aprì vide che serrava tra i denti un piccolo oggettino metallico molto sottile che brillava alla fioca luminosità della luce di servizio: una lametta da barba. Lasciò che Aila la osservasse terrorizzata alcuni istanti, poi guardò languidamente l'altra ragazza, lei sorrise capendo compiaciuta quale erano le intenzioni dell'amica, si protese a sua volta in avanti ed avvicinò le labbra alle sue. Le loro bocche si chiusero sulla lama affilata, le lingue si cercarono, tra sommessi frusci e gemiti, mentre le loro mani sparirono sotto i lembi delle giacche. Aila distolse lo sguardo quando vide dei rivoli di sangue uscire dalle labbra delle due ragazze, le quali si affrettarono a pulirsi a vicenda, leccando avidamente il prezioso nettare prima che colasse sul sedile dell'auto. Aila diede l'impressione di non aver vomitato nuovamente solo perché si era appena svuotata lo stomaco.
Il Robusto, che si era goduto tutta quella scena da peep show estremo con un espressione da belva feroce eccitata, disse. "Ma siete proprio delle ragazzacce. Con il vostro deprecabile comportamento rischiate di ingenerare ulteriore atterramento nello stato d'animo già visibilmente prostrato della nostra ospite." Le ragazze si lasciarono andare a risate oscene, mentre si portavano le dita alla bocca per poi porgerle insanguinate alle labbra dell'altra.
Il Magro, che non aveva detto ancora una sola parola, a differenza del suo amico che sembrava averne dette migliaia, teneva lo sguardo celato dagli occhiali scuri fisso nella notte. Pareva del tutto indifferente a quello che accadeva intorno a lui, o forse, sembrò pensare Aila inorridita, ne era orrendamente abituato. Ogni volta che un fulmine balenava, lei poteva accorgersi una volta di più del suo pallore spettrale, sembrava quasi che la sua pelle fosse quasi inconsistente. Non aveva mai visto una persona di un tale pallore. O almeno, mai una persona che non fosse contemporaneamente anche un cadavere. Il Magro continuò a guidare addentrandosi nella notte, la pioggia cadeva in gocce che parevano pesanti come piombo, provocando forti tonfi sulla carrozzeria dell'auto. Le ragazze si scambiavano occhiate lascive, per poi concentrarsi su Aila e leccarsi le labbra insanguinate, sembravano assaporare il momento in cui lei sarebbe stata partecipe dei loro osceni giochi, e sembravano ricevere ulteriore gratificazione ed eccitazione dal fatto che lei, di quei giochi, sarebbe stata partecipe involontaria. Dal canto suo Aila aveva smesso di cercare di liberarsi dalle corde che le serravano le braccia dietro la schiena, aveva smesso perché aveva capito che l'unica cosa che avrebbe ottenuto sarebbe stata lacerarsi la pelle. Era costretta in quella scomoda posizione, circondata da una banda di pazzi scatenati, che potevano vedere al buio e che bevevano sangue. Non era certo in una posizione invidiabile.
Il carro funebre si perse nella notte buia e bagnata, chi non poteva vedere al buio non avrebbe mai potuto farsi un'idea nemmeno approssimativa del luogo nel quale era diretto. Dopo circa un'ora Aila si accorse che la vettura faceva una curva a gomito, e dai sobbalzi seguiti da violenti ondeggiamenti dell'auto capì che avevano lasciato l'asfalto e si erano immessi su una stradina sconnessa. Notò ai lati della strada la presenza di grandi alberi, erano disposti a distanze costanti, non erano quindi nati selvaggi, ma le chiome allungate e scomposte rivelavano indubbi segni di abbandono. In fondo alla strada si intuivano delle luci, la meta di quel viaggio allucinante non era lontana. Il grosso e pesante veicolo arrivò ondeggiando alla fine di quel vialetto sconnesso e mal tenuto, di fronte si stagliava contro il cielo nero l'imponente sagoma di una grossa villa di campagna. Aila vide che le luci che aveva scorto da lontano erano prodotte da decine di grandi fiaccole poste ai lati del viale ed in vari punti del cortile antistante l'entrata, erano del tipo antivento, di quelle che bruciano anche sotto la pioggia, altri grossi ceri erano accesi al riparo del porticato. Alla fioca luce di quelle fiammelle ondeggianti Aila vide muoversi numerose ombre, alcune si stavano alzando in quel momento, altre si staccavano dalle pareti e si avvicinavano all'auto. Solo qualcuna non si mosse osservando il carro funebre che si fermava sul selciato caracollando. Aila realizzò con orrore che tutte quelle persone stavano aspettando lei. Infatti subito un nugolo di persone vestite di nero e con gli occhiali scuri formarono un capannello intorno all'auto. "Che cosa abbiamo qui?" Chiese divertito uno di loro chinandosi a guardare l'interno mentre le quattro portiere venivano aperte, sembrava un uomo, ma Aila lo capì esclusivamente dal tono di voce basso: aveva i capelli lunghi e scuri ed i tratti del suo viso cadaverico apparivano del tutto indecifrabili, le labbra erano spesse e bordate di nero. Fissò alcuni istanti Aila, si passò la punta della lingua sulle labbra truccate poi disse. "Sembra proprio che abbiate fatto buona caccia." Due ragazze che lo avevano seguito si "diedero il cinque" poi l'uomo aggiunse. "Ci sarà da divertirsi questa notte." Aila parve essere percorsa da un brivido al sentire quelle parole ma cercò di mantenere la calma e la lucidità. Tutti e quattro gli occupanti del carro funebre scesero e le ragazze si chinarono all'interno per aiutarla ad uscire. Aila fece finta di accettare il loro aiuto, si lasciò cingere per le spalle e tirare fuori dal veicolo. Non appena i suoi piedi toccarono il pietrisco che ricopriva il veicolo diede uno strattone riuscendo a liberarsi dalla presa, iniziò a correre disperatamente verso una direzione a caso, cercando solo di allontanarsi dalla villa. Ma il pietrisco che le faceva affondare le scarpe fin quasi alle caviglie e la posizione scomoda che era costretta a tenere durante la corsa, con le braccia legate dietro la schiena, non le erano certo d'aiuto. Riuscì comunque ad allontanarsi da quel branco di lupi affamati, anche perché i vampiri parvero sorpresi da quella reazione e sprecarono secondi preziosi prima di iniziare a rincorrerla. Continuò a correre verso il bosco, giunta lì avrebbe cercato di far perdere le sue tracce nel fitto della vegetazione, sperando che l'alba non avrebbe tardato ad arrivare e che a quel punto loro rinunciassero a darle la caccia. Correva veloce cercando di mantenere l'equilibrio bilanciandosi con il busto, se fosse caduta in avanti con le braccia bloccate dietro la schiena avrebbe potuto battere la testa e perdere i sensi, cercò di evitarlo, anche se in quel momento perdere i sensi non le sembrava un'ipotesi del tutto negativa. Arrivò a pochi metri dal margine del bosco, cercò di stringere i denti e di percorrere l'ultimo tratto in apnea. Ma all'improvviso un'enorme figura parve sorgere dalle tenebre. Aila ebbe l'impressione che la notte s'infittisse ulteriormente, tanto quella sagoma nera la sovrastava con la sua stazza. L'energumeno mulinò una delle sue braccia con una velocità sorprendente per un uomo di quelle dimensioni e colpì Aila alla bocca dello stomaco con precisione chirurgica. La corsa della povera ragazza venne fermata all'istante da quel tremendo colpo, si piegò in due sulle ginocchia e posò la fronte sulla terra resa fangosa dalla pioggia, mentre un conato di vomito le portò in bocca il sapore acido dei succhi gastrici. Dopo alcuni istanti l'energumeno la prese per il collo, la rimise in piedi praticamente usando un braccio solo e la voltò di forza verso i suoi compagni che stavano arrivando. Il primo che le si parò davanti fu il Robusto, mentre parlava Aila non poté fare a meno di fissare i suoi occhi nascosti dalle lenti scure, mentre la pioggia le inchiodava i capelli sul viso. "La invito a desistere dai suoi sconsiderati e reiterati tentativi di sottrarsi ad un destino che ormai ai più apparirebbe, come in realtà è, improcrastinabile; questi suoi patetici tentativi di evitare la sua prematura dipartita da questa vita terrena sortiranno l'unico effetto di rendere ancora più spiacevole e doloroso il modo in cui il destino di cui sopra giungerà a compimento." Aila lo fissava terrorizzata, il dolore che provava allo stomaco ed alle braccia ormai stanche per quella innaturale posizione doveva essere terribile, forse stava piangendo, ma le lacrime si mescolavano alla pioggia che le scorreva sul viso. Ad inculcare ulteriore terrore nel suo animo intervenne un altro degli sgherri che l'avevano rincorsa, un uomo dall'apparente età di trent'anni, non molto alto ma dal fisico asciutto e muscoloso. "Forse l'eloquio del vecchio Slasher è troppo forbito per te," Disse afferrandole il viso con una mano gelida e stringendo fino a farle male, Aila avvertì nuovamente quell'odore nauseante di sangue. "quindi te la faccio più semplice: tu morirai stanotte, e morirai in maniera terribilmente lunga e schifosamente dolorosa, ti assicuro che pregherai che la fine arrivi il prima possibile, ma prova ancora a scappare, puttana, e farò in modo che le sofferenze che ti aspettano raddoppino, ed ogni volta che ti sembrerà che la fine sia finalmente vicina ti impedirò di crepare." Aila diede l'impressione di voler dire qualcosa, ma la mano che le serrava le labbra, talmente fredda che pareva di ghiaccio, glielo impedì. Le sembrò, nonostante gli occhiali scuri che gli celavano lo sguardo, che gli occhi dell'uomo fiammeggiassero dietro le lenti nere, mentre lui la fissava per sincerarsi che le sue parole avessero sortito l'effetto desiderato. Dopo alcuni istanti, che ad Aila sembrarono non voler finire mai, l'uomo distolse lo sguardo e disse. "Andiamo, gli altri ci aspettano dentro." Gli altri ci aspettano dentro Aila aveva creduto che non fosse possibile sentire qualcosa che l'atterrisse ancora di più, ma si ricredette. L'energumeno l'afferrò per la vita con un braccio solo e la sollevò senza nessuno sforzo apparente, i suoi piedi arrivavano a parecchi centimetri da terra mentre veniva portata verso l'entrata della villa. Non provava più nemmeno a scappare, sembrava aver capito che la sua salvezza non poteva venire usando quella tattica. Vide il porticato della villa avvicinarsi velocemente, il movimento ondeggiante, la pressione alla vita ed il tanfo che emanava costante ed intenso dai suoi rapitori le provocarono nuovi conati di vomito, che riuscì a rimandare indietro. I piccoli sassi del selciato, bagnati e scivolosi a causa della pioggia copiosa, scricchiolavano sotto i piedi di quei maniaci.
Alcuni erano in attesa sotto il portico e risero sardonicamente nel vederla, sola e terrorizzata, nelle loro mani. Anche loro indossavano occhiali scuri, nonostante l'unica luce provenisse dalle fiaccole e dai ceri accesi e fosse molto fioca. Aila distolse lo sguardo quando vide uno di loro che si passava la punta della lingua sulle labbra fissandola con un'espressione che si intuiva famelica anche dietro le lenti nere. Oltrepassata la soglia oltre il porticato, l'energumeno la posò sul pavimento e la spinse verso l'interno con una delle sue enormi mani. Il portone dava su un'enorme ambiente dal soffitto molto alto, come si usava nelle vecchie tenute di campagna di un tempo, il pavimento era composto di grandi piastrelle di marmo, che apparivano in più punti lesionate e sconnesse, dappertutto c'erano cumuli di sporcizia e polvere, grosse ragnatele pendevano dal soffitto. Quella vecchia casa doveva essere molto frequentata, ma dava l'impressione di non essere stata pulita da almeno dieci anni, nell'aria infatti non c'era odore di chiuso, come ci si sarebbe potuti aspettare, ma il tanfo di qualcosa di morto, di qualcosa di marcio. Lo stesso odore che Aila aveva sentito in macchina e nell'alito dei suoi rapitori. Anche l'interno era fiocamente illuminato da candele e ceri; la vecchia magione dava l'impressione di essere priva di corrente elettrica. Ma l'ambiente era troppo ampio perché venisse illuminato efficacemente, così tutto era immerso in una sorta di penombra che rendeva la scena onirica, come in un incubo sfocato e vacuo, dai contorni indefiniti ma non per questo meno spaventosi.
Non appena i suoi occhi si abituarono alla penombra, Aila vide chi erano gli altri che li stavano aspettando. Numerose ombre si muovevano lungo le pareti dello stanzone, alcuni si avvicinarono vedendola, altri parvero non accorgersi nemmeno della sua presenza. Lungo le pareti erano allineati numerosi vecchi divani e poltrone antiche, le fodere apparivano sporche e consunte, mangiate in più punti dalle tarme e dal tempo. Su di essi numerosi individui erano intenti ad accoppiarsi come animali, senza il minimo pudore o la minima vergogna. Apparivano come bestie primordiali spinte solo dall'istinto. Vide che alcune di quelle persone non erano intente solo ad accoppiarsi sessualmente: si stavano scambiando qualcos'altro. Distinse una ragazza, non poteva avere più di vent'anni, alle prese con due uomini che le stavano praticando vari tagli con delle lamette affilate in diverse parti del corpo, per poi succhiare il sangue dalle ferite. Non solo la ragazza era senza dubbio consenziente, ma incredibilmente pareva partecipe del selvaggio ed animalesco godimento dei suoi aguzzini. Quando le sue labbra si schiudevano in gemiti di piacere o di dolce dolore, Aila vedeva brillare nella penombra i canini aguzzi della ragazza.
Venne spinta oltre dai suoi rapitori, verso la parete del salone opposta a quella dalla quale erano entrati. Aila vide altre scene analoghe a quella vista poco prima, chi si praticava da solo i tagli per poi porgere le ferite sanguinanti alle fameliche labbra di altri partecipanti a quel gioco sadico, chi si abbandonava completamente lasciandosi aprire profondi squarci nelle carni dai quali fuoriuscivano fiotti di sangue che a volte colavano dalle labbra assetate e formavano vere e proprie pozze sul pavimenti sudicio. Tutto il salone echeggiava di risa sardoniche e gemiti ad un tempo di dolore e piacere. Molti che la vedevano e capivano che era stata presa prigioniera si avvicinavano e la scrutavano da testa ai piedi, ma molti altri erano talmente presi dai loro orribili giochi che non la degnarono nemmeno di uno sguardo. Aila cercava disperatamente di non farsi sopraffare completamente dal terrore; sembrava aver deciso di cercare di sopravvivere il più a lungo possibile in attesa della prima occasione di fuggire. Ma quando vide un gruppo di tre grossi uomini che si avvicinavano ad un tavolino sul quale si trovava uno strano fagotto dal quale provenivano dei vagiti, credette di non farcela. Sentì un urlo echeggiare nella stanza quando vide un coltellaccio comparire nelle mani di uno di quegli uomini, dopo pochi istanti realizzò che era stata lei stessa ad urlare, ormai del tutto incapace di contenere l'orrore. Cominciò automaticamente a correre, non aveva idea della direzione verso la quale si stava dirigendo; l'unica cosa che le appariva importante in quel momento era mettere più spazio possibile fra lei e quegli uomini.
Naturalmente dopo pochi metri le furono addosso e la bloccarono, avvertì uno sbuffo sommesso alle sue spalle, seguito da un debole rumore che non riuscì ad identificare. All'improvviso i vagiti cessarono. Aila avvertì nuovamente l'mpulso di mettersi ad urlare, sapeva che non sarebbe servito a niente, accerchiata da una dozzina di pazzi scatenati assetati di sangue, ma era l'unica cosa che le avrebbe permesso di assicurarsi che fosse ancora viva. Ma non ebbe il tempo di fare nemmeno quello. L'uomo che l'aveva minacciata poco prima le si piazzò davanti, prima che Aila avesse il tempo di dire qualcosa le sferrò un tremendo pugno in faccia, la ragazza barcollò all'indietro e cadde. "Ti avevo detto di non provare a scappare, troia." Le disse l'uomo con rabbia, Aila sentì il sangue che le scorreva lungo il mento e nel palato, scivolandole fino in gola, avvertì il suo sapore insieme dolce e salato. Una delle ragazze che l'aveva circondata si fiondò voracemente su di lei e cominciò a leccarle il viso, Aila la spinse via disgustata ed inorridì nel vedere il proprio sangue che le bagnava la bocca, ma lei tornò subito alla carica fra le risate divertite degli altri. Fu l'uomo che l'aveva colpita, evidentemente il capo di quella manica di pazzi, a trattenerla per le spalle. "Abbi pazienza, mia cara." Le disse passandole un dito sulle labbra. "Tutto deve essere perfetto." Aggiunse portandosi il dito alla bocca.
Aila si rialzò faticosamente, sembrava stordita dal dolore e dal colpo ricevuto, mentre il sangue continuava a scorrerle copioso in gola. Incapace anche solo di tentare di elaborare altri possibili tentativi di fuga, si ritrovò a fissare gli occhiali scuri del Magro. Lui la guardava ancora una volta in silenzio, annuendo quasi impercettibilmente, all'improvviso parlò, la sua voce era molto diversa da quelle sentite fino a quel momento dagli altri, era calda, era... umana. "Lo senti, vero?" Chiese, Aila continuava a fissarlo, non capiva a che cosa si stesse riferendo. "Lo senti, vero?" Chiese di nuovo il Magro. "Il sapore del sangue," Aggiunse. "Lo senti mentre ti scorre dentro? Senti la vita che scorre con esso? Il sangue è vita. Noi qui celebriamo la vita, non la morte." Aila sentiva decine di occhi puntati su di lei, mentre uno strano silenzio era calato nello stanzone, si costrinse a guardare verso gli uomini attorno al fagotto e vide uno di essi sollevare per la collottola un gatto morto, il pelo bianco macchiato di sangue fresco. "Già, celebriamo la vita, la nostra vita." Il modo in cui pronunciò la parola nostra provocò l'ilarità generale; tutti scoppiarono a ridere, solo il Magro restò serio ad osservare Aila da dietro i suoi occhiali scuri, poi si voltò e si allontanò, mentre gli altri immobilizzavano la ragazza prendendola per le braccia. La condussero verso una delle porte che si trovavano nella parete opposta all'entrata, Aila vide numerose gradinate che portavano ai piani superiori, che terminavano in un soppalco che circondava tutto lo stanzone. Ebbe chiara la visione di dame e signori in abiti da sera che osservavano le danze appoggiate alla balconata di ferro battuto, in una delle tante serate di gala che la padrona di casa doveva aver organizzato almeno un secolo prima, con una coppa di champagne in una mano e la mano della persona amata nell'altra. La grandezza che quella casa doveva avere prima di diventare il ricettacolo di quel covo di pazzi traspirava da ogni cosa, nonostante la sporcizia ed il degrado.
Uno degli uomini aprì la porta, che si mosse facilmente anche se produsse un lieve cigolio; Aila venne subito investita dalla corrente d'aria prodotta dallo spazio fra i due ambienti; oltre all'odore di umidità avvertì anche qualcos'altro, un qualcosa di animalesco e selvaggio. Due uomini accesero le vecchie lampade ad olio che avevano in mano e varcarono la soglia, Aila vide che al di là c'era una scalinata che conduceva in basso. Ebbe l'impressione di essere la protagonista di un film dell'orrore di infimo ordine. Mentre le ombre dei due venivano grottescamente proiettate e distorte dalle lampade sulle anguste pareti del passaggio, Aila venne spinta dai suoi aguzzini e costretta a scendere seguendoli. Alla fine delle scale, lunghe non più di trenta ripidi gradini, si trovava un altra porta, simile in tutto e per tutto alla precedente. Anch'essa si aprì con uno stridio, dietro di essa si trovava un ampio ambiente, largo quasi quanto lo stanzone al piano di sopra. La camera era talmente ampia che le due lampade non erano sufficienti ad illuminarlo efficacemente, infatti alcune ragazze si affrettarono ad accendere i vari ceri sparsi sui numerosi tavoli mezzi marci per l'umidità e sulle mensole da cui pendevano ragnatele che parevano drappi nuziali. Alla luce fioca delle candele quella stanza sembrava ancora più inquietante e spaventosa, le mura erano composte di grosse pietre che un tempo dovevano essere state perfettamente regolari e levigate, ma che ora apparivano consunte e lerce. Qua e là si distinguevano anche dei rivoli di acqua putrida che scaturivano dalle fessure tra una pietra e l'altra e scendevano verso il pavimento. A pensarci bene le condizioni di quell'ambiente apparivano troppo deteriorate, anche in rapporto all'età considerevole che doveva avere la villa soprastante. Probabilmente la tenuta di campagna doveva essere stata costruita sopra le fondamenta di un edificio già esistente.
Subito l'attenzione di Aila venne attirata da uno strano oggetto, che sembrava del tutto fuori posto in quell'ambiente, che per il resto poteva contenere cose ed oggetti vecchi di secoli. Si trovava al centro della stanza, ed era chiaro che la sua presenza in quel posto era il motivo per il quale l'avevano condotta lì. Era un tavolo di metallo lucente, simile a quelli che si potrebbero trovare nelle sale operatorie degli ospedali. Era costituito da una solida base collegata al carrello sul quale erano montate robuste ruote, che avrebbero permesso di spostarlo facilmente nonostante il suo peso che doveva essere considerevole. Aila ebbe appena il tempo di metabolizzare l'orrore prodotto da quell'oggetto, e da tutto quello che la sua presenza in quel posto comportava, che la sua attenzione venne attirata da un altro strano affare posto accanto a quel tavolo da operazione. Era più piccolo, ma la sua forma oscena, ad un tempo antica come uno strumento di tortura medievale e moderna come un avveniristico utensile chirurgico era capace di generare un terrore senza pari.
La parte inferiore, che Aila intuì essere una sorta di serbatoio per la raccolta di fluidi, era costituita di spesso vetro perfettamente pulito, poggiava su una base non dissimile da quella sulla quale si trovava il tavolo, solo più piccola. Dalla parte superiore, inserita in un complesso sistema di valvole e regolatori, spuntava una lunga cannula di materiale flessibile, la quale si inseriva a sua volta, al capo opposto, a quello che doveva essere il vero fulcro di quell'apparecchio: una specie di guanto in metallo snodato con due delle dita, quelle corrispondenti al pollice e l'indice, che terminavano in spessi aghi, da cui partivano sottili tubicini che convergevano nella cannula principale. L'uomo che l'aveva colpita si diresse subito verso quell'arnese, infilò una mano nel guanto e si mise a guardarla con ferocia, mentre faceva ondeggiare quegli "artigli" davanti al volto.
Aila cercò ancora una volta di scappare, ma in un istante si trovò serrata da almeno tre paia di braccia, che la immobilizzarono totalmente. "È inevitabile ormai, tanto vale che ti rassegni e cerchi di rendere la cosa meno dolorosa possibile, sarà difficile, ma almeno puoi provare." Fece un cenno con il capo verso il tavolo, mentre faceva scivolare fino in fondo la mano in quell'arnese. Aila venne sbattuta sulla gelida superficie di metallo, alcune mani la trattennero mentre altre le strinsero velocemente dei robusti legacci di cuoio intorno ai polsi ed alle caviglie. Dopo pochi secondi Aila non potè più muovere nient'altro che la testa. L'uomo spinse il piccolo carrello con la mano libera fino a portarlo a contatto con la parte superiore del tavolo operatorio, bloccò le ruote e disse. "Ti spiego in poche parole come funziona l'apparecchiatura che vedi: questi due aghi," Disse indicando con l'indice sinistro le acuminate punte metalliche che gli spuntavano dalla mano destra. "vanno inseriti nella giugulare, proprio qui." Aggiunse sfiorando la base del collo di Aila, che avvertì il gelido tocco dell'uomo. "Successivamente si spinge quest'interruttore e l'apparecchiatura comincia a pompare via il sangue." Aprì una delle valvole e il marchingegno cominciò ad emettere un cupo ronzio. "Dopo che il sangue avrà iniziato a defluire via dal tuo corpo, il cuore reagirà in questo modo: nei primi momenti aumenterà la frequenza dei battiti, per cercare di sopperire alla diminuzione di pressione dovuta alla minore quantità di sangue in circolo, ma quando capirà che è tutto inutile, e che anzi aumentare i battiti finisce solo per rendere più veloce il dissanguamento, si comporterà in maniera opposta: diminuirà la frequenza dei battiti, comincerai a sentire un freddo tremendo in tutto il corpo, alla fine il cuore si fermerà completamente e tu morirai." L'uomo restò in silenzio alcuni momenti, come per dare il tempo ad Aila di assorbire le sue tremende parole, per renderle il più devastanti possibili. La ragazza si voltò, per quanto reso possibile dai lacci che la immobilizzavano, ad osservare i visi degli altri, tutti la guardarono con ferocia, sembrava che stessero già assaporando il momento in cui avrebbero bevuto il suo sangue. "Il corpo umano contiene mediamente cinque litri di sangue." Riprese l'uomo. "Le puttane come te resistono di solito intorno ai venti minuti. Ricordo una troietta che proprio non voleva saperne di crepare; le avevamo tolto più di metà del sangue e lei ancora si dimenava su questo tavolo, a tal punto che i legacci la ferirono, era diventata bianca come un lenzuolo eppure non voleva arrendersi, alla fine è schiattata con la bocca e gli occhi spalancati. Avresti dovuto vederla: era proprio un bello spettacolo, ma credo che sia questione di punti di vista." Tutti scoppiarono in una sonora risata, poi l'uomo riprese. "Ricordo che impiegò quasi mezz'ora a crepare, tu cerca di battere il record: sarà divertente." Aprì una seconda valvola con la mano libera e la frequenza del ronzio dell'apparecchiatura cambiò, diventando più basso e continuo, cominciò ad avvicinare lentamente quegli orribili artigli al collo di Aila. "Urla per me." Disse l'uomo a labbra strette.
Era questo il momento. Aila piegò la mano destra, cercando di portare le dita a contatto con il polso imprigionato dalla spessa cinghia di cuoio, con la punta del dito medio spinse un minuscolo pulsante reso pressoché invisibile dalla cintura metallica del suo orologio. Una frazione di secondo dopo l'attenzione di tutti venne rapita da alcuni forti rumori che venivano da dietro la porta, anche l'uomo con l'artiglio si fermò e guardò in quella direzione, cercando di capire che cosa stesse succedendo su per la scale. Dopo meno di due secondi la massiccia porta parve esplodere, completamente divelta dai cardini arruginiti ma ancora robusti. Dal vano aperto si riversarono all'interno della stanza numerosi coni di luce, si muovevano velocemente cercando di sondare quanto più spazio possibile nel minor tempo. Subito dietro di essi apparvero delle ombre, che invasero la stanza con movimenti veloci e precisi, evidentemente concordati in precedenza, mentre le torce montate sulle tozze armi automatiche inquadravano i loro bersagli. Era la squadra tattica che aveva seguito Aila durante tutta la notte, e che non l'aveva persa di vista un solo momento, restando nel buio ed osservando lo svolgersi degli avvenimenti con i loro visori notturni, pronti ad intervenire se la vita di Aila fosse stata seriamente in pericolo. Si trattava di persone appositamente addestrate per quel genere di compito, persone che vedono senza essere visti, che sentono senza farsi sentire, che non ci sono un attimo prima, ma che invadono la stanza in tenuta da combattimento in una frazione di secondo, dopo aver sentito un bip proveniente da un dispositivo nascosto nel cinturino di un orologio. Si trattava di poliziotti superaddestrati, proprio come Aila. Poliziotti super addestrati che avevano appena fatto scattare la loro trappola. Il questore era stato chiaro, la squadra tattica avrebbe dovuto aspettare fino in fondo, non dovevano esserci dubbi sul fatto che si trattasse dei veri maniaci, e non solo di persone un poco eccentriche. Aila sapeva che non dovevano esserci dubbi avrebbe significato un grosso pericolo per lei. Ma rischiare la vita era parte integrante del lavoro che si era scelta.
I vampiri restarono del tutto sconcertati dall'apparizione di quegli uomini che urlavano "FERMI!" "NON FATE UN GESTO!" e provocavano un forte rumore calpestando con i loro pesanti scarponi il pavimento di pietra grezza, mentre per tutta la stanza continuavano a mulinare i raggi di luce delle torce, inquadrando un bersaglio per poi sceglierne un altro subito dopo. In molti alzarono le mani, nonostante non fosse ancora stato ordinato, solo uno di loro portò velocemente una mano dietro la schiena, quando riapparve impugnava una tozza pistola nera. Non ebbe il tempo nemmeno di provare ad alzare il braccio e puntare l'arma che venne illuminato da almeno quattro lampi di luce, tutti quelli dei poliziotti che coprivano il suo settore. Quasi nello stesso istante ci fu l'assordante rumore delle armi automatiche. Il vampiro venne crivellato di colpi, l'impatto delle decine di proiettili fecero sussultare il suo corpo in una sorta di osceno e grottesco ballo moderno, almeno dieci pallottole lo colpirono al volto. La sua testa esplose fra mille spruzzi rossi ed il corpo decapitato cadde a terra con un tonfo liquido. Seguirono alcuni secondi di silenzio assoluto, con il fumo che usciva dalle canne dei mitragliatori e saliva verso l'alta volta. "Credevo che i vampiri fossero immortali e potessero essere uccisi solo con un paletto di frassino nel cuore." Disse uno dei poliziotti, la sua voce era dura e nervosa, nonostante avesse pronunciato la frase con un sorriso come sottofondo, un suo collega capì il suo gioco e disse. "Anch'io." Ostentando un tono falsamente sorpreso. "Forse ho capito," Aggiunse dopo una pausa teatrale. "deve essere stata la luce delle torce ad indebolirlo." Ad un tratto cambiò espressione ed aggiunse minaccioso, sollevando ulteriormente il suo fucile automatico verso quegli uomini. "Chi altro vuole provare? Tu?" Disse inquadrando il volto pallido di un tizio quasi completamente calvo. "O magari tu?" Esclamò cambiando velocemente bersaglio ed illuminando la faccia spaurita di una ragazza dai capelli talmente neri che non potevano non essere tinti. Nessuno fiatava, né tantomeno sembrava avere intenzione di opporre resistenza. Il silenzio calò nuovamente per alcuni secondi.
L'uomo vicino Aila, che era ancora immobilizzata al tavolo operatorio, si mosse; fu un movimento lieve e che non aveva niente di ostile: stava solo togliendo la mano destra da quella specie d'artiglio nel quale l'aveva inserita per torturare la sua preda, ma in una frazione di secondo venne inquadrato da almeno cinque torce, mentre quell'infernale strumento cadeva tintinnando sul pavimento. L'uomo si irrigidì all'istante mentre alzava le mani ed esclamava balbettando. "No... no... fermi!" La squadra tattica non fece fuoco, ciononostante continuò a tenerlo sottotiro, alcuni fecero qualche rapido passo in avanti tenendo le tozze armi spianate. Come riflesso condizionato l'uomo indietreggiò ancora fino a sbattere contro il contenitore collegato alla cannula. Uno dei poliziotti mosse repentinamente l'arma come se si apprestasse a fare fuoco, il "vampiro" si irrigidì ulteriormente, dopo qualche istante una macchia di bagnato apparve sui suoi pantaloni, allargandosi velocemente. Alcuni poliziotti si scambiarono delle occhiate divertite. "Si è pisciato sotto." Disse uno di loro ostentando un'espressione disgustata. "Già," Aggiunse un altro. "una reazione degna di un vero figlio della notte."
"Dracula sarebbe orgoglioso di te." Rincarò un terzo, tutti i poliziotti si guardarono e scoppiarono a ridere, mentre l'uomo abbassò lo sguardo pieno di vergogna. "Tutti contro il muro." Disse uno dei poliziotti con una voce che era improvvisamente tornata dura, doveva essere il capo della squadra tattica. I prigionieri obbedirono all'istante e si allinearono contro la parete. "Mani contro il muro." Ordinò un altro poliziotto, gli uomini alzarono le braccia ed appoggiarono i palmi alle rocce gelide. Mentre gli altri continuavano a tenere sotto tiro i prigionieri, due poliziotti iniziarono ad immobilizzarli con le manette. "Stai attento a non bagnarti." Disse il capitano sorridendo ad uno dei suoi sottoposti, nel momento in cui mise le manette all'uomo che se l'era fatta sotto. Poco dopo il capitano si diede un colpetto sulla fronte, come se solo in quel momento si fosse ricordato di qualcosa d'importante. "Scusa Aila," Disse continuando a guardare i suoi uomini a lavoro per assicurarsi che tutto fosse sotto controllo. "con questo trambusto mi ero dimenticato di te." Si voltò verso il tavolo ed aggiunse. "Ora ti liber..." Lasciò in sospeso la frase per la sorpresa causata da quello che vide. Il tavolo operatorio era vuoto, dove si era aspettato di vedere il corpo imprigionato di Aila non c'era nulla. Forse qualcuno di quei pazzi si era nascosto dietro il lettino mentre loro erano concentrati sugli altri, l'aveva liberata per usarla come ostaggio ed ora la teneva prigioniera per cercare di fuggire. Nico impugnò velocemente la pistola automatica che aveva alla cintura e cominciò ad avvicinarsi al tavolo. "Che succede, capitano?" Chiese uno dei poliziotti accorgendosi che qualcosa non andava, lui lo zittì alzando una mano, tolse la sicura alla pistola facendola scattare con il pollice e continuò ad avvicinarsi tenendo l'arma puntata verso il tavolo. Altri due agenti si disposero in posizione di copertura. Il capitano della squadra tattica arrivò al tavolo. Dopo essersi assicurato che la zona circostante fosse sicura, iniziò ad esaminare i lacci di cuoio che pendevano dal piano. Si era aspettato di vedere le corregge semplicemente sganciate; questo era il modo più veloce e silenzioso per liberare la persona imprigionata, invece le cinghie erano ancora chiuse. Erano le spesse fasce di cuoio che erano state lacerate. Qualcuno doveva averle tagliate per togliere Aila dal tavolo e farla prigioniera al fine di usarla come scudo. Ma la mente efficiente di Nico realizzò subito che anche con una lama affilata sarebbero occorsi diversi minuti per avere ragione dello spesso cuoio, ed il lavoro sarebbe stato senza dubbio abbastanza rumoroso. Mentre loro non avevano sentito il minimo rumore provenire dal tavolo dal momento in cui avevano fatto irruzione.
Nico prese uno dei legacci tra la punta delle dita e lo esaminò. La lacerazione non sembrava assolutamente fatta con un qualsiasi tipo di lama: appariva slabbrata ed estremamente irregolare. Il capitano lasciò cadere il legaccio ed iniziò ad esaminare gli altri, trovò su tutti lo stesso tipo di rottura. Sembrava proprio che... sembrava proprio che qualcuno avesse semplicemente tirato fino a quando il cuoio si era spezzato. Ma il tessuto appariva spesso almeno cinque millimetri, nessun uomo avrebbe potuto avere una forza tale da romperlo in quel modo. Nella sua carriera aveva visto energumeni pesanti più di un quintale immobilizzati da legacci simili a quelli, cercavano disperatamente di liberarsi dopo che l'effetto della droga o dell'alcool veniva meno, urlavano e si dimenavano come ossessi, ma finivano solo per slogarsi i polsi.
"Che cosa ha trovato, capitano?" Disse uno dei poliziotti che si era avvicinato, teneva il suo mitra puntato verso il basso in posizione sicura, Nico quasi sobbalzò al sentire la sua voce, lo guardò in viso con gli occhi sgranati ma non disse niente. Il poliziotto ricambiò lo sguardo per qualche istante, mentre gli altri cominciarono ad avvicinarsi, ormai del tutto consci che c'era qualcosa che turbava il loro capo. Oltre alle candele ed alle torce collegate alle armi non c'erano altre fonti di luce nella stanza, quindi l'ambiente era illuminato in maniera molto irregolare, con ampie zone totalmente immerse nell'oscurità. Un nemico poteva celarsi a pochi metri da ognuno di quegli agenti.
Il giovane agente guardò verso il tavolo vuoto, non appena vide i legacci recisi sobbalzò e spianò il suo tozzo mitragliatore verso un punto imprecisato nell'oscurità. Un altro agente si era avvicinato. "Dobbiamo trovare il modo di illuminare la stanza," Disse Nico. "intanto indossate i visori notturni." Tutta la squadra obbedì all'istante e si fece calare sugli occhi gli speciali visori che avevano integrati nell'equipaggiamento tattico. Ora potevano vedere ogni cosa, anche i molto angoli che le torce e le candele non riuscivano a raggiungere, anche se la luce appariva ai loro occhi di un innaturale verde fluorescente. La squadra si dispose in formazione, automaticamente, senza bisogno di concordare i movimenti. Un solo agente restò a sorvegliare i prigionieri, che comunque non sembravano avere la minima intenzione di opporre resistenza. Gli uomini si mossero con le armi spianate come un solo organismo, in meno di un minuto avevano coperto l'intera area della stanza, senza trovare traccia di Aila e del suo sequestratore. Niente dietro il tavolo operatorio, niente dietro gli angoli celati da sporgenze delle mura, niente dietro gli scaffali ingombri di candele, niente dietro due grosse sedie antiche e male in arnese. Niente di niente. Sembrava che Aila e chi l'aveva presa si fossero volatilizzati. "Non è possibile, capitano," Disse uno degli agenti, uno dei più giovani della squadra. "abbiamo sorvegliato la porta dal momento in cui abbiamo fatto irruzione, non ci sono finestre, nessuno può aver..." Nico lo zittì alzando una mano, appariva sorpreso, ma allo stesso tempo era chiaro che era arrivato ad una conclusione, quale che essa fosse. Il capitano della squadra tattica sollevò lentamente lo sguardo verso l'alta volta. Ebbe una visione verde delle vecchie travi e degli archi che reggevano il soffitto, vide ragnatele che parevano lunghe metri pendere verso il basso come le braccia di un fantasma che cercava di avvinghiarli. Mosse il capo da un lato all'altro per coprire tutta la volta, gli sembrava impossibile che qualcuno si muovesse al livello del soffitto, eppure Aila e chi, o cosa, l'aveva presa, non potevano essersi scomparsi.
Un'ombra balzò da uno degli archi, volò a mezz'aria e si appese ad una trave, anzi, non si appese, aderì alla pietra come se avesse delle ventose sul corpo. Nico cercò di mettere a fuoco la figura, ma gli infrarossi del visore parevano non riuscire a definirla. Vide solo una macchia nera che pareva pulsare, come se si espandesse per poi contarsi, in un mare di verde fluorescente. Stava per dare istintivamente l'ordine di aprire il fuoco, pur non avendo minimamente idea dell'effetto che i proiettili avrebbero avuto su quell'essere. Ma non fece in tempo. L'ombra calò rapidissima sul giovane agente a lui più vicino. Si udì una specie di sbuffo, contemporaneamente un odore nauseante investì il capitano, portato dallo spostamento d'aria prodotto dal velocissimo movimento della creatura. Subito dopo l'essere schizzò nuovamente verso il soffitto, rapido e quasi invisibile com'era calato. Per la prima volta in vita sua Nico restò paralizzato, del tutto incapace di reagire. Non poté far altro che osservare il giovane agente al suo fianco, che era sobbalzato quando la creatura lo aveva colpito. Il poliziotto iniziò lentamente a ruotare, così Nico poté vedere la sua espressione, per quanto fosse reso possibile dal visore notturno. Appariva strana, un misto di stupore e sofferenza, come se si provasse dolore ma senza avere la minima idea della causa di esso. Nico vide che aveva la parte destra del volto coperta di sangue. I due si guardarono un'istante, l'agente corrugò la fronte, quasi volesse sottolineare il suo stupore per quello che gli stava accadendo. Poi cadde in ginocchio. Al momento dell'impatto delle ginocchia con il pavimento, il contraccolpo aprì il busto in due, dalla vita al lato destro del collo. Una marea di sangue e fluidi organici si riversò sul pavimento, arrivando a bagnare gli scarponi di Nico. Un uomo che ad occhio e croce pesava più di novanta chili, con indosso il giubbetto di kevlar più varie protezioni a placche metalliche, aperto in due come un bue al mattatoio, con un unico movimento talmente veloce da risultare quasi invisibile. Quale creatura poteva mai essere capace di una cosa simile?
Gli altri agenti, anche il più giovane dei quali poteva già dire tranquillamente di averne viste di tutti i colori, si misero ad urlare come bambini spaventati, totalmente in preda all'orrore per quello che stavano vedendo. Uno non riuscì a trattenersi e svuotò lo stomaco sulle pietre gelide. Il loro collega, il loro amico, ridotto ad un ammasso informe di carne sanguinolenta. "Che cosa succede?!" Chiese il poliziotto che stava tenendo sotto tiro i prigionieri, quando non ottenne risposta non resistette e si voltò a guardare, dopo meno di un secondo si unì al concerto di urla.
Solo Nico riuscì a conservare una parvenza di sangue freddo."SPARATE!" Urlò a squarciagola alzando la sua Beretta verso l'alta volta, allineò velocemente i mirini della pistola con la creatura che aveva ricominciato a "pulsare" attaccata al soffitto e fece partire tre colpi in rapida successione. La colpì in pieno, tutti e tre i proiettili raggiunsero l'obiettivo, da quella distanza e con quel bersaglio un tiratore esperto ed abile come Nico non poteva fallire, nemmeno tirando ad occhi chiusi. La colpì in pieno, ma da quella creatura non vennero lamenti, né sgorgò la minima goccia di sangue. L'unico effetto che ebbero i tre proiettili calibro 9mm furono tre lievi spasmi, che sembrarono più che altro infastidire quell'essere. Nico abbassò lentamente la sua arma tenendola stretta con entrambe le mani, continuando a guardare la creatura incredulo, un attimo dopo il resto della squadra aprì il fuoco, il crepitio assordante delle armi automatiche rimbombò nell'ambiente chiuso, coprendo totalmente il rombo del temporale che infuriava sempre più violento all'esterno, mentre un inferno di piombo si abbatté contro la creatura. L'essere, che doveva aver ucciso Aila prima di averla fatta sparire totalmente, venne investito in pieno dalle raffiche, mentre le schegge e la polvere della roccia che andava in frantumi lo avvolgeva. Al tiro partecipò anche l'agente che stava sorvegliando i prigionieri, che subito approfittarono della sua distrazione cercando di fuggire verso la porta divelta.
La creatura venne scossa violentemente dalle decine di proiettili che la raggiunsero, ma ancora una volta non ci fu il minimo lamento, né la minima perdita di sangue o di qualunque altra cosa tenesse in vita quel mostro che pareva scappato dall'inferno più profondo. Quando i caricatori si vuotarono, l'essere si staccò dalla volta, sembrò planare a mezz'aria ed atterrò sul pavimento di roccia senza produrre il minimo rumore, frapponendosi fra la porta spalancata ed i prigionieri che cercavano di scappare. Sembrava un'ombra più che un essere in carne ed ossa, e questo suo aspetto rese ancora più agghiaccianti le parole che essa pronunciò, perché era la voce di un essere umano. Più o meno. "Non vorrete perdervi la festa." Disse la creatura sollevando due falde del mantello nero che pareva avvolgerla, la sua voce sembrava distorta dall'eco di mille oscure caverne, alterata dall'ombra di un terrificante ghigno. I lembi iniziarono a protendersi in maniera innaturale verso i falsi vampiri totalmente paralizzati dal terrore, sembrava che fossero in grado di abbracciare l'intero stanzone, se la creatura lo avesse voluto.
Intanto la squadra tattica aveva ricaricato le armi. "TOGLIETEVI DALLA LINEA DI TIRO!" Urlò Nico, poi puntò la sua pistola verso la creatura ed aprì il fuoco, subito imitato dai suoi uomini. L'essere venne nuovamente colpito in pieno da decine di proiettili. Questa volta sembrò accusare il colpo, indietreggiò di alcuni passi mentre le appendici che si erano protese minacciose si ritirarono. Ma durò poco; non appena i caricatori furono di nuovo vuoti, l'essere tornò ad ergersi minaccioso contro i poliziotti ed i loro ex prigionieri. Ma sembrava non avere intenzione di attaccare, non per il momento, almeno. I poliziotti misero velocemente mano a nuovi caricatori, stavano per iniziare ad inserirli quando dalla creatura venne una specie di verso stridulo che sembrò ipnotizzarli. Sembrava un misto tra il verso di un uccello rapace ed il rumore di unghie gigantesche che grattano su una lavagna. Quella specie di cappa nera che avvolgeva la creatura, di cui la creatura forse addirittura era fatta, ricominciò a pulsare molto violentemente, mentre quel verso infernale continuava, divenendo sempre più disturbante. Gli uomini atterriti notarono che il fluido nero che celava l'essere stava iniziando a ritirarsi, mentre le sue falde scivolavano sul pavimento di pietra producendo un lieve fruscio. Era come se la creatura stesse richiamando qualcosa che faceva parte di sé, e che pure allo stesso tempo fosse qualcosa di diverso, quasi un secondo organismo con il quale viveva in una specie di simbiosi.
Quando l'essenza arrivò ai suoi piedi e cominciò a risalire il corpo verso l'alto, i poliziotti si aspettarono di vedere chissà quale zampa bestiale, chissà quale orrenda parte anatomica appartenere ad una creatura capace di squartare un uomo, con tanto di equipaggiamento tattico, nel tempo di un battito di ciglio, di un respiro affannoso. Magari la zampa di un animale preistorico, verde scuro, ricoperto di scaglie e con artigli duri ed acuminati come punte di ferro, attaccata ad una gamba robusta e spessa come un tronco. Il piede di Lucifero in persona.
Uno scarpone sportivo. Videro uno scarpone sportivo apparire sotto quel fluido nero che continuava a salire, scoprendo due gambe snelle e sode fasciate da un paio di robusti jeans. Nico rinvenne dal torpore che lo aveva colto ed appoggiò il dito sul grilletto della sua automatica, ma non fece fuoco, forse era rapito dall'essenza che ora stava scoprendo una cinta di cuoio spesso stretta attorno ad una vita sottile, o forse semplicemente rassegnato.
Il fluido continuò a risalire, scoprendo a mano a mano un corpo indubbiamente femminile. "Oh mio Dio." Disse Nico guardando la creatura da sopra il mirino della sua Beretta, altri poliziotti si lasciarono andare ad analoghe espressioni quando l'essenza scomparve del tutto scoprendo l'essere sottostante, altri parevano troppo stupiti e terrorizzati per reagire in qualche modo. Parevano non credere ai loro occhi, quello che stavano vedendo era troppo incomprensibile, troppo orribile, specie per uomini che avevano fatto della concretezza, per certi versi della semplicità, il loro stile di vita: c'era un compito che veniva loro assegnato, e loro lo portavano a compimento. Con l'addestramento e con l'esperienza ci si abituava a tutto, al sangue, ai corpi dilaniati dalle bombe, a troncare vite, a rassegnarsi a vivere costantemente sotto l'ombra della morte. Ma nessun addestramento avrebbe mai potuto prepararli a quello che stavano vedendo; tenere aperta la mente, reagire d'istinto anche ad una situazione che non si è pronti a fronteggiare faceva parte dell'addestramento, ma ora c'era solo il terrore che li paralizzava. Quella scena, per quanto incredibile, stava avvenendo davanti ai loro occhi, resa ancora più spaventosa dalla sua concretezza. La creatura non aveva rapito Aila, e non l'aveva nemmeno uccisa. La creatura era Aila. Erano indubbiamente i suoi capelli biondi quelli che ricadevano sulle spalle dell'essere, erano i suoi occhi azzurri che brillavano nella semioscurità, anche se in quel momento la luce verde fosforescente dei visori notturni invadeva ogni cosa, facendo sparire quasi completamente ogni altra tonalità di colore. Era indubbiamente la loro collega, anche se sembrava, ma forse era una suggestione prodotta dall'orrore, che fosse più alta di diversi centimetri.
Ma il cambiamento nella sua statura, per quanto sconvolgente, non era niente se paragonato a quello avvenuto alla sua bocca, al suo taglio sensuale, alle sue labbra carnose, ai suoi denti. I suoi denti. Molti di loro avevano fatto dei cattivi pensieri su quelle labbra, pensieri che avrebbero causato litigi, se non di peggio, con mogli e fidanzate. Ma ora i soli pensieri che quella visione provocava erano riassumibili in un'unica parola: raccapriccio. Le labbra rosse e carnose erano sparite completamente, era come se si fossero ritratte e contorte, fino a divenire due sottili strisce nere che incorniciavano una dentatura da animale feroce. Dei rivoli che sembravano di sangue fresco colavano dai lati di quella orribile bocca, contribuendo, se mai ce ne fosse stato bisogno, a rendere l'aspetto di quell'essere ancora più spaventoso.
Sorrise. La creatura sorrise. Proprio nel momento in cui gli uomini al suo cospetto avevano iniziato faticosamente a pensare che la situazione non potesse che migliorare, la creatura sorrise. E fu come se la terra scomparisse sotto i loro piedi. Perché quel ghigno scoprì due canini acuminati che brillarono nella luce innaturale dei visori notturni. La bocca di Aila si aprì a dismisura lasciando uscire quelle due escrescenze ossee che le arrivavano quasi al mento. "Devo ringraziarvi per avermi salvata." Disse ai poliziotti la creatura che, in un tempo che appariva ormai incommensurabilmente lontano, era stata la loro collega. La sua voce sembrava prodotta da un coro di demoni morsi dalle fiamme dell'inferno. Dopo aver detto quella frase inclinò al testa di lato spalancando ulteriormente le mandibole; era chiaro che si stesse preparando a sferrare il suo attacco.
"APRITE IL FUOCO, PRESTO!" Urlò Nico, sollevò la sua automatica impugnandola saldamente con entrambe le mani e lasciò partire altri tre colpi in rapida successione. Un attimo dopo venne imitato dal resto della squadra che aprì il fuoco con i tozzi mitra scatenando un tempesta di piombo rovente contro l'essere. Ancora una volta decine di proiettili colpirono in pieno la creatura che venne scossa da brividi simili a convulsioni, indietreggiò di diversi passi mentre numerosi piccoli fori si aprirono all'istante sugli abiti che indossava, non emise tuttavia nessun verso di sofferenza, nessun lamento, non versò nessuna goccia di sangue. Da quella distanza un uomo sarebbe stato fatto a brandelli da una simile potenza di fuoco, ma Aila accolse il piombo che le mordeva le carni quasi con fastidio, con l'espressione che si potrebbe avere sotto un temporale, quando ci si accorge che il nostro cappotto preferito è fradicio di pioggia.
"Mio Dio." Disse Nico abbassando la sua pistola. "Non può essere." Disse uno dei poliziotti osservando con orrore i buchi dei proiettili nel corpo di Aila che si richiudevano senza lasciare traccia. L'essere sorrise compiaciuta dalla reazione che aveva causato nella squadra d'assalto, chiuse gli occhi e quando li riaprì essi erano spariti, o meglio, erano stati sostituiti da due grossi globi rossi, simili a due ampolle piene di sangue. Non c'erano più le pupille, non c'erano più le due splendide iridi azzurre, solo due grandi occhi da mostro, che parevano sul punto di sgusciare fuori da orbite divenute troppo piccole per accoglierli. "Ora tocca a me". Disse con quella sua voce che ora pareva anch'essa divenuta troppo grande per essere contenuta da una sola creatura, subito dopo si mosse con tale velocità che parve sparire, il suo spostamento venne accompagnato da un sibilo simile a quello di un'improvvisa folata di vento, e da uno spostamento d'aria che mosse i capelli degli uomini a lei più vicini. Uno dei poliziotti sobbalzò, una frazione di secondo dopo Aila ricomparve ad una distanza di alcuni metri, portando lentamente qualcosa che stringeva nella mano destra alla bocca. Il poliziotto colpito riuscì a voltarsi verso i compagni prima di cadere in ginocchio, allora loro poterono vedere con orrore lo squarcio che aveva al centro del petto, tra il corpetto antiproiettile slabbrato e le giberne tattiche recise. Era il suo cuore ancora pulsante quello che Aila stava divorando.
Fortunatamente tutto cominciò ad accadere così velocemente che i poliziotti ed i loro prigionieri non ebbero nemmeno il tempo di elaborare appieno tutto l'orrore che li stava investendo. L'essere si mosse di nuovo, anche questa volta ad una velocità tale che il movimento risultò pressoché invisibile. Ricomparve alle spalle di un poliziotto che stava cercando disperatamente di inserire un nuovo caricatore nella sua arma, ma il terrore che si era impadronito di lui glielo impediva. Aila pose fine alle sue sofferenze affondandogli i canini nella giugulare. Due potenti getti di sangue schizzarono verso l'alto soffitto, mentre il mostro si nutriva voracemente. Dopo solo alcuni secondi il poliziotto dissanguato venne gettato di lato come una bambola vuota ed inutile. Molti dei prigionieri cercarono di scappare verso la porta, ma Aila, muovendosi ancora ad una velocità che non aveva niente di umano, si frappose fra loro e la salvezza. Ne uccise due quasi in un unico movimento: Colpì uno dei poliziotti esattamente al centro del torace tenendo le dita tese. Le sue unghie, i suoi artigli, duri ed acuminati come piccole lame, penetrarono le carni, frantumarono le ossa, recisero arterie e cartilagini come un coltello caldo taglierebbe del burro. La violenza del colpo fu tale che la mano ricoperta di sangue di Aila spuntò dalla schiena della sua vittima come se non avesse trovato la minima resistenza, afferrò la gola di un altro poliziotto che si era portato in posizione di copertura con la punta delle dita e tirò, strappandogli via la carotide. Il primo poliziotto, che aveva fissato per una frazione di secondo il braccio di Aila che gli spariva nel torace, era rimasto a fissare il vuoto con gli occhi sbarrati, il corpo percorso da brevi e violenti spasmi e fiumi di sangue che gli sgorgavano dalla bocca e dalle narici, il secondo cadde a terra con un getto scarlatto che schizzava dalla base del collo. Per opporre resistenza, Aila mise la mano sinistra sopra lo squarcio nel torace del primo e tirò via il braccio destro completamente ricoperto di sangue. Il poliziotto cadde a terra con un tonfo sordo.
Un'altra raffica di proiettili la investì in pieno. Anche questa volta Aila barcollò ed indietreggiò di alcuni passi, ma non cadde. "A meno che qualcuno di voi non abbia caricato quei giocattoli con pallottole d'argento credo proprio che siate nei guai." Disse con un ghigno terrificante, poi ricominciò la sua opera di eliminazione. Si muoveva velocissima nello stanzone, provocando fruscii e sibili, e dappertutto era un vorticare di braccia e gambe recise, di gole squarciate, di vene ed arterie aperte e grondandi sangue di cui Aila sembrava non essere mai sazia. In breve il mostro cominciò a non fare più distinzioni tra poliziotti e falsi vampiri, per lei erano solo cibo e carne da macello, e tutti avevano lo stesso sapore. Poliziotti e falsi vampiri, per una volta si stava anche divertendo, non solo andando incontro ad un'esigenza fisiologica.
In breve la stanza divenne un mattatoio, con corpi smembrati e dissanguati ammucchiati in ogni angolo, il pavimento ricoperto da un lago di sangue ed un odore metallico e dolciastro che stava invadendo l'ambiente. Tutti, poliziotti e prigionieri, ormai cercavano solo di mettersi in salvo, coscienti dell'inutilità dei loro sforzi di sottrarsi a quell'incubo. A volte inciampavano nei cadaveri, altre scivolavano su una pozza di sangue e venivano uccisi senza pietà da Aila. Solo Nico non cercava di scappare e continuava a sparare con la sua automatica, nonostante fosse ormai chiaro che i proiettili non sortissero nessun effetto su quel corpo innaturale. Dal canto suo Aila non cercava di fermarlo, per il momento almeno, ricevendo decine di proiettili che le squarciavano le carni, che si richiudevano subito dopo, con pazienza. Era come se volesse tenere il capitano della squadra tattica per ultimo, come per una sorta di rispetto tra guerrieri.
Aila spiccò un incredibile salto, quasi un volo, e si attaccò alle spalle dell'energumeno che l'aveva portata dentro come una sanguisuga. L'uomo cercò di liberarsi scrollandosela di dosso, ma il mostro gli restava attaccato con una forza sovrumana, gli affondò i canini al lato del collo ed iniziò a succhiare con avidità. L'energumeno non rinunciò subito a difendersi, continuò a mulinare le braccia senza tuttavia riuscire a colpire Aila, ma dopo meno di un minuto le forze cominciarono ad abbandonarlo, crollò in ginocchio e solo allora Aila si staccò, mentre l'uomo cadeva con la faccia a terra. Si passò una mano sulla bocca insanguinata ed iniziò a cercare la sua prossima vittima, Nico inserì l'ultimo caricatore della sua pistola nell'alloggiamento ed armò il cane. Aila individuò l'uomo che l'aveva minacciata e che se l'era fatta sotto, con un movimento fulmineo gli si parò davanti e gli sbarrò la strada. "Ti prego, abbi pietà." Bofonchiò guardando terrorizzato la macchia di umido che andava dalla cinta alle ginocchia dei suoi pantaloni.
"Pietà?" Chiese Aila esibendo il suo peggior ghigno. "La pietà ha abbandonato la mia vita secoli fa." Qualcosa che non viene trattenuto. Incrociò le braccia all'altezza dei polsi di fronte all'uomo, che continuava a starle davanti totalmente paralizzato dal terrore, diede un colpo secco verso l'esterno e le sue unghie affilate lo decapitarono all'istante. La testa recisa volò verso l'alto spinta dal fiotto di sangue che schizzò dalla base del collo mozzato, poi cadde sul pavimento rotolando con un rumore di ossa in frantumi e si fermò in mezzo ai piedi del cadavere decapitato.
Tre colpi sparati in rapida successione la raggiunsero in pieno volto, si voltò verso Nico con la faccia sfigurata dai proiettili, vide che il capitano era l'unico rimasto vivo nella stanza, fece un passo verso di lui mentre gli squarci sul suo volto si richiudevano e la creatura recuperava il suo aspetto... normale. Si fermò di colpo vicino a tre cadaveri mutilati ed ammucchiati uno sull'altro, improvvisamente si chinò ed affondò un braccio nel mucchio, quando la mano riemerse stringeva il collo di uno dei falsi vampiri: quello che faceva sfoggio di quell'irritante parlantina forbita. Era ancora vivo e non sembrava ferito, benché fosse ricoperto di sangue: evidentemente si era finto morto per salvarsi. Aila lo sollevò dal pavimento con un braccio solo, senza nessuno sforzo apparente. "Oh, il mio amico con il vezzo dell'eloquio." Disse trionfante mentre le sue fauci iniziarono lentamente a divaricarsi. "Sai ora che cosa ti farò adesso? Ti priverò della quantità di sostanza ematica necessaria a far perdurare la tua esistenza, e lo farò senza nessuna remora di carattere morale, e men che meno etico." Detto questo chiuse le sue mandibole da mostro sulla giugulare e succhiò il sangue, solo per alcuni istanti, ma con tale forza che la pelle e la carne della zona morsa si strappò completamente. Aila sputò sul pavimento il brandello insanguinato e scaraventò il corpo ancora vivo contro la parete, con violenza tale che esso esplose contro la roccia, schizzando il sangue rimasto nelle vene tutt'intorno.
Il vampiro aveva finito di nutrirsi, si era ripetuto quello che era successo per decenni, per secoli. Aila aveva attraversato il tempo camminando sulla terra come un immortale, a volte approfittando della sua condizione, a volte limitandosi a subirla; lasciando che la vita e la morte le scivolassero addosso senza lasciare traccia. Qualcosa che non viene trattenuto. Nella miseria che contraddistingue la vita dei mortali c'è sempre un angolo di inferno che ha bisogno di un diavolo, un luogo dove nessuno fa molto caso ad un morto in più o in meno, ed il modo in cui si muore non fa molta differenza. Anche lei ormai non ricordava molto bene il giorno in cui quell'incontro l'aveva resa quello che era, il giorno in cui la vita e la morte cominciarono ad essere per lei concetti relativi. Ricordava solo che c'era il sole quel giorno, c'era il sole quel giorno. Poi aveva visto guerre, catastrofi, eventi che avevano fatto temere l'apocalisse, e che quando erano passati avevano lasciato il dubbio sul fatto che essa ci fosse stata o meno. In ogni occasione si era schierata dalla parte che più le faceva comodo. Anche fare la poliziotta ha i suoi indubbi vantaggi, anzi, forse è uno degli impieghi che più l'aveva messa nelle condizioni di riparare almeno in parte al male che è stata sempre costretta a fare agli uomini. Come in quell'occasione: aveva ucciso senza dubbio dei poliziotti che non meritavano di morire, ma aveva anche annientato una banda di pazzi maniaci senza la quale il mondo sarebbe stato sicuramente un posto migliore. Era stata sempre felice, anche in passato, quando aveva potuto fare queste considerazioni, anche se sentirsi in colpa era un lusso che da tempo non le era concesso. Non odiava gli umani, non più di come un umano potrebbe odiare una colonia di formiche, anzi qualche volta le era anche dispiaciuto uccidere per nutrirsi, quando il bisogno l'aveva costretta. Ma alla fine aveva cercato di convincersi che lei poteva essere una causa di morte come un'altra; può capitare a tutti di finire sotto le ruote di un camion che sbanda, di prendersi una malattia per cui non è ancora stata trovata una cura, o di ritrovarsi la giugulare chiusa tra i canini di un vampiro immortale.
Nico realizzò di essere rimasto solo contro il mostro, la sua squadra era stata annientata in pochi minuti ed i falsi vampiri erano stati fatti a pezzi. Quindi sapeva di non avere molte probabilità di cavarsela, ma era deciso a vendere cara la pelle. Non era certo il tipo da arrendersi facilmente. Aila cominciò ad avanzare inesorabile verso di lui, persino nei suoi occhi da mostro si intravedeva il rispetto e la reverenza, la stessa che dovevano avere gli antichi guerrieri sui campi di battaglia del passato. Nico sollevò la pistola e fece fuoco quando ormai Aila era arrivata a pochi passi, lei sobbalzò quando i 9mm. morsero per l'ennesima volta le sue carni, ma ancora una volta assorbì rapidamente i colpi. Nico cercò di conservare la calma, impugnò saldamente la sua Beretta con entrambe le mani e fece fuoco, cercando di mirare esattamente al cuore della creatura, od almeno nel punto in cui di solito si trova il cuore. Aila si bloccò di colpo quando i proiettili le penetrarono nelle carni, ma subito dopo ricominciò ad avvicinarsi inesorabile. In meno di una frazione di secondo Nico se la ritrovò davanti, la creatura l'afferrò per il collo con una mano sola e lo scaraventò contro il muro, dopo un volo di diversi metri il capitano sbatté violentemente contro la parete di pietra e cadde sul pavimento. Sentiva dolore in varie parti del corpo; probabilmente più di una costola si era rotta od incrinata nell'impatto, ma era riuscito a non perdere la sua arma.
Muovendosi ancora una volta come una brezza oscura nello stanzone, Aila gli si fermò davanti alla faccia, prima che Nico avesse il tempo di cercare di rialzarsi. Lo afferrò nuovamente per il collo e lo sollevò da terra, i piedi di Nico, incredibilmente, non toccavano il pavimento. "Sai, in fondo mi dispiace che anche tu debba fare questa fine." Disse Aila fissandolo con i suoi occhi da mostro. "Conoscendoti sono sicura che proporti un'alternativa sarebbe inutile. Per quello che può valere per te in questo momento voglio dirti che lo eviterei se potessi." Aggiunse con sincerità, poi cominciò a spalancare le fauci preparandosi a colpire.
Cercando di ignorare il fetore che proveniva dalla bocca del mostro, ed il ribrezzo per le sue zanne e le sue labbra sporche di sangue e brandelli di carne umana, Nico le mise la mano sinistra alla base del collo cercando di allontanarla dalla sua giugulare presa di mira, ma capì che era troppo forte, sollevò la pistola e l'appoggiò contro il petto della creatura; da quella distanza sperava almeno che avrebbe guadagnato qualche secondo prezioso, mentre gli tornava in mente quello che Aila aveva detto poco prima. Sparò due colpi avvertendo il calore delle detonazioni sul dorso della mano. La creatura si fermò ed indietreggiò, emettendo addirittura un verso di dolore, allentò la presa ma non lo lasciò andare. Nico cercò di approfittare di quel prezioso istante prima che il mostro assorbisse completamente i colpi ricevuti a bruciapelo, infilò velocemente la mano sotto il giaccone, tra l'apertura nel corpetto antiproiettile e la casacca tattica, afferrò qualcosa di solido e freddo e tirò, avvertì un lieve dolore nella parte posteriore del collo quando qualcosa cedette e si spezzò. Tenne il pugno chiuso davanti al volto un attimo, quando lo aprì sul suo palmo sporco di sangue comparve un grosso crocifisso lucente.
Aila sembrò sorpresa, più che spaventata, dalla visione di quel simbolo sacro, di quel simulacro che nella letteratura vampiresca era così temuta da quelli della sua razza, ma che in realtà per loro non costitutiva nessun pericolo. Addirittura sapeva per certo di vampiri che credevano in Dio. Nico, da parte sua, portava quel crocifisso sul petto per motivi che non avevano nulla a che fare con la fede; ne aveva viste troppe in vita sua per poter ancora pensare che da qualche parte ci fosse un dio che veglia sugli uomini. Al massimo, se anche Dio esistesse, pensava che ormai da tempo si limitasse al ruolo di spettatore. Quindi nulla gli era dovuto. Nulla gli era dovuto.
Portava quella croce sempre con se perché era la prima ed ultima cosa che i suoi genitori gli avevano lasciato, e poi chissà, male non poteva fare. Anche se mai, se anche fosse vissuto un milione di anni, avrebbe pensato che quel piccolo pezzo di metallo avrebbe potuto salvarlo dalla grinfie di un vampiro. "Mi dispiace," Disse Aila con un orribile ghigno. "ma sono atea."
"Lo sono anch'io." Rispose Nico con un duro cipiglio stampato sul volto. "Ed anche a me dispiace, non sai quanto." Poi si mosse velocissimo, cercò di afferrare saldamente il crocifisso, per quanto fosse reso possibile dalle sue dimensioni e colpì la fronte di Aila con il braccio lungo. La pelle della creatura era incredibilmente resistente ma Nico, nonostante la stanchezza ed il dolore per i colpi ricevuti, restava molto forte, tanto che riuscì a conficcare il crocifisso per almeno un centimetro. Il mostro sgranò i suoi grandi occhi privi di pupille nel momento in cui l'argento penetrò nelle carni, lasciò andare il collo di Nico che per la sorpresa cadde a terra, si mise seduto osservando la creatura che si contorceva portando le mani alla fronte, mentre la zona colpita cominciò a sfrigolare come se il crocifisso fosse divenuto rovente. Nella stanza si levò un fumo denso, bianco ed acre che portava con sé l'inconfondibile odore di carne bruciata.
Aila cercava di strapparsi il crocifisso dalla fronte, ma pareva che anche solo il contatto delle dita con l'argento fosse per lei fonte di una incredibile sofferenza. In breve anche la pelle delle sue mani venne ricoperta di vesciche sfrigolanti, mentre l'argento del crocifisso sembrava che si stesse facendo strada verso il cervello. Cominciò ad emettere urla che non avevano nulla di umano, erano i versi che ci si può aspettare di sentire da una belva feroce colpita a morte, nel momento in cui raddoppia di ferocia per vendere cara la pelle. Continuando ad agitare inutilmente le braccia, Aila iniziò senza accorgersene ad allontanarsi da Nico. Il colonnello sapeva che non poteva perdere un solo istante, doveva spingere a fondo il crocifisso nel cervello del mostro; se la creatura fosse riuscita a tirarlo fuori dalla carne probabilmente la ferita si sarebbe rigenerata in pochi istanti ed allora lui non avrebbe avuto scampo.
Cercando di ignorare il fetore di carne marcia e bruciata che veniva dall'essere, Nico balzò agilmente in piedi, recuperò la distanza e sferrò un potente calcio laterale colpendo la creatura esattamente al centro del petto. Aveva pensato per un momento di tentare di colpire il crocifisso, in modo da conficcarlo a fondo, ma il mostro era diventato talmente alto che la sua fronte non era raggiungibile, almeno fino a quando fosse stato in piedi. In condizioni normali quel colpo, per quanto tremendo e sferrato con maestria, non avrebbe provocato nessun effetto, ma evidentemente Aila era talmente debilitata dall'argento che si stava facendo strada nelle sue carni che stramazzò al suolo, cadendo pesantemente sulla schiena. Nico non perse tempo e le fu subito accanto, sollevò un piede con la chiara intenzione di conficcarle a fondo il crocifisso d'argento nel cervello. Stava per abbassare il suo anfibio per darle il colpo di grazia quando Aila mutò. La carne della fronte continuava a sfrigolare ustionata dal metallo, i suoi lineamenti si contorsero, il suo volto parve allungarsi e dilatarsi per poi tornare alle dimensioni normali, il fumo acre lo avvolse completamente celandolo alla vista per qualche istante, quando si diradò Nico vide che Aila aveva perso le sembianze del mostro che aveva trucidato la sua squadra: aveva il volto di una giovane ragazza spaventata e sofferente. Perdeva copiosamente sangue dalla fronte e i suoi occhi erano pieni di lacrime.
Nico era rimasto con il piede sollevato, ma quella visione lo bloccò e non riuscì a dare il colpo di grazia al vampiro, alla ragazza, al poliziotto o a quello che Aila era. "Colonnello..." Mormorò lei con un filo di voce, mentre il suo corpo parve scosso da brividi di freddo. "Sergente." Rispose Nico osservandola come se lei non fosse il vampiro, ma solo una delle sue ennesime vittime prossima alla fine. I due si guardarono a vicenda per qualche attimo, Nico aveva bisogno di cure mediche; era sicuro che qualcosa dentro di lui si fosse rotto nel momento in cui Aila lo aveva colpito, gli occhi di Aila sembravano spegnersi ad ogni istante di più, sembrava che l'argento la stesse corrodendo dall'interno.
Nico avvicinò la mano alla pistola che aveva reinfilato nella fondina che portava appesa alla cintura. All'improvviso i bei lineamenti di Aila tornarono a contrarsi ed a dilatarsi ritmicamente, dopo alcuni attimi in cui il suo aspetto restò indefinito, riassunse nuovamente le sembianza di mostro e balzò in piedi con agilità felina. Portò entrambe le mani alla fronte e questa volta resistette al dolore che le provocava il contatto con l'argento. L'urlo, un misto di dolore e rabbia, che emise nel momento in cui si estrasse il crocifisso dalle carni, fu talmente acuto, stridulo e potente che Nico si sentì gelare fino alle ossa, mentre le fondamenta dell'edificio parvero tremare.
Il colonnello si riprese immediatamente dalla sorpresa e lasciò partire vari colpi a distanza ravvicinata, Aila, evidentemente provata dal contatto con l'argento che le era stato quasi fatale, barcollò ma non cadde. Nico vide inorridito la ferita sulla fronte che iniziava a richiudersi, anche se questa volta sicuramente sarebbe rimasta una brutta cicatrice. Grazie al visore notturno vide Aila che si avvicinava velocemente, questa volta non ebbe il tempo di alzare la pistola e fare fuoco che il vampiro colpì il visore con una mano artigliata, facendoglielo volare via dal volto e sprofondandolo nell'oscurità più cupa. Ora Nico era ancora di più in balia del mostro, incapace di distinguere qualcosa nel buio e con in mano una pistola che, se anche avesse avuto il caricatore pieno, aveva ormai dimostrato la sua completa inutilità. Nonostante questo cercò di non arrendersi, spianò la sua arma verso l'oscurità ogni volta che gli pareva che da una direzione provenisse qualche fruscio o qualche sibilo. Poi si ricordò che compreso nel suo equipaggiamento era compresa una piccola ma potente torcia, la trovò facilmente al buio in una delle tasche ricavate nelle giberne, l'accese ed incrociò il polso che la reggeva sopra quello che impugnava la pistola. Spostò velocemente il fascio di luce e la canna della pistola da un punto all'altro, in modo da inquadrare contemporaneamente la creatura con l'arma e con la torcia. Dopo qualche minuto, in cui ebbe la tremenda sensazione di essere un topo vittima del crudele gioco del gatto, il fascio di luce si fissò sul volto della creatura, vicina solo pochi passi. Le sue sembianze, se possibile, erano peggiorate: agli enormi occhi rossi senza pupille, al perpetuo ghigno demoniaco prodotto dai suoi abnormi canini sporgenti, si era aggiunta un'orrenda cicatrice sulla fronte; sembrava già vecchia di anni, con il rosa della parte ricreatasi che contornava la ferita scura, anche se in realtà erano passati solo pochi istanti dal momento in cui Nico le aveva conficcato il crocifisso nelle carni. Delle altre decine di ferite prodotte dai proiettili non restava traccia, probabilmente l'argento aveva parzialmente intaccato il suo potere di rigenerarsi.
Premette il grilletto. Quasi sorrise quando sentì il click del cane che batteva sulla camera da scoppio vuota. L'arma era scarica. Aveva dimenticato una delle norme fondamentali dell'utilizzo delle armi da fuoco: tenere sempre il conto dei proiettili che si esplodono e regolarsi di conseguenza. Un'errore da pivello. Perfino sul volto mostruoso di Aila si percepì lo stupore, quando il colonnello scoppiò a ridere fragorosamente. La creatura colpì nuovamente la mano di Nico facendo volare la pistola e la torcia lontano, il rumore prodotto dagli oggetti che sbattevano contro le pareti e poi cadevano sul pavimento venne amplificato dal silenzio che ormai regnava nello stanzone. La torcia rotolò sulla dura roccia prima di fermarsi, proiettando il suo inutile cono di luce rasente al pavimento, come ultima beffa illuminò una piccola parte dell'uscita, l'unica cosa che ormai Nico poteva vedere, immerso nell'oscurità, ma che non avrebbe mai potuto raggiungere. Stava comunque per scattare, per non lasciare nulla di intentato, quando sentì una morsa gelida serrargli il collo. Aila, che evidentemente poteva vedere perfettamente anche al buio, lo afferrò per il collo con una mano sola. Nico cercò di colpirla sul braccio, ma la morsa che lo serrava non accennò minimamente a scemare, anzi aumentò di forza arrivando a sollevarlo dal pavimento. Capì che si stavano muovendo, e ne fu certo quando senti la fredda roccia della parete toccargli la schiena, a quel punto aspettava solo che Aila gli desse il colpo di grazia.
"Tu credi nel destino, colonnello?" Chiese Aila, attese qualche attimo una risposta che non venne poi chiese di nuovo. "Credi nel destino?" Attese di nuovo qualche istante ma Nico non rispose, sentiva le sue forti mani che cercavano inutilmente di liberarsi dalla presa. "Te lo chiedo perché ho sempre pensato che il destino fosse solo uno scudo dietro cui si nascondono i vigliacchi per evitare di prendere decisioni difficili. Ma da oggi non penso più questo. Tu hai fatto tutto quello che era in tuo potere per salvarti, ti sei battuto da leone, ma era scritto che tu dovessi morire qui... era destino. Io ho sempre pensato che ognuno di noi ha la vita, o la morte, che si crea, ho sempre pensato che fosse sbagliato subire la vita,, non facendo niente per cercare di migliorarla. Ma oggi ho capito che quelli come noi possono solo morire combattendo. È questo il loro destino. Tu sei un guerriero, esattamente come me, ma, sfortunatamente la nostra non è il genere di sfida che contempla la possibilità di avere una rivincita. Ci sarà sempre questa a ricordarmi che genere di valoroso avversario tu sei stato." Nico immaginò, al buio, che Aila si toccasse la cicatrice sulla fronte con la mano libera. Sentì la stretta al collo che si allentava per un attimo, un istante dopo smise di chiedersi da dove venisse tutta quella sostanza calda e viscida che gli era caduta addosso.
Aila non infierì sul suo corpo, lo adagiò sul pavimento mentre la forte emorragia che proveniva dalla giugulare squarciata cessò non appena il suo cuore smise di battere. Il guerriero aveva smesso di lottare, e non avrebbe mai fatto altro. Forse anche lui avrebbe voluto che le cose fossero andate così. Si guardò intorno, distinse perfettamente, nonostante il buio quasi totale, i corpi più o meno mutilati, gli arti recisi, le testa mozzate tra le pozze di sangue. Avrebbe voluto sentirsi in colpa per quello che aveva fatto, sentirsi almeno un poco in colpa forse le avrebbe fatto sentire che quello che era stata un giorno non era scomparso completamente, annegato in un lago di sangue, sepolto da una montagna di morti, perso in un abisso di malvagità. Ma non ci riuscì, e non solo perché almeno metà di quei morti in vita erano stati folli assassini, ed aveva frequentato abbastanza i poliziotti per sapere che quelli onesti erano rimasti veramente pochi, e quei pochi sapevano di fare un lavoro che poteva uccidere in qualsiasi momento. Il motivo era sempre lo stesso, da secoli ormai, aveva fatto quello che aveva fatto perché così andava il mondo, il suo mondo: il più forte sopravviveva, i deboli erano solo cibo. Era destino. Forse un giorno anche lei avrebbe finito per subirlo quel destino, forse un giorno sarebbe stata lei il debole che soccombeva al più forte. Già quel giorno ci era andata vicino, e forse un giorno o l'altro avrebbe dovuto vedersela con qualcuno che non si lascia impietosire dal viso di una ragazza sofferente. Quel giorno si sarebbe compiuto il suo destino. Lei non era immortale: era estremamente difficile da uccidere, ma non era immortale.
Cominciò a camminare nella stanza per assicurarsi che nessuno fosse sopravvissuto, era sazia ormai, ma non voleva lasciare in giro testimoni, anche se era sicura che nessuno avrebbe creduto ad una sola parola di quello che avrebbe raccontato. Sul pavimento si imbatté in una delle paia di occhiali scuri usati dagli assassini. Lo raccolse e pulì alla meno peggio il sangue che aveva cominciato a rapprendersi, lo avvicinò agli occhi ma lo allontanò subito dopo; qualcosa aveva abbagliato i suoi occhi capaci di vedere al buio. Cominciò ad esaminarli attentamente e vide che, tra le stecchette e le lenti, avevano un piccolo dispositivo che doveva essere un visore notturno. Lo gettò via, come un altro mistero che aveva trovato soluzione e che quindi non aveva più importanza. Raccolse uno degli spolverini di pelle nera che indossavano molti dei maniaci, scegliendo uno dei pochi che non presentava lacerazioni evidenti e che non fosse intriso di sangue, ed uscì all'aria aperta, nella pioggia battente. Ora aveva solo un'altra cosa da fare.
Si recò ad una delle camionette della squadra d'assalto, aprì il portellone posteriore e prese due taniche di benzina dopo aver appoggiato lo spolverino su una delle casse di munizioni di riserva. Tornò dentro, ammucchiò i cadaveri al centro della stanza e versò sopra la pila di morti tutta la benzina, poi vi buttò sopra il suo zippo acceso. Restò alcuni minuti ad osservare il mucchio di cadaveri preda delle violente fiamme, i corpi che si fondevano e sparivano, per diventare un unico mucchio di carne bruciata. Gli odontoiatri forensi avrebbero avuto un gran lavoro da fare per cercare di identificare tutti quei corpi.
Le fiamme l'avrebbero aiutata a far passare inosservata la sua assenza fra i cadaveri, era curiosa di sapere che cosa si sarebbero inventati poliziotti e giornalisti per giustificare quel simile massacro, si sarebbero fatte le ipotesi più fantasiose, si sarebbe parlato di tutto tranne che della verità: si sa, per una comune convenzione i vampiri non esistono. Qualcuno avrebbe fatto notare che non tutti gli assassini erano armati, e che quelli che lo erano non avevano avuto il tempo di usare le loro armi, quindi chi aveva ucciso tutti i poliziotti? E chi era rimasto vivo abbastanza da ammucchiare ed incendiare i corpi? Di sicuro non la poliziotta che aveva fatto da esca e che era entrata in polizia da meno di un anno, sempre ammesso che qualcuno, e Aila aveva forti dubbi al riguardo, avesse notato l'assenza dei suoi resti dalla pila di cadaveri carbonizzati. Restò ad osservare i cadaveri bruciare fino a quando non divennero un'unica massa nera e fumante, poi uscì di nuovo e rivolse il viso al cielo nero e gonfio di nuvole, lasciando che la violenta pioggia le lavasse via il sangue dai capelli e dalla faccia, un umano sarebbe probabilmente morto assiderato in quelle condizioni, ma lei non avvertiva altro che una piacevole frescura.
Aveva gli abiti crivellati di fori di pallottole, ma lo spolverino le arrivava alle caviglie e li avrebbe coperti fino a quando non avrebbe trovato un cambio. Tornò alla camionetta e lo indossò, una delle lunghe falde sventolò, dandole per un attimo le sembianze di un grosso pipistrello. Questo era uno degli aspetti della sua vita di vampiro che più amava, il momento in cui una parte del suo cammino si chiudeva per lasciarne aprire un'altra subito dopo. Era come morire e rinascere centinaia di volte nel corso di un'unica esistenza. Dal giorno dopo Aila, la poliziotta specializzata in infiltramenti, sarebbe morta. Sostituita da chi? Da Aila l'infermiera? O da Aila il medico missionario? O da Aila il soldato al servizio del miglior offerente. Dopo secoli passati a camminare, ed ad uccidere, fra gli umani, trovare chi fornisse documenti falsi senza fare domande non era certo un problema.
La pioggia che non accennava a cessare le appiccò una ciocca di capelli sul viso, s'incamminò sul sentiero ghiaioso e si allontanò dalla villa. Un pezzo di notte che si fonde nelle tenebre. Qualcosa che non viene trattenuto.
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