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Gian Paolo Marocco - un Marinaio caduto per la Libertà
Gian Paolo Marocco - Radiotelegrafista della missione RYE
La Resistenza è fatta di piccoli e grandi gesti eroici, di piccole e grandi sofferenze, di tante vite spezzate come fragili fili di paglia. Per me è un onore recuperare e riunire questi fili spezzati dopo tanti anni ed è con immenso piacere che racconto oggi la storia di una di quelle vittime cadute per la Libertà.
I servizi segreti a Brindisi
Dopo l'8 settembre 1943 Brindisi divenne la capitale dell'Italia liberata, qui operavano i servizi segreti alleati e quello italiano:
- Il servizio segreto italiano (SIM - Servizio informazioni militare),
- il servizio segreto americano (OSS - Office of Strategic Services),
- i servizi segreti britannici: (SIS - Secret Intelligence Service, e SOE - Special Operations Executive)
Brindisi ormai raccoglieva tutto quello che restava dello Stato Maggiore italiano, del Governo, dei Ministri e dei Generali, era tutto concentrato nel castello di Brindisi e nelle tre o quattro palazzine del Comando della Marina. La città era piena di Jeep e camion alleati mentre gli alberghi erano pieni di ufficiali inglesi. Dall'Italia del Nord non arrivava che qualche frammentaria notizia tramite una radio di fortuna del servizio intercettazioni. In un modesto albergo di terz'ordine, l'Hotel Impero, c'era la centrale del SIM, il servizio segreto italiano, dove venivano addestrati gli agenti in base agli accordi presi con i servizi inglesi e americani. Infatti, nel settembre 1943, giunsero a Brindisi alcuni agenti segreti americani che presero contatti col servizio italiano (SIM) e stabilirono che:
- L'OSS e il SIM avrebbero concordato un certo numero di missioni da fare insieme.
- Il SIM avrebbe fornito un certo numero di radiotelegrafisti che l'OSS avrebbe addestrato nella propria base.
- Il SIM avrebbe scelto agenti chiave da inviare al Nord.
- L'OSS avrebbe avuto il controllo delle comunicazioni col Nord Italia e avrebbe finanziato, equipaggiato e inviato missioni via aria, via terra e per sommergibile.
Questo pensavano gli americani ma in realtà gli inglesi erano giunti a Brindisi per primi e avevano già preso accordi col SIM, così si verificò un fitto intreccio di competenze. Gli americani dell'OSS avrebbero fornito al SIM italiano finanziamenti, equipaggiamenti e mezzi di trasporto. Il SIM avrebbe fornito all'OSS agenti addestrati mentre il SOE britannico avrebbe usufruito degli agenti del SIM e delle loro informazioni, mantenendo in pratica il controllo della situazione.
In base agli accordi, il SIM forniva i radiotelegrafisti e gli altri agenti alle missioni organizzate dall'OSS; a queste partecipava a volte anche un militare americano o inglese, un sottufficiale che assumeva per l'occasione lo status di ufficiale. Da alcune testimonianze sembra che questi militari conoscessero sempre piuttosto bene la lingua italiana.
L'addestramento avveniva presso la sede del SIM all'Hotel Impero dove i giovani agenti venivano affidati al tenente Venturini che spiegava loro il sistema di cifratura inglese e altri accorgimenti utili nel servizio segreto.
Il SIM reclutava i radiotelegrafisti tra il personale della Regia Marina, otto di essi furono reclutati dal tenente medico Enzo Boeri, a Napoli, a bordo dei sommergibili mandati a fornire energia elettrica al porto. Altri provenivano da unità navali internate dagli alleati, come ad esempio la corazzata Vittorio Veneto che fu internata nei Laghi Amari nel canale di Suez in Egitto.
Gli ultimi giorni di Gian Paolo Marocco
Inizia qui l'ultimo tragico capitolo della storia di Gian Paolo Marocco, detto Marelli, che fu sottocapo radiotelegrafista proprio sulla corazzata Vittorio Veneto.
Il giovane aveva appena ventitré anni quando la sua nave fu internata. Ormai libero da occupazione fu fatto rientrare in Italia, a Brindisi, da agenti alleati i quali avevano un forte bisogno di radiotelegrafisti per le missioni segrete da compiere in Nord Italia. Il sottocapo Marocco accettò di collaborare e così fu avviato all'addestramento nella base del SIM di Brindisi, probabilmente anche lui fu affidato all'istruttore tenente Venturini che operava all'Hotel Impero.
Al termine dell'addestramento il SOE e il SIM organizzarono una missione con sbarco di informatori nella Venezia Giulia e in Alto Adige. Era la missione RYE che partì da Brindisi a bordo del sommergibile Nichelio il 26 novembre del 1943 alle ore 16:53. Il comandante del sommergibile era il T. V. Claudio Celli e a bordo era presente anche mio padre, il sottocapo Radiotelegrafista Lorenzo d'Abbieri.
A bordo del sommergibile Nichelio
Il viaggio fino alla foce del Po durò due giorni. Ormai mancavano solo 63 ore alla cattura di Marocco e dei suoi compagni, di queste ore almeno 53 le hanno trascorse sul sommergibile in compagnia dei membri dell'equipaggio. Naturalmente il personale di bordo aveva i suoi compiti da assolvere e gli agenti avevano la consegna della riservatezza, tuttavia 53 ore sono tante e gli spazi angusti favoriscono lo scambio di battute per fare conoscenza.
Erano tutti ragazzi. Mio padre aveva 23 anni come pure Gian Paolo Marocco, erano entrambi sottocapi e radiotelegrafisti. Come molti sanno la categoria dei radiotelegrafisti era una specie di casta elitaria forse per la difficoltà di comprendere l'alfabeto Morse. Tra loro gli RT si scambiavano segnali Morse a voce per scherzare in allegria ma li usavano anche per farsi riconoscere. Uno di questi segnali è il "TI TI TI TAA TI" che voleva dire "capito". Quando un radiotelegrafista emetteva questo segnale gli altri RT si giravano per individuarlo, consapevoli che c'era un amico nelle vicinanze. Le altre persone presenti, invece, non capivano nulla e questo faceva tanto casta di eletti. Circa 20 anni dopo, quando io ero solo un adolescente, ricordo che mio padre usava il clacson della FIAT 850 di famiglia per suonare un "TI TI TI TAA TI" di saluto quando per strada incontrava qualche collega del Centro Radio della Marina, dove tutti erano ottimi operatori RT.
Perché ho voluto raccontare questa abitudine di mio padre e degli RT in generale? Perché sono convinto che sul sommergibile Nichelio, subito dopo aver imbarcato gli agenti e i loro materiali, una volta in navigazione, mio padre o qualcuno degli altri RT a bordo, sicuramente avrà lanciato un "TI TI TI TAA TI" di saluto e sono convinto che Marocco si sarà sentito chiamare dagli amici. Che gioia sarà stata per lui sentirsi un po' a casa, tra amici, lui così carico di tensione per la pericolosa missione che stava per compiere!
Una gravosa responsabilità
Certamente il giovane Marocco, detto Marelli per ragioni di riservatezza, era consapevole della grande responsabilità che aveva, infatti a lui era affidato il compito di trasmettere i rapporti della missione fino alla base a Brindisi. Senza di lui non si sarebbe potuto comunicare con la Centrale e tutto il lavoro fatto dai suoi colleghi sarebbe stato vano. Senza di lui non sarebbero partite informazioni e non sarebbero giunti aerei a lanciare armi per le formazioni partigiane. Senza di lui, uomini impegnati in una lotta impari sarebbero certamente morti.
C'era tensione e forse anche un po' di timore. Si, il Sottocapo Marocco non era certo un novellino, era abituato al mare infatti era stato imbarcato sulla corazzata Vittorio Veneto, ma un sommergibile mette una paura diversa. In caso di affondamento, quando lo scafo si squarcia colpito dalle bombe di profondità, non si hanno scialuppe, non si può nuotare, il mare t'invade e ti schiaccia in un attimo. Questo pensiero avrà certamente procurato forti timori in quegli agenti non abituati alle profondità marine. Anche gli spazi a bordo del sommergibile, che già erano così angusti da dover dormire sopra i siluri, ora lo erano ancor di più con altri 7 uomini a bordo e i loro equipaggiamenti. Ma quegli uomini del Nichelio, seppur giovanissimi, erano veterani che avevano sulle spalle almeno tre anni d'imbarco e molte missioni in combattimento, per questo motivo si saranno adattati anche a quella situazione così sacrificata, anzi, avranno aiutato gli agenti a fronteggiare il disagio per gli spazi angusti e la mancanza d'aria. Sicuramente sarà nata un'immediata simpatia tra equipaggio e agenti accomunati dal pericolo sempre incombente.
Lo sbarco
Il pomeriggio del 28 novembre 1943 il sommergibile raggiunse il luogo dello sbarco e si mise in attesa del buio. All'interno gli uomini erano nervosi e controllavano gli equipaggiamenti e le carte per lo sbarco. Per raggiungere terraferma la missione richiedeva l'uso di una barca che il sommergibile aveva portato ben fissata allo scafo. Questa barca di legno avrebbe trainato due gommoncini neri (detti tacchini) per trasportare i materiali. Sul Nichelio c'era tensione, poi il comandante disse: "è ora!". Il sommergibile affiorò e gli uomini aprirono il portello. Fuori era freddo per l'inverno ormai alle porte. Alcuni marinai uscirono e cominciarono a slegare la barca di legno per metterla in acqua. Altri, ai raggi della luna, gonfiarono i due tacchini e li misero in mare legandoli alla barca di legno. Gli agenti nel frattempo avevano portato fuori i loro materiali e li stavano caricando sui gommoncini. Erano tutti avvolti in ampi e goffi cappotti poco adatti alle operazioni in mare. Avevano tutti uno zaino sulle spalle e Marocco portava con se l'inseparabile radio ricetrasmittente. Erano lontani dalla costa perché, per ragioni di sicurezza, il sommergibile non aveva potuto avvicinarsi oltre. Li aspettava una lunga vogata che in effetti si protrasse per un'ora e mezza. Una volta a terra gli uomini erano stremati per la fatica e fradici di acqua di mare; sbarcarono i loro materiali e si misero in marcia alla ricerca di un rifugio per passare la notte. Era passata da un bel po' la mezzanotte quando videro una capanna nel bosco e decisero di fermarsi li. Dei 7 uomini, che facevano parte di tre gruppi distinti (il Nichelio aveva trasportato uomini di tre missioni), 4 si fermarono nella capanna, tra cui i marconisti, gli altri 3 invece andarono oltre per capire dove si trovavano. Il luogo in cui erano sbarcati era, infatti, a circa due miglia di distanza da quello programmato perché la presenza di forze tedesche aveva costretto il sommergibile a spostarsi oltre. Ciò creò anche un secondo problema: il mancato aggancio con l'uomo della formazione partigiana incaricato di accoglierli e guidarli. Uno di questi uomini era Silvio Gortana che racconta nelle sue memorie di aver preso contatti con agenti sbarcati da un sommergibile. Ma ciò avvenne nel corso del 1944 e quindi per altre missioni. Nel novembre 1943, purtroppo, la missione RYE non ricevette alcun supporto da terra.
La cattura
La zona in cui i 4 agenti si fermarono era battuta dalle truppe tedesche e forse la capanna era un nascondiglio così scontato che veniva visitata ogni mattina. Fu così che la mattina del 29 novembre 1943 i quattro agenti furono catturati dai tedeschi e portati via. Per la cronaca degli altri tre, due furono catturati e uno solo si salvò.
Qui terminano le 63 ore da uomo libero del sottocapo Marocco e comincia una dolorosa parentesi che dura 8 mesi. Il sottocapo radiotelegrafista Gian Paolo Marocco viene condotto con gli altri nel lager di Bolzano dove i tedeschi internavano i prigionieri e li interrogavano. Marocco in quella prigione fu torturato per estorcergli informazioni che tuttavia non aveva. La missione era fallita ancor prima di nascere e probabilmente il giovane RT prelevato dalla Vittorio Veneto, poco o niente conosceva dei servizi SIM e SOE. Non disse nulla perché non sapeva nulla e di ciò si convinsero anche i tedeschi quando, dopo otto mesi di torture, capirono che il detenuto non stava nascondendo nulla. Fu allora che, ormai inutile, venne trucidato insieme ad altri 22 giovani, molti dei quali appartenenti alla Regia Marina.
L'epilogo
Era l'alba del 12 settembre 1944 quando 23 prigionieri vennero prelevati e condotti presso la caserma di Artiglieria "Francesco Mignone" a Bolzano. Ai 23 fu subito riservato un trattamento diverso dagli altri, non fu chiesto loro di lavorare, mantennero i loro indumenti e furono tenuti uniti. Non uscirono se non per essere uccisi. Nelle stalle della caserma venne sparato a ciascuno un colpo alla nuca e i loro corpi furono gettati in una fossa comune senza alcun identificativo.
All'epoca dell'eccidio Gian Paolo Marocco aveva appena 24 anni.
La sua missione era fallita ma dopo di lui vennero altri ed altri ancora, furono paracadutate armi e materiali per le forze partigiane, furono trasmesse informazioni sui movimenti delle truppe occupanti. Se la Resistenza ha potuto svolgere un ruolo determinate a Genova, a Torino, a Milano e in tutto il Nord d'Italia ciò è stato possibile anche grazie al sacrificio di ragazzi come Gian Paolo Marocco, un ragazzo di Varese che si offrì volontario perché aveva innato in se il senso del dovere e gli ideali di libertà e giustizia. Gian Paolo Marocco non si tirò indietro quando si trattò di liberare il suo Nord, la sua terra natale, dagli occupanti e per questo fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare.
Onori al Sottocapo Gian Paolo Marocco!
Mio padre Lorenzo continuò a servire la Patria sul sommergibile Nichelio fino alla fine della guerra compiendo numerose missioni speciali. Quando si congedò aveva trascorso ben 5 anni della sua vita a bordo dei sommergibili.
Fu insignito del distintivo d'onore dei sommergibilisti e di due croci di guerra al Valor Militare con relativi vitalizi. Rientrato in Marina compì fino alla pensione il suo dovere con fedeltà e per questo fu insignito del titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana.
Non seppe nulla della fine di quel ragazzo con cui aveva condiviso le sue ultime ore di libertà. Mio padre ora ci ha lasciati ed io, che in sua memoria ho voluto ricostruire questa storia, vorrei salutare questi due radiotelegrafisti come entrambi avrebbero voluto. con questo segnale:
TI TI TI TAA TI
TI TI TI TAA TI
TI TI TI TAA TI
Onori ai Radiotelegrafisti della Marina!
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1 recensioni:
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- Antonio mi aveva accennato di questo suo racconto che, oltre ad essere bello per il contenuto ed i valori che trasmette, lo è anche (forse sopratutto) per i sentimenti vibranti che da esso trasudano e per la forma, scorrevole ed assolutamente ineccepibile, con cui è scritto.
Il rispetto e la considerazione dovuti a chi, come il Sottocapo Marocco, hanno sacrificato la loro vita per la nostra libertà non sono qualcosa di banale ed evidente. Ma vanno coltivati giorno per giorno e ravvivati con testimonianze come quella che viene riportata in questo racconto. E di questo dobbiamo tutti ringraziare l'autore.
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