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Al mio figliolo.

Stavolta non pronuncerò il tuo bellissimo nome, ma ti chiamerò come a te piace, perché un appellativo affettuoso vale molto di più del proprio nome.
Quando ti succhiavi il pollice e ti ribaltavi nel liquido amniotico, il silenzio che ti avvolgeva era infranto dal canto felice di tua madre che all'epoca vocalizzava: Amore lontanissimo, canzone interpretata da Antonella Ruggero.
Ricordo le premure che lei si prendeva per il suo "pancione" e la sua volontà che tu crescessi sereno, forte del suo Amore e cullato dalle materne carezze.
Spesso la mia mano coccolava quella strana protuberanza e mi chiedevo da chi fosse abitata e in che modo sarebbe cambiata la mia esistenza. Ogni sera alle 21 c'era un momento ricreativo, piccoli e grandi scalciate da sferrare, tanto per dare il segnale che tutto stesse a posto!
Tua madre mi chiamava a sé, cosicché anch'io potessi percepire al tatto gli urti dei tuoi calci, ma quando iniziavo a tambureggiare sull'addome proteso di tua madre, tu ti fermavi immediatamente.
Già da allora volevo comunicare con te e farti percepire che al di là del buio che ti circondava, c'era un altro mondo che ti avrebbe accolto con tutto il calore possibile.
Resta indimenticabile l'ecografia nella quale per la prima volta io e mamma scorgemmo che quel tira calci serale era un maschietto! Quando vidi chiaramente i tuoi testicoli, l'emozione della sorpresa e il mio orgoglio, mi fecero esultare: ma è un maschio!
Sinceramente non so come avrei reagito se al tuo posto ci fosse stata una femminuccia, probabilmente sarei stato ugualmente felice, ma sappi che la nostra unica preoccupazione era che tu nascessi sano!
Sorrido ancora quando ripenso a quel bellissimo 20 di agosto: lo stupore sui tuoi occhi socchiusi, il tuo viso lungo, la ciocca indomabile dei tuoi capelli che scendevano fluenti sulla fronte, le lunghissime unghie che nei primi mesi tagliavo con delicatezza e attenzione, la pronta reazione al colpo del martelletto sul tuo ginocchio e la valutazione massima dei tuoi riflessi.
Ricordo le tue prime parole: Mamma, papà, Totti. E le lunghissime dormite che facevi, fino a 12 ore consecutive, tua madre si allarmava e mi chiedeva ti controllare il tuo respiro, perché pensava che tu fossi morto!
Sei il nostro unico figlio. Il destino non ha voluto che tu avessi un fratellino o una sorellina con cui giocare e condividere la tua storia e le tue emozioni.
Mio caro figliolo, ti chiedo di perdonare i miei errori, il tempo per i giochi che non ti ho concesso, la mia serietà che poco si adatta al tuo carattere, le poche carezze che ti ho dato.
Volevo che tu sapessi tutto questo.

 

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4 commenti     1 recensioni    

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1 recensioni:

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  • Antonio il 14/11/2017 16:31
    Un bel racconto dove hai descritto con dovizia temi molto importanti.

4 commenti:

  • Fabio Mancini il 09/05/2015 14:17
    Confermo tutto ciò che hai scritto, caro, Stanislao. Mio figlio ha quasi 16 anni e anche questo dettaglio conferma la bontà del tuo pensiero. Un sorriso gentile, Fabio.
  • Paolo Villani il 09/05/2015 10:30
    Per dargli un fratello o sorella bastava adottare.
  • Ellebi il 09/05/2015 01:37
    Composizione molto bella, complimenti e saluti.
  • Stanislao Mounlisky il 08/05/2015 10:08
    Il tuo bellissimo scritto mi ha mosso molte considerazioni e te le voglio scrivere a ruota libere.
    Abbiamo imparato dai nostri genitori a manifestare affetto e emozioni. Se loro non sono stati attenti con noi, ci sarà difficile esserlo coi nostri figli. Ma parlarne è importante. Dal riconoscimento delle proprie difficoltà, dall'autocritica, si arriverà a poco a poco a perdonarci e a farci perdonare, a farci conoscere per quello che siamo -uomini, come tanti e diversi da tanti altri- e non solo genitori.
    Non so quanti anni ha tuo figlio ma, da tuo precedente racconto, lo immagino adolescente.
    Gli anni sono volati da quando scalciava nel pancione ma le tue emozioni di allora e quelle relative ai primi mesi sono vive e inalterate. Lo hai accolto con gioia e orgoglio. Poi, quando i figli crescono, iniziano i primi "braccio di ferro", per la loro educazione, per il loro bene, s'intende. Essere padri al giorno d'oggi è più difficile che nei tempi passati: vuole dire sapere crescere continuamente anche noi, passo passo, altrimenti si può scoprire, all'improvviso, che c'è un baratro tra il piccolino sorridente e fiducioso che ci rendeva felici e il ragazzo critico e scontroso che è nostro figlio oggi. Ma non è mai troppo tardi, se lo si vuole veramente, per costruire un ponte.
    Scusa per la lungaggine. Ciao. Stanislao

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