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Fate l'amore con il terrore
Siena 19982
"Stavolta, mi sa che l'ho perso" penso, scendendo in fretta le scale.
Tutte le mattine la stessa scena. Corro, anche se il vento gelido di gennaio mi schiaffeggia rude e la strada che porta alla fermata dell'autobus è tutta in salita.
Arrivo che l'autobus sta facendo salire gli ultimi passeggeri. Stravolto e affannato, mi appendo alla maniglia e mi dico anche oggi quello che dico tutti i santi giorni: "E se uscissi cinque minuti prima, Arturo?"
L'autobus parte e comincia a scendere per via Celso Cittadini; fatte poche centinaia di metri, tuttavia, si ferma dietro ad una colonna di auto. E lì rimane.
Strano. Strano davvero questo traffico a Siena. In questo punto della città, poi. Sarà successo un incidente. Infatti giunge angosciante il suono delle sirene.
L'autista ha aperto le porte e molti scendono curiosi di sapere quel che succede. Io voglio semplicemente farmela a piedi, forse così potrei ancora sperare di arrivare in tempo alla lezione delle 10 del professor Goodwin. A passo svelto, in venti minuti possono essere in Piazza San Francesco, sede della facoltà di Scienze Economiche e Bancarie
Giunto al semaforo, vicino alla filiale della Banca Toscana, vedo una quantità mai vista di auto della polizia. A questo punto divento curioso anch'io e mi avvicino a un signore anziano che staziona sul posto.
"C'è stata una rapina in banca" mi dice, prima ancora che io apra bocca per chiedere qualcosa.
Una rapina? A Siena? La notizia ha dell'incredibile.
"Pare che siano state le brigate rosse" aggiunge il vecchietto visibilmente eccitato dal fatto che per una volta la storia abbia deciso di transitare vicino casa sua.
Le brigate rosse?
La notizia non solo è ancora più incredibile ma è anche destinata a modificare il corso della mia giornata.
Addio lezione, vado in federazione.
Se la notizia fosse confermata, occorrerebbe organizzare una grande manifestazione studentesca di protesta.
Io sono del PCI. Il terrorismo per me è insopportabile: nessun avvenire glorioso si può costruire impastando la storia con il sangue di vittime innocenti.
La federazione trabocca di compagni in agitazione.
Mentre discuto con Sergio, il segretario della Lega degli Studenti Universitari, sull'eventualità di organizzare un'assemblea degli universitari al rettorato, arriva il segretario provinciale.
Il questore l'ha informato che i terroristi sono stati intercettati durante la fuga, c'è stato un conflitto a fuoco subito fuori Siena e due carabinieri sono stati uccisi insieme a un terrorista. Ora il gruppo di fuoco e pare alcuni fiancheggiatori sono in fuga disperata per le campagne intorno alla città e, forse, anche dentro le mura.
Prepariamo un volantino per un'assemblea alle due nell'aula magna. Poi ognuno di noi va verso le proprie facoltà per fare volantinaggio.
Con Sergio ci diamo appuntamento al rettorato. Io farò uno degli interventi durante l'assemblea.
L'attacco terroristico ha fatto scalpore nella sonnacchiosa Siena e in facoltà si registra una forte tensione emotiva e una diffusa voglia di "far qualcosa"; in pochi sono a lezione, quasi tutti sono nel chiosco e nei corridoi a scambiarsi impressioni e informazioni.
Mentre alcuni compagni continuano il volantinaggio, decido di andare un po' in biblioteca per buttare giù qualche appunto sul mio intervento all'assemblea.
Mentre sono assorto nei miei pensieri, mi sento toccare la spalla. Mi giro e rimango di giaccio.
Carmen. La mano sulla spalla è la sua, il viso bellissimo, pallido e sudato è il suo, gli occhi smarriti sono i suoi.
"Ca.. Carmen, che ci fai qui?" le dico alzandomi.
"Ho bisogno di te, Arturo".
La guardo interrogativo e perplesso, lei non mi spiega. È evidente che non voglia parlare lì davanti a tutti.
"Vieni, andiamo via di qui" le dico e usciamo dalla biblioteca del Circolo Giuridico.
"Arturo, ti cercavo", mi dice "Sono nei guai, quando ti ho visto mi è sembrato un miracolo."
"Oddio Carmen, hai a che fare con questa storia? Sei pazza?"
Non mi risponde e abbassa gli occhi, in mano ha il volantino che i miei compagni stanno ancora distribuendo. Poi alza il viso verso di me e i suoi occhi si aggrappano ai miei.
Bastano pochi secondi e capiamo entrambi che la aiuterò, senza se e senza ma, senza farle paternali o comizi, almeno per adesso, senza pensare ai rischi e alle conseguenze. Alla faccia della coerenza e di quello che dirò da qui a poco all'assemblea.
"Andiamo a casa mia, lì nessuno ti cercherà", le dico, "solo te, però. Non voglio vedere nessun altro."
Appena usciti dal portone della Facoltà, li vediamo entrare dall'arco che da via dei Rossi immette in piazza San Francesco; saranno una ventina fra poliziotti e carabinieri, controllano tutti quelli che passano e avanzano verso il portone.
Non ci resta che tornare in dietro. Temo si sia in trappola. L'ex-convento dei francescani che ospita le facoltà di SEB e di giurisprudenza è attaccato alla cinta muraria e non c'è via di fuga.
"Vieni con me" e saliamo al secondo piano. La mia idea è banale, probabilmente troppo: chiudersi in un bagno. Forse sono i primi posti dove cercheranno, ma non riesco a pensare ad altro.
Passando vicino alla segreteria dell'Istituto, vedo che la segretaria non c'è e la porta è aperta. Mi viene un'idea.
"Avvertimi se viene qualcuno" dico a Carmen mentre entro. So dove sono le chiavi degli uffici dei docenti. Scelgo la stanza del professor Sereni, con cui sto preparando la tesi. So che è all'estero per un convegno.
Raggiungiamo la stanza che ho scelto come rifugio e dopo aver controllato che nessuno ci guardi, entriamo.
Sono teso, sudato e con il cuore a mille. Mi siedo per terra e aspetto.
Aspetto che la paura mi passi, aspetto che il respiro torni normale, aspetto di capire cosa ci faccio in quell'ufficio ad aiutare una terrorista che forse ha appena ucciso due carabinieri.
Lei si siede accanto a me e abbandona la testa sulla mia spalla dicendo solo un flebile "Grazie, Arturo".
"Grazie un cazzo", le urlo. Per poi mordermi immediatamente la lingua: dal corridoio ci potrebbero sentire. Attendo qualche minuto e con la voce più bassa che posso, parto con il mio pistolotto.
"Avete ucciso due persone, Carmen, due esseri umani che facevano il loro lavoro. Magari due papà che saranno attesi invano dai loro bambini, sicuramente due figli che le mamme piangeranno finché campano. Non lo capite che vi stanno usando contro di noi? Proprio per non farlo cambiare questo cazzo di Paese, per continuare a comandare loro".
Mi giro in cerca di una risposta ma Carmen sopraffatta dalla tensione sta dormendo, almeno così mi sembra. E nel sonno il suo viso si è finalmente disteso e sembra quasi che stia sorridendo.
Cazzo, Carmen, riesci sempre a fregarmi. Ma non mi meraviglia per niente il desiderio che provo di accarezzarle il viso e di stringermela fra la braccia portandola lontano da qui, lontano da tutto.
Passano i minuti, Carmen dorme con la testa appoggiata alla mia spalla e io penso a come diventa strana e imprevedibile la mia vita quando entra in gioco Carmen. Fra pochi minuti dovrei parlare davanti ad un'assemblea di protesta contro il brutale attentato terroristico e al momento sto proteggendo uno degli attentatori.
"No, non stai proteggendo uno di loro, stai aiutando la tua Carmen", penso.
"E non la stai proteggendo dalla polizia, ma da se stessa, dai suoi errori, dalle sue scelte sbagliate", continuo.
"Quanto sei retorico", mi dico, mettendo fine all'inutile dialogo interiore.
Comunque sia, non riesco proprio a fare altrimenti.
Con Carmen ci siamo amati come capitava ai sedicenni della fine degli anni settanta. Con l'intensità dei giovani di tutti i tempi ma con l'ambizione che la nostra storia fosse parte della storia del mondo che cambiava o che doveva cambiare. Il nostro amore non poteva che partecipare al cambiamento. Era rivoluzionario. "Compagno amore mio", iniziavano le lettere che ci mandavamo.
Quella stessa politica ci aveva separato. Fisiologicamente allergico a ogni forma di violenza, io ero entrato nella FGCI, diventando automaticamente un odioso revisionista da evitare politicamente e purtroppo anche privatamente. Io non avevo mai smesso d'amarla.
Un rumore di passi pesanti e delle voci mi riportano al presente. La polizia è arrivata.
Bussano ed entrano negli uffici che trovano aperti. Bussano anche al nostro che fortunatamente avevo chiuso a chiave.
"Brigadiere", sento urlare dopo l'ennesima porta che non si apre, "si faccia dare le chiavi di questi uffici. Poi controllateli tutti."
Siamo fottuti, cazzo.
Mi viene istintivamente di pensare alla mia mamma e a quando saprà. M'immagino persino il suo viso dolente, ma senza traccia di rimprovero, quando verrà a farmi visita in carcere per la prima volta. Cominciamo a sentire le porte che una a una vengono aperte; per un paio di volte sembra che tocchi a noi, quando i rumori sono particolarmente vicini, ma si tratta prima della stanza accanto e poi di quella di fronte, dall'altra parte dello stretto corridoio: ci hanno regalato ancora qualche secondo di vita.
Mi figuro come la notizia ecciterà Gustavo Selva che sul GR2 di domani leggerà un editoriale sulla pericolosa e colpevole contiguità, provata dall'episodio di Siena, fra settori del PCI e terroristi.
Eccoli. Infilano la chiave nella toppa dell'ufficio del professor Sereni.
Tremo per le botte che sicuramente mi daranno.
Girano la chiave. Aprono la porta. Probabilmente danno un'occhiata veloce alla stanza. Chiudono la porta.
Chiudono la porta. Vanno via.
Il tutto non sarà durato più di 10 secondi, forse meno, ma accucciati sotto la scrivania stretti all'inverosimile a noi è sembrata un eternità.
Ora capisco come abbiano fatto a non trovare la prigione di Moro in via Gradoli quando hanno bussato alla porta e, con i terroristi armati dietro l'uscio, hanno girato i tacchi e sono andati via.
Come hanno fatto a non insospettirsi per la poltroncina della scrivania messa tutta fuori, come hanno fatto a non vedere la borsa appoggiata al muro di fronte alla scrivania dove eravamo seduti pochi istanti prima che entrassero e che avevamo, come dei deficienti, lasciato in bella vista? Come hanno fatto a non sentire l'odore della paura che usciva dal nostro fiato?
Ma tant'è che io, Carmen e mia madre siamo salvi, almeno per ora, e Gustavo Selva non saprà mai cosa si è perso.
Rimango convinto che difficilmente i terroristi verranno sconfitti militarmente, almeno non da questi militari. Verranno sconfitti solo se saranno isolati politicamente, se si farà terra bruciata intorno a loro.
E maledico me stesso perché dovrei essere anch'io a farlo e invece mi sto baciando appassionatamente con una terrorista sotto la scrivania del professor Sereni.
Io e Carmen siamo rimasti nello studio fino al pomeriggio inoltrato in silenzio per evitare che ci potessero in qualche modo sentire.
Siamo andati a casa a piedi eludendo un paio di posti di blocco che controllavano auto e bus. Io divido la mia casa con altri due studenti. Fortunatamente in questo periodo non hanno lezione e sono tutti e due in Calabria. Saremo soli e al sicuro.
"Mi dai l'accappatoio che voglio fare una doccia?", chiede, "e mi presti una tua camicia che lavo la mia roba?"
Carmen è sotto la doccia, sulla poltrona della mia camera ha posato la sua ampia borsa a tracolla semiaperta. Non riesco a trattenermi e ci guardo dentro. La prima cosa che vedo è una carta d'identità rilasciata dal comune di Brembate e intestata ad una certa Claudia Regoli, ma la foto è la sua. C'è anche un passaporto con lo stesso nome. Ha un golfino blu e dentro sembra esserci qualcosa di pesante. Lo prendo e mi sento gelare. È fredda, dura, scura e puzza di grasso e polvere da sparo. È la prima pistola che tocco e mi spaventa.
Cosa cazzo stai facendo, Arturo? O forse dovrei dire dove sei? O torni in te o scappi. O come diceva mio nonno, o te ripi o te rocchi, o ti fai da parte o ti nascondi.
"Carmen", le grido dalla porta del bagno, "vado a comprare le sigarette. Torno subito" . Non so se sente e non mi pare risponda.
Il freddo della sera mi pulisce il cervello, cammino e anche se non fumo entro in un tabaccaio. Dove non si parla d'altro che della rapina e dei due carabinieri uccisi.
La Nazione è uscita in edizione straordinaria. La compro. Quante volte ho letto notizie di questo tipo, quante volte ho visto le foto dei cadaveri per terra coperti da un lenzuolo. Ma questa volta è tutto diverso. Mi sembra di essere stato io.
Mi viene la tentazione di usare il gettone che ho in tasca per chiamare il 113. Forse il rimorso mi passerebbe. Ma è solo un attimo. Proprio non lo posso fare e torno indietro.
Apro casa e la trovo quasi buia. Una fievole luce viene dalla cucina da dove sento Carmen cantare.
Mi pare una cosa un po' imprudente e del tutto inopportuna, io ho ancora il giornale con le foto dei morti in mano. Sono quasi pentito di non aver telefonato.
In cucina è accesa solo la luce sotto la cappa; Carmen mi volge le spalle e sta lavorando davanti al tavolo di formica gialla.
Si gira solo un momento sentendomi arrivare.
"Avevo voglia di cucinarti qualcosa. Non c'era granché, sto facendo una frittata con le zucchine. Ti piace?"
Senza sentire la mia risposta, torna a voltarsi e a tagliare le zucchine.
Non so se sia consapevole dello spettacolo che mi sta offrendo. Ha indosso solo la camicia a grandi quadri scozzesi che le ho dato e sotto è nuda. La luce che proviene dalla cappa mette in evidenza tutte le curve del suo corpo. È a piedi scalzi.
Si gira un attimo verso di me e mi sorride: ne è consapevole.
Impazzisco di amore e desiderio e tutto il resto passa in cavalleria. Per seppellire i rimorsi butto via la Nazione.
Mi avvicino al tavolo, mi metto dietro di lei e l'abbraccio. Comincio a baciarle il collo.
Lei nulla dice e nulla fa. Continua a tagliare le zucchine, come se niente fosse.
Le accarezzo i seni da sopra la camicia e sento i capezzoli si induriscono.
Mi sembra di riconoscerli, mi sembra mi riconoscano. Le sbottono la camicia che le si apre davanti, ora la mia pelle della mia mano tocca direttamente i suoi seni e lei taglia l'ultima zucchina.
La mia mano scende sui fianchi e arriva ad accarezzare le gambe, Carmen prende la ciotola avorio e apre le uova. La mia lingua le lecca l'orecchio destro e lei impugna una forchetta per sbattere le uova.
Ora la mia mano è fra le sue gambe, le accarezzo la parte interna delle cosce e arrivo al suo sesso caldo e bagnato. Mi vuole, mi aspetta, mi desidera, ma inizia a sbattere le uova, come se fosse del tutto normale avere qualcuno che ti accarezzi la fica mentre fai da mangiare.
Con le mani le allargo le gambe per prendere pieno possesso del suo sesso e Carmen sala le uova.
Mi inginocchio e le lecco mordicchiandoli i glutei e infilo poi la lingua nel solco che li divide. Ora la mia lingua le accarezza la fica e finalmente un sospiro le esce dalle labbra ma continua a sbattere le uova.
Mi alzo e mi spoglio; sono pronto, sono tanto pronto che mi fa male.
Carmen adesso lascia la ciotola e la spinge al lato del tavolo, sposta anche le altre cose e si adagia sul tavolo.
Mi prendo il cazzo in mano e cerco la strada per entrare dentro di lei. Lei è bagnata e non è difficile entrarle dentro. Mi fermo e la guardo distesa sul tavolo con una mano vicino alla bocca, le ammiro la schiena, le spalle il bacino, il culo. È bellissima.
Le metto entrambe le mani sui fianchi e inizio a muovermi.
"Bentornato a casa" mi dice.
Ed è così che mi sento come uno che apre la porta di casa dopo una lunga assenza, come una nave che ritrova l'imboccatura del porto dopo una tempesta. E devo impegnarmi con tutte le mie forze per non venire subito.
Continuo a muovermi dentro lei godendomi lo spettacolo magnifico del suo culo che balla, dei suoi seni adagiati sul piano di formica, del suo sguardo perso nel vuoto, dei suoi pugni chiusi ma non serrati adagiati sul tavolo.
Si muove anche il tavolo e tutto quello che vi è posato sopra; una forchetta finisce a terra e le uova sbattono da sole nella ciotola che piano si avvicina al bordo del tavolo.
Mi fermo; non so perché, forse solo per avere un ricordo in fermo immagine di quanto sta avvenendo, per fissarlo in modo indelebile nella mia memoria.
Poi ricomincio a muovermi più velocemente di prima; il suo respiro si fa più rapido e quasi affannoso; il tavolo ora viaggia per la stanza.
Tutto l'universo converge su quel tavolo, precipitando sul mio cazzo e la sua fica. Altro non esiste. Il mondo fuori non c'è più, si è dissolto, liquefatto.
Lo sento arrivare da dietro la spalla e stavolta non mi potrò controllare. Spingo ancora più forte e il tavolo fa un salto; la ciotola con le uova sbattute ha raggiunto il bordo del tavolo.
"Arturo..." la ciotola finisce a terra, le uova cadono giù.
La frittata è andata e io vengo.
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Carmen muore in un conflitto a fuoco con la polizia nel Giugno del 1985
In quello stesso anno, Arturo vince una borsa di studio Fulbright per gli USA. È diventato un'economista ultraliberista e oggi impone il verbo del FMI nei Paesi in via di sviluppo.
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