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Vivere... che lavoro!
Tanto intenti a cercare di soddisfare le necessità materiali nostre e di coloro a cui teniamo, che ci rimane davvero tempo per appagare le nostre ambizioni? o quantomeno iniziare ad imboccare il sentiero che ci poterà a guardare chiaramente i nostri desideri?
I nostri desideri... cosa vogliamo davvero?
L'unica moneta che davvero conta e che ci viene continuamente sottratta, il tempo, ha cominciato da un po' a portarmi a chiedere se davvero questa felicità esista, o se già solo per il fatto che ce lo si domanda, questo non fa nient'altro che spingercela più lontano.
Che la felicità sia solo un costrutto dunque, un'idealizzazione che deve solo nascere nella mente senza esserne manipolata per poter vivere e prendere corpo, realizzarsi.
Certo, d'istinto verrebbe da affermare: "Quanti paroloni, quante seghe mentali" a volte come tutti sono portato a pensarlo, del resto basta star bene di salute noi, i nostri cari, i nostri amici e conoscenti, già riuscire ad ottenere questo dono il più a lungo possibile nella vita dovrebbe bastare per farci ammettere di aver tagliato questo arduo traguardo, aver finalmente sfamato l'insaziabile belva della soddisfazione/felicità.
Riducendo questa considerazione sul piano personale, ultimamente posso ammettere che è assai più facile trovare pace: da poco una nuova sfida fisica mi si è parata davanti... Artrosi all'anca. Da una certa prospettiva la comparsa di certi nemici personali sono una benedizioni, uccidendo dannose astrazioni e concentrando le energie su ciò che pretende e merita più attenzione.
Si, tutto avrebbe anche diritto d'essere visto nel suo insieme, una visione a grand angolo del panorama più ampio: il motivo principe della nostra esistenza, diverso per ognuno di noi, che dovrebbe trainarci e guidarci, noi, povere formiche smarrite.
Ognuno di noi, questo il verbo sostenuto da molti credo, se volessimo considerarci come specie, dovrebbe combattere le forze del male votate alla distruzione, ognuno con i propri mezzi e doni naturali per cercare di conseguire la più alta forma di bene concepibile: l'armonia del genere umano.
Ora, quest'ultimo paragrafo mi sembra davvero un sunto dei più bei libri di favole. Ovviamente a uno come me che si è sempre riconosciuto nel termine idealista, certo farei di tutto per riuscire a vedere l'alba di quel giorno. Purtroppo però mi rivedo anche nella parola realista, che tristemente si contrappone alla precedente. Perché sono convinto non solo per scelta ma anche per necessità l'uomo si vede costretto, soffocato, oppresso nel vedersi come singolo, o quantomeno non più grande dell'unità famigliare. Piccoli branchi che affrontano la propria quotidianità, gioie e avversità per sopravvivere nella personalizzata versione di giungla urbana. Certo come risultato in parte accidentale in parte volontario di tutto ciò ne deriva anche il caos/benessere collettivo, ma ripeto questo deve essere vita come conseguenza accidentale, in quanto risultanza delle singole necessità-volontà individuali. È proprio a questo punto che mi viene da soffermarmi su uno dei concetti a mio parere più paradossali della società economica moderna: la vita lavorativa.
Ben inteso, sono ben consapevole e favorevole che ogni apina o formica dia il proprio personale contributo all'andamento dell'alveare o formicaio che sia, anche se questo alla fine dovesse rivelarsi più realisticamente il piccolo branco di lupi di cui sopra. Bene, anzi male, il paradosso esistenziale a cui accennavo prima è tristemente noto a tutti o quasi: lavoriamo per procurarci i mezzi economici indispensabili per una vita onesta nel rispetto delle libertà altrui, (sempre il nostro io sia proteso in quella direzione) , e quella vita per cui lottiamo e ci sacrifichiamo viene costantemente e metodicamente prosciugata proprio di quel liquido essenziale per la cui difesa tanto ci danniamo: IL TEMPO.
Il tempo, la vera moneta, l'unica unità di misura che conti davvero ce la vediamo spremere tutti i giorni, continuamente! Quale il senso? Otto dieci dodici ore tutti i dì, per cinque, a volte ancora sei giorni la settimana per quarantadue e ormai anche di più anni nel corso della vita. Vendere la maggior parte del nostro tempo ed energie in cambio dei soldi per vivere una vita che ormai non abbiamo più, rapita da quegli stessi soldi che tanto abbiamo sudato per avere.
Ecco questa a parer mio è una delle migliori definizioni di follia che si possano trovare e che tanto, troppo ci avvolge nelle sue spire. "Amici" assassini come alienazione, apatia, depressione diventano spesso nostri ospiti quotidiani, uno stampino che preciso, inevitabile sagoma i giorni, uguali, prevedibili, ridicoli.
Seguitiamo comunque sia ad andare avanti, spinti protetti e motivati addirittura dall'abitudine più che dal bisogno ad un certo punto.
Questo se lo chiedete a me è il vero nemico dei nostri giorni. Sogno una società che riesca a ridefinire la distribuzione del proprio tempo lavorativo, perché no anche traendo spunto e collaborando con altre nazioni, nessuno dice che l'Italia debba avere l'esclusiva.
È essenziale secondo me alla fine riuscire a mettere le mani sulla ricompensa, ciò per cui ci si batte, succhiare quel benedetto midollo della vita a cui tutti anelano, riuscirci almeno in parte o per lo meno avere la possibilità, IL TEMPO di provarci, altrimenti invece di essere un sogno la vita si riduce ad essere un breve incubo da cui preghiamo di svegliarci per poi cadere fortunatamente tra le ossute braccia della morte.
... Che allegria!
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- Il lavoro che succhia linfa vitale all'uomo, in cambio di un salario o di uno stipendio che spesso non è altro che una battuta di spirito: ottocento euro o mille euro. Sarebbe necessaria una politica economica in grado di ridurre le ore e aumentare il salario... se solo non ci fossero i mangioni, gli arraffatutto che stanno ai vertici, la redistribuzione delle risorse sarebbe più equa e tutti sarebbero un po' più felici... ma questa si chiama utopia.
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