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La fuga
Non aveva ancora compiuto quaranta anni e conosceva da molto alcool e hascisc... Pasquale aveva incominciato a fumare e bere a quindici anni, quasi per gioco, per apparire grande, per ridere e divertirsi con i suoi amici.. poi era diventata un'abitudine. Pasquale era un uomo dalla pelle scura, magro e ossuto; rideva raramente, forse perché non aveva tutti i denti. Aveva il naso grosso, reso rosso dall'alcol e tutto questo lo faceva apparire più vecchio.
Non era un mio assistito.
Lo era, invece, la sorella Vincenza, con cui viveva.
Lo avevo conosciuto durante un inverno in cui si era ammalato d'influenza e sapevo molte cose su di lui, perché la sorella, ogni volta che veniva da me, finiva col parlarmene; si vedeva che per lei era un vero cruccio.
Il problema esisteva ed era di difficile soluzione, perché lui lo negava a se stesso affermando che tutti, dopo il lavoro, si fermavano al bar per bere.
Beveva di tutto: vino, birra e super alcolici; al mattino prendeva " il caffè corretto ", come se volesse far intendere che nel caffè l'effetto dell'alcool si neutralizzasse.
Quando rientrava a casa poggiava cioccolatini e caramelle sul tavolo, quasi a dimostrare l'innocuità di quella serata con gli amici.
"Lo vedi che non ho bevuto, ho preferito prendere le caramelle per te!" diceva, ma Vincenza, ormai, lo riconosceva a distanza quando beveva: il barista era solito dare dolcetti, in mancanza di spiccioli, come resto.
Questo ormai lo sapevano tutti.
Pasquale non frequentava le donne, non guardava la tv, non leggeva i giornali, per lui esisteva solo il lavoro, le bevute con gli amici e qualche canna di sera, per sentirsi appagato, felice... felice di quella miseria interiore che, come la nebbia, non gli permetteva di vedere oltre.. di esplorare sentimenti, sensazioni ed esperienze, e di prendere coscienza che l'esistenza aveva pure altre facce.
Il suo era un mondo di apatia, solitudine e rassegnazione.
Un giorno Vincenza mi chiese di passare a trovarla, perché era molto preoccupata per il fratello.
Lo aveva dovuto portare in ospedale, durante la notte, perché era stato poco bene: in preda ad uno stato di agitazione, di ansia e tremori incontrollabili. Gli avevano prescritto dei farmaci, ma rifiutava di assumerli. Ora si era asserragliato in cucina a pregare.
Questo, era proprio un fatto strano: Pasquale che prega!
Pasquale non era credente," forse prega per trovare conforto, quello stato di malessere deve averlo impaurito" pensai.
Sicuramente era una crisi di astinenza. Non avevo altre visite quel giorno,
pensavo che sarei rientrata presto a casa. Mai avrei immaginato che si sarebbe fatta notte, prima che potessi varcare la soglia della mia abitazione.
Quando arrivai in quella casa, notai un silenzio strano; normalmente il loro cane abbaiava alla vista di estranei e lei, Vincenza, arrivava di corsa ad aprire il cancello. Ma il cancello era aperto e sentii un vociare in cucina. Entrando vidi che don Paolo confortava la donna, mentre lei piangeva a dirotto. Sentii che le diceva : "Comà, qui ci vuole il medico.. io non posso fare niente... non è opera del Maligno!" Mi introdussi subito nel discorso, parlammo per un po' , poi il prete ci benedisse e si accomiatò. Pasquale, in ginocchio, pregava vicino ad una statuetta del Sacro Cuore, riposta su una mensola, in un angolo della cucina.
Mi avvicinai per convincerlo a prendere i farmaci e per conversare un po'con lui, in modo che potesse esternare le sue paure, i suoi pensieri e le sue ansie. Gli ripetevo : " capisco quanto stai male!". Mi guardò fisso negli occhi. Mi chiese poi di seguirlo al piano superiore; ubbidiente salii con lui in una specie di sotto tetto aperto. Non s'intravedeva nessuna protezione intorno, era uno spazio coperto da assi di legno e sorretto da pilastri; un grosso tavolo sgangherato troneggiava in un angolo, ricoperto di carte e tante immagini sacre. Pasquale mi ordinò di sedermi con piglio autoritario e incominciò a recitare il suo rosario.
Confesso che mi venne il panico, capii che era in preda al delirio ma, istintivamente, ritenni di dover comunque nascondere la paura, dovevo mostrarmi sicura e affrontare la situazione.
L'uomo si rivolse a me, improvvisamente, dicendomi con occhi spiritati: "Dio me l'ha detto che sarebbe venuta a trovarmi Suor Lucia, proprio la suora di Fatima... ma tu non le somigli! non sei Suor Lucia! non sarai per caso il diavolo? " A queste parole, cosi fuori di senno, pensai di essere in pericolo, e scappai.. Scesi le scale di corsa, mi sembrava di volare, passando in cucina urlai alla sorella che avrei chiamato il 118, per farlo ricoverare d'urgenza.
Uscii per strada.
Nel mentre Pasquale, dal sottotetto, lanciava sassi nella mia direzione e urlava maledizioni e parolacce a squarciagola.
Arrivò l'equipe del 118.
Vincenza confessò che Pasquale possedeva un fucile e che lo teneva in casa, nascosto in cantina.
Lui era sempre li, nel sotto tetto, a lanciare sassi e a cantare "deus ti sarbede Maria".
Vennero i vigili che, di nascosto, passando da una porta posteriore, portarono fuori di casa un fucile, avvolto in un asciugamano. Nessuno però poteva salire a prendere l'uomo con la forza, se prima non veniva firmato il documento di : " ricovero coatto " da parte del sindaco.
Il sindaco si trovava non molto lontano dalla città ; occorreva circa un'ora per avere tutte le carte in regola.
Intanto, intorno alla casa, si era raccolto un crocicchio di persone. Ognuno diceva la sua; tutti stavano con il naso all'insù, mentre Vincenza, poverina, continuava a implorarlo di scendere e a dirgli che se non l'avesse fatto sarebbero arrivati i carabinieri.
Sentendo quelle parole, Pasquale scese le scale di corsa. Tutti tirammo un sospiro di sollievo pensando che quella santa di sua sorella l'avesse convinto; invece, egli spiccò un balzo, superò un muretto e, arrivato nel cortile, dopo essersi guardato intorno, scappò via nei campi scalzo e con un rosario in mano.
Bisognava seguirlo.
Per prima partì l'auto con a bordo i medici del 118. Poi quella dei vigili. Infine la mia con Vincenza. Poi ancora quella di alcuni vicini, mentre altri curiosi ci seguivano a piedi.
Un vigile con la moto attendeva lì , nella casa del delirante, l'autorizzazione firmata dal sindaco per il ricovero.
Pasquale correva, correva, entrava nei cortili di alcune case, poi di nuovo usciva nei campi. Alcuni cani randagi lo aggredirono; ma lui non si fermò, proseguì imperterrito la corsa. Aveva la pelle delle gambe abrasa dalle spine. Non si contavano le ferite alle caviglie, dovute ai morsi dei cani.,
Finalmente ci superò il vigile con la moto; finalmente portava il foglio firmato; finalmente si poteva agire.
Due vigili e due infermieri, posti in posizione strategica, bloccarono ogni via di fuga a Pasquale;
Lo presero dopo averlo immobilizzato, lui si fece prendere, senza però abbandonare il rosario ancora stretto tra le mani. Povero Pasquale!
La fuga era, ormai, finita...
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