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Lady Kitten è libera
Gianluca.
Giorgio lo conosco da quando ero piccolo. Era un nostro vicino di casa e molto spesso veniva, quando io e il mio fratello-gemello avevamo circa sette anni, a casa nostra a giocare con mia sorella e con noi. Giorgio e mia sorella avevano cinque anni più di noi ed erano molto amici tra loro.
Di solito facevamo giochi di fantasia nel nostro grande giardino che era curato amorevolmente da nostra nonna. Crescendo però, quei magici ricordi d'infanzia, che mi legavano a Giorgio, vennero sostituiti da qualcosa di diverso, qualcosa a cui nemmeno io sapevo dare un nome, ma, di certo sentivo che era un qualcosa di fortissimo che andava ben oltre alla semplice amicizia.
La cosa mi fu particolarmente chiara quando lo rividi, davvero, dopo molto tempo. Io avevo diciotto anni e si poteva dire che fossi abbastanza carino anche se, forse, eccessivamente effeminato, sempre che sia corretto parlare di "eccessi" per questo genere di cose (già, perché?). Lui invece ne aveva ventré. Mia madre aveva trovato dalle nostre parti un cucciolo di gatto, un bellissimo gattino nero con una macchia bianca a forma di stella sul musino, e pensando fosse dei vicini, mi chiese di andare da loro a chiedergli se il gatto fosse stato uno dei loro. Ad aprirmi fu proprio Giorgio. Lui sembrava in imbarazzo e io ero peggio di lui. Così mi sbrigai a fargli vedere la miagolante creaturina che avevo tra le braccia, per poi svignarmela il più in fretta possibile. Lui accarezzò la bestiolina, ma mi disse che purtroppo non era una dei loro. Io stavo già per "gettarmi giù per le scale" quando inaspettatamente lui mi chiese: "Gianluca, perché non ti fermi qua, un attimo?".
I suoi genitori non erano in casa. Giorgio era solo con degli amici, compagni di università, pensai. Devo dire che l'adorabile gattina rese la conversazione il più rilassata e naturale possibile. Poi uno degli amici di Giorgio mi chiese: "Hai la ragazza?". Io timidamente risposi di no. Poi sghignazzando, un altro, mi chiese: "E il ragazzo?". Diventai rosso, volevo scappare. Loro insistevano. E allora io, non so cosa mi prese, ma mi alzai in piedi dal divanetto sul quale ero seduto e dissi tutto d'un fiato: "Io amo Giorgio, l'ho sempre amato". Il silenzio calò. Fu interrotto solo dopo un po' da Giorgio che balbettò: "N-non me-me l'avevi mai detto!".
Lady Kitten.
"Brava... su, fa la brava!". L'accarezzo, le do le sue crocchette preferite, ma lei è irrequieta lo stesso. Deve sentire qualcosa, Stellina, qualcosa vibrare nell'aria; un presagio importante. Miagola, miagola e ancora miagola, mi si struscia contro le sottane. Sono irrequieta anche io. Ogni tre per due guardo giù dalla finestra, quella che dà sul Lambro, come se aspettassi un segno, come se mi aspettassi un segno emergere dalle acque sporche del fiume. Ho sempre pensato che se mai avessi avuto nella vita una casa tutta mia, questa sarebbe stata senz' altro un appartamento. Detesto le case grandi. Le case grandi servono solo per farsi vedere e sono impegnative da governare. Qui ho tutto lo spazio di cui ho bisogno. Certo, avrei preferito avere anche un pezzettino di giardino, ma il balconcino può bastare.
Ho scelto di vivere qui perché amo Monza. L'unico problema di Monza è che non c'è il lago. Io avevo bisogno di vivere vicino ad un corso d'acqua. Il Lambro alla fine è solo un rigagnolo inquinato, ma è quello che c'era qui, e va bene. Osservare l'acqua che scorre è la cosa che più mi rilassa al mondo, è la cosa che più in assoluto mi fa sentire a casa. Ancor meglio è quando piove e il fiume si ingrossa, e il rumore dell'acqua ti culla meglio di qualsiasi altra cosa.
La porta, il campanello suona, è giunto il momento! Il cuore mi sobbalza in gola, Stellina si avventa sulla porta, ricomincia a miagolare come un ossessa, e graffia, con tutta la forza che ha, contro di essa. Mi decido ad aprire. Apro. Mi ritrovo davanti a me un uomo sconosciuto. So che dovrei conoscerlo, in fondo a me so chi è, eppure qualcosa mi sfugge.
Eppure non è cambiato molto. Sono passati quindici anni e lui non è cambiato di una virgola. Forse qualche rughetta attorno al contorno occhi, forse. È ancora bellissimo.
Si china verso Stellina e le carezza la testa macchiata di bianco. Lei si mostra diffidente. "È cresciuta però?!". "Certo che lo è! Sono passati più di quindici anni da quando te la portai, smarrita, a casa tua, quel giorno!" Gli rispondo con tono duro. Lui ride, di un riso amaro e mi risponde: "Non sei affatto cambiata Lady Kitten!". Due statue di sale, sembriamo due fottute statue di sale.
"Io alla fine decisi di tenere la gattina con me... in quegli anni in cui iniziò il mio calvario!"
"No, non dire così!"
Sono parole di fumo quelle tra noi, che non hanno senso, che si dissolvono nel nulla.
Giorgio.
Quando lui se ne andò non sapevo più che dire. Furono i miei amici a darmi l'idea. Non ci dormii tutta la notte. Gianluchino, il fratello minore di Elsa, la mia migliore amica di tanti anni fa! Passai la notte a pensare a lui. A cercare di capire quali sentimenti mai mi suscitasse. E i sentimenti che mi suscitava mi facevano paura, mi terrorizzavano. Così decisi che la cosa migliore da fare fosse dare retta a quegli squinternati dei miei amici.
Invitai il giovane a casa di uno di loro. Brutalmente gli dissi che se davvero mi amava come diceva avrebbe dovuto esaudire ogni mio desiderio, e anche i desideri dei miei amici, ovviamente. Lui annuì, era d'accordo. Era innocente, Gianluca, e bello. Si inginocchiò ai miei voleri, in tutti i sensi, e a quelli dei miei amici.
Dentro di me sapevo che quello che stavamo facendo non era giusto, ma io non volevo ascoltare quello che avevo dentro di me. Ne avevo una fottutissima paura!
Gianluca era diventato il nostro schiavetto. Poi una sera Fede, uno dei miei amici, parlando di quanto fosse effeminato il nostro schiavetto, propose: "Ma perché non lo vestiamo da donna?".
Così lo vestimmo da donna, più che altro da troia. Lui doveva amarmi tanto per assecondarci così tanto. Certo allora pensavo solo fosse una "maiala persa e trasgressiva".
Una volta (s)vestito da puttanone gli facemmo fare un giro del nostro paesello. Non so come riuscisse a reggere tutto ciò. Ci mancò poco che la sua famiglia lo cacciasse di casa. O forse, loro, lo cacciarono, ma con lui di queste cose non parlavamo mai. Lui sembrava non averne mai abbastanza. Mi implorò di "prostituirlo". Lo mandai, senza pietà, a maschi, e gli tolsi tutti i soldi. Lui sembrava essere contento così. Probabilmente scambiava le umiliazioni che crudelmente gli infliggevo come inconfutabili prove d'amore.
Questo genere di cose andò avanti per un po' di tempo. Gianluca era diventato Lady Kitten e con le marchette si manteneva alla grande. Una sera, non so nemmeno bene oggi perché, decisi che era giunto il momento di porre fine a tutto. Lei uscì con un cliente, un vecchio viscido. Poi la feci salire per farmi dare la mia parte di soldi. Li presi, poi accesi la macchina e la portai verso una zona boschiva. Una volta giunti lì la feci spogliare. La feci inginocchiare. Le pisciai addosso. E con una voce che non era la mia le dissi: "E ora torna a casa... se non ti arrestano prima!".
Gianluca.
Lady Kitten sta in questi vestiti, in quella lunga gonna di foggia orientale adagiata su quella sedia di fianco al letto. Senza quei vestiti Lady Kitten non esiste più. E mentre fotto selvaggiamente il culo, purtroppo non vergine (perché solo dio sa quanto avrei voluto davvero fargli male!), di Giorgio gli urlo contro: "Lady Kitten, non esiste, non è mai esistita!"
Lui mugola, e dice un soffocato sì. Ma anch'io lo so che ho ragione. Ed è assurdo, buffo. Ho passato tutti questi anni a portarmi in giro, ma quello che portavo in giro non ero io. Era una goffa bugia. Del resto mi sono sempre detto: "Se non importa quello che realmente sono all'unico uomo che abbia mai amato nella mia vita, perché dovrebbe importare a qualcun altro?". Lady Kitten mi ha salvato la vita, mi ha permesso di sopravvivere. Ma ora non mi accontento più della sopravvivenza. Ora so che essere realmente me stesso importa a qualcuno, e quel qualcuno sono io.
Dovrei infliggergli l'ultimo colpo di dolore, ma so che per lui sarebbe solo un ultimo colpo di piacere. Perché tutto ciò è finzione. Se voglio essere davvero, realmente, crudele con lui, devo lasciarlo insoddisfatto. Mi sottraggo. Lui infatti fa un gemito di disappunto. Gli dico di rivestirsi subito, di andarsene via da casa mia, che è solo una persona cattiva che gode del male fatto agli altri, di lasciarmi in pace, di lasciarmi da solo nel mio bell'appartamentino che si affaccia sul Lambro, _ che dopo sarei andato a piedi fino alla Villa Reale a rimirare il laghetto del parco, con i suoi cigni, le sue papere, e le tartarughe e le carpe "giganti", per ritrovare, forse, un po' di pace_, ma lui già non mi ascoltava più, o forse se n'era già andato. Stellina entra nella mia stanza da letto e si struscia, facendo le fusa, contro le mie gambe nude. Ho ancora nell'orecchie l'eco di una frase tardiva forse pronunciata da lui mentre se ne andava: "Ti amo!". Non è vero che non è mai troppo tardi per certe cose...
... ma ora, però, Lady Kitten, finalmente, è libera!
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- La vendetta è un piatto che va servito freddo. Lady Kitten il suo piatto l'ha preparato e conservato a temperature glaciali aspettando il momento opportuno per servirlo. E infatti un senso di gelo allo stomaco facilmente assalirà il lettore giunto alla fine di questo racconto ambientato, come la maggiorparte di quelli dell'Autore, nel mondo duro delle Fate Ignoranti.
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