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ANA-quarta parte
La signora Alina aveva circa cinquant'anni, bionda, di carnagione chiara, portava i capelli raccolti sulla nuca tenuti da una fascia di lana che le incorniciava il viso. Parlava con un timbro di voce pacato, parlava e sgranava gli occhi, così languidi che pareva volessero nascondere cose molto tristi e dolorose. Avevo capito che era vedova. Con lei abitavano due figli, il maggiore, Corneliu, insegnava in una scuola elementare, il più piccolo Roman frequentava ancora una scuola professionale. La signora Alina mi permise di tenere, durante le ore di lavoro, il piccolo Samuel; d'altronde come avrei potuto fare? era troppo piccolo per essere lasciato da solo, in casa. Dopo circa due mesi, mi invitò a trasferirmi nella sua casa: "Vieni, trasferisciti da noi, c'è una stanza anche per te e Samuel, i miei figli sono contenti!" . Lasciai nella mia dimora, con grande gioia del padrone di casa, tutti i mobili e anche il letto in ferro battuto, per ripagarlo dei mesi d'affitto che non avevo potuto saldare. Vivere nella nuova casa, tutti insieme, significò far crescere mio figlio in una vera famiglia. S' instaurò con la signora Alina una certa complicità, perché aveva capito che ero una ragazza onesta e affidabile. Con Samuel si comportava come una vera nonna, affettuosa e paziente. Percepivo che mi voleva bene; nutrivo una profonda gratitudine nei suoi confronti, adoravo sentirla parlare, ascoltarla. I suoi discorsi non erano mai banali, era saggia, colta e poi, detto tra noi, mi aiutò, come si suole dire, ad aprire gli occhi. In quel periodo la società stava cambiando ed io, vissuta sempre in solitudine, non conoscevo nulla di ciò che stava capitando alla nostra nazione. Mi stupiva che non parlasse mai di suo marito, neppure con i figli. Pensai che avesse trovato il modo di superare il dolore, che avesse trovato il modo per amarli da sola. Avevo incominciato a capire che c'era fermento nell'aria quando mi mandò, alle tre del mattino, a fare la fila al mercato. La gente sostava in attesa che aprissero i cancelli, e mentre si aspettava, coglievo l'insoddisfazione, la pena, la paura di un domani incerto. E nei mercati si trovava ben poco. Rape, patate dure come sassi, cicoria, mele, ma di pessima qualità; qualche volta si vedevano in vendita pere e castagne. Ci avevano consegnato un libretto; potevamo avere dal comune due chili di carne al mese, trecento grammi di zucchero; un piccolo aiuto ma non bastava, non si poteva vivere. Si sopravviveva. Per sopravvivere ci si arrangiava. La signora Alina era ben voluta e spesso riceveva dei regali, un pollo, delle uova, farina. In cambio dava qualche lenzuolo, abiti ancora in buon stato. Nelle case faceva molto freddo, tanto che circolavano battute come questa: "Chiudi le finestre quando ci sono manifestazioni per strada. I compagni potrebbero gelarsi!". Mi sentivo completamente ignorante, non conoscevo neppure chi fosse il nostro Presidente, né il suo nome.. La signora Alina : "Si chiama Ceausescu, basta che ti guardi intorno e lo vedi ovunque!" diceva, mi istruiva; incominciavo a capire certi discorsi, certe frasi incomplete, certe paure... Mi ripeteva continuamente : "Non fidarti, ci sono molte spie in giro, attenta a quello che dici, la polizia è tremenda!" l'immagine di Ceausescu era in tutte le strade, non si sprecavano elogi, poesie e canzoni dedicate alla sua figura. Avevo colto alcune frasi, ma soprattutto negli occhi dei figli capii quanto fosse grande il disprezzo verso quest'uomo. . La signora mi parlava della polizia, la "Securitate", di quanto fosse oppressiva, arrivando persino ad informarsi su chi ascoltava la radio americana, clandestina, considerata anti regime. La Securitate arrestava persone sulle quali gravavano anche solo indizi, sospetti, li torturava e li condannava senza uno straccio di prova concreta. Anche il marito della signora Alina scomparve nel nulla; me lo confidò un pomeriggio in cui notai in lei una particolare tristezza. Ormai potevamo parlarci apertamente, erano mesi che vivevo con loro e non mi si poteva nascondere nulla. Mi consideravo una ragazza intelligente; con lei stavo crescendo culturalmente. Quell'anno morì mia madre, lasciandoci in eredità due stanze e un fazzoletto di terra, perché la restante parte di quella proprietà fini in mano allo stato. Come pure finirono nelle sue mani la mia fede nuziale e quelle di molte altre donne. Un sacrificio per pagare i debiti che Ceausescu aveva contratto con Istituti di credito occidentali. Certe sere si percepiva un'aria pesante, il telefono di casa squillava di frequente, qualcuno che voleva parlare con Roman o Corneliu. Questa continua vibrazione sonora era il filo che teneva unite anime in cerca di speranza. Samuel intanto cresceva, sereno e loquace. Se non ci fosse stato lui a strapparci un sorriso, sarebbe stata una vita veramente grigia. Un giorno il figlio maggiore della signora Alina, Corneliu, venne arrestato. C'era stato un colpo alla porta e un uomo in divisa si era presentato in casa : "Ci segua"- gli disse- "È un semplice controllo". La signora Alina si precipitò sul figlio, abbracciandolo come fosse l'ultima volta. Era pallida, tremava, conosceva bene quella frase.. Dopo l'arresto, effettuato senza alcuna prova a suo carico, fu torturato e percosso con una barra di ferro, legato mani e piedi e appeso a testa in giù. Gli dissero di mettere per iscritto tutto ciò che lo riguardava, da sua madre ai suoi amici, alla sua vita e ai suo interessi, fino a che non avesse riempito 200 fogli... Poiché Corneliu non scriveva alcunché, fu introdotto nella stanza della tortura un grosso cane lupo, addestrato per essere feroce. Lo costrinsero a correre attorno al tavolo, altrimenti il lupo lo avrebbe azzannato; trenta ore di corsa ininterrotta e di morsicature, dovute al fatto che il poveretto, stremato, si era fermato per pochi attimi. Poiché non scrisse, lo torturarono a tal punto, che perse la ragione e dopo mesi di prigionia lo rimandarono a casa completamente pazzo. "Vi scrivo i nomi!" ripeteva e elencava tutta una serie di nomi di volatili, serpenti, diceva che i bambini degli orfanotrofi erano diventate cavie a cui veniva iniettato il virus dell'HIV e poi ripeteva formule matematiche. E alla fine cantava felice. La signora Alina era distrutta, lo accarezzava e piangeva. Anche Samuel aveva capito che "lo zio" era tornato bambino, lo prendeva per mano e lo conduceva nelle stanze e lui lo seguiva come un cane fedele. Io, presa da tutte queste tragedie, avevo dimenticato il mio dolore e anche Costantin. Avevo vissuto per troppo tempo con gli occhi bendati, ora stavo dando un altro senso alla mia vita, ora coglievo subito il perché della miseria, afferravo al volo la paura della gente, la paura di parlare, di protestare Una sera il figlio piccolo della signora, sembrava particolarmente scosso. Riferì che A Brasov gli operai e gli studenti erano scesi in piazza, l'esercito li aveva dispersi, la città era stata isolata. Non si sapeva nulla, ma pare ci fossero morti e feriti."Troppa milizia" dissi sconsolata. In cuor mio, sarei voluta essere li, ad urlare la rabbia, la miseria, la voglia di libertà, il pane per i nostri figli. Mi sentivo di nuovo forte, determinata, pronta ad affrontare il peggior nemico. Quando parlavo cosi, la signora Alina e il figlio ridevano, avevano capito che la pensavo come loro. Era Dicembre, io avevo venticinque anni, mio figlio quattro, quando le cose iniziarono a precipitare. Non si capisce bene come tutto sia cominciato; un dittatore che vive nel lusso e affama il suo popolo, spinge alla rivolta, basta una parola... per coinvolgere enormi masse di disperati in tutto il paese, pronti, disposti a tutto per recuperare la dignità. La miseria e l'ignoranza fanno perdere la dignità. Ne sapevo qualcosa..
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