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La partenza
Anno 1963 quando il mare era ancora incontaminato e non esistevano colate di cemento sulle spiagge.
LA PARTENZA
Aspettavo con ansia il tredici giugno, giorno in cui chiudevano le scuole, la mia casa diventava in questo periodo una fucina di energia creativa. Iniziavano i preparativi per le vacanze estive. La mia famiglia assieme ad altre dieci del paese erano consuete passare i mesi estivi al mare. Mio padre aveva acquistato a Cagliari una grossa tenda da campo, si comprava facilmente in quei negozietti dietro il porto in via Sardegna, sempre pieni di indumenti e vettovagliamenti militari. Per poter piantare la tenda nella sabbia e renderla più solida aveva fatto costruire, dal fratello falegname, uno scheletro di legno i cui assi s'incastravano nella sabbia in pochi minuti, poi la tenda veniva adagiata sopra e zavorrata con dei sacchetti riempiti di sabbia.
I sacchetti venivano legati a delle funi che cadevano ai lati dell'impalcatura, cosi, anche se avesse soffiato un forte vento la tenda non si sarebbe mossa. A fine stagione, la tenda veniva lavata e poi riposta nella "cassa del mare" in soffitta. Il compito di separare gli ambienti interni nell'abitacolo e la disposizione dei pochi mobili era riservato a mia madre che, con tanta pazienza, cuciva delle lenzuola colorate e ricavava, in breve tempo, dei teli che separavano i vari spazi. La sala da pranzo era un rettangolo di sabbia, occupato da un grande tavolo di legno e da due panche disposte a destra e a sinistra del tavolo, dove prendevamo posto noi dieci figli, alternandoci uno grande ed uno piccolo per evitare che si ribaltassero, per il peso non ben distribuito; mio padre assieme a mia madre stavano a capo tavola, uno di fronte all'altro. Un altro spazio fungeva da camera da letto, era molto ampio, specie al mattino quando arrotolavamo le stuoie che avevamo disteso per la notte. Per cucinare era stato ricavato un angolo, dove troneggiava una vecchia cucina a gas con quattro fornelli ancora ben funzionanti; gli utensili e le pentole pendevano appesi a delle sottili corde; posteriormente a questo cucinotto vi era uno spazio, delimitato da zanzariere, dove l'aria circolava indisturbata, in cui venivano conservati cibo ed acqua. Su un'asse all'esterno sventolavano grandi bagnarole di plastica, pronte per essere portate al vicino fiume per il bucato.
Come ogni anno mia madre iniziava i preparativi per le vacanze dal mese di giugno. Possedevamo due grosse cassapanche semplici, senza decorazioni, che venivano ripulite e verniciate di fresco ogni anno, una di colore celeste e l'altra di colore marrone. Occorrevano più di trenta giorni per i preparativi, per noi bambini i punti di riferimento erano le due cassapanche, che venivano di giorno in giorno riempite di leccornie: marmellate di frutta, gianduiotti, cioccolata, formaggini, pasta, zucchero, caffè. Impazzivamo per i gianduiotti, fatti di cioccolato e nocciole, soprattutto perché ci permettevano di riempire gli album delle figurine con tutti i personaggi di Walt Disney. Anche il pane veniva riposto in una cassapanca, quella marrone, che veniva foderata all'interno con dei teli di cotone. L'attenzione per i preparativi era sempre al massimo e non potevamo dimenticare niente, perché una volta al mare, era difficile raggiungere il paese non essendoci mezzi pubblici e noi non possedevamo un'auto. Mio padre poteva stare con noi solamente il mese di ferie ad agosto. A luglio ci raggiungeva ogni fine settimana, percorrendo a piedi alcuni chilometri. Noi lo aspettavamo sulla strada vicino ad un ponte su di un fiume che, peraltro. d'estate era asciutto. Ricordo ancora la sua camicia bianca, i cestini colmi di frutta che teneva in mano e il suo immancabile sorriso. Noi piccoli gli andavamo incontro felici e poiché non poteva prenderci per mano, ci attaccavamo ai cesti, quasi impedendogli di camminare. Questa vacanza era il regalo più bello che i nostri genitori potessero farci, stavamo all'aria aperta tutto il giorno a contatto con la natura, in compagnia dei nostri coetanei.
I preparativi ci riempivano d'allegria...
Ogni due o tre giorni ci svegliava il profumo del pane appena sfornato, che delizia! mia madre ci coccolava con la colazione fatta con del prosciutto, infilato nel pane croccante ancora caldo, erano nientemeno che ritagli di pane non ancora lievitato e fritto nello strutto. La cottura del pane detto "su pistoccu", durava tutta la mattina. Mamma infornava il pane di semola in forma piatta, ben lievitata, che a contatto con il calore del forno si gonfiava e veniva poi riposto su dei grandi canestri. I fratelli più grandi s'impegnavano immediatamente ad aprire in due parti questo pane, come se fosse un libro. Dopo che le due parti, di perfetta forma rettangolare, venivano separate, si rimettevano al forno per renderle più asciutte e croccanti e poterle cosi conservare per mesi. Ogni volta che si cuoceva il pane venivano arrostite patate, cipolle e pollo. Ci sedevamo a tavola tutti insieme in silenzio, preoccupati di divorare il cibo e, i più affamati, in attesa che qualcuno rifiutasse la sua porzione per farla sparire in un secondo. Mia sorella, di dieci anni maggiore, aveva fatto un corso di sarta, infatti era capace di ricavare da dei teli di piquè pantaloncini, tutine, gonne e qualche vestaglia per mia madre. Era bravissima... Tutto questo corredo veniva poi lavato stirato e riposto in valigie, pronto per la partenza. Una settimana prima della partenza, veniva cotto il pane che si doveva consumare nei primi giorni della vacanza, anche perché essendo fatto di farina e patate non si poteva conservare per troppi giorni. Era buonissimo, fatto di patate e semola, si poteva affettare e spalmarci sopra la cioccolata. Tutti i bambini del vicinato si radunavano a casa per ricevere la famosa "focaccia allo spiedo", una morbida focaccia di patate ed erba cipollina selvatica che, appena sfornata, veniva infilata in un rametto d'ulivo, tanto da poter essere tenuta in mano mentre freddava. I più famelici spesso l'addentavano ancora calda, finendo col bruciarsi le labbra. Mangiavamo e ridevamo, la nostra casa risuonava di risate e profumava di pane caldo. Finalmente il giorno della partenza... Anzi la notte della partenza! Si partiva verso le tre, il percorso non era lungo, ma il tragitto durava circa un'ora, bisognava caricare i bagagli e andare a passo costante per arrivare sul posto alle prime luci dell'alba. In casa nessuno dormiva, noi piccoli dovevamo stare a letto in silenzio per non disturbare i vicini, cercavamo di non fare rumore, ma volavano calci e tirate d'orecchio al buio, senza sapere chi fosse a colpire, nessuno fiatava, si udivano soltanto silenziose risate, frenate tra i denti. Intanto gli adulti trasportavano i pacchi sulla strada, per far sì che il camionista potesse al suo arrivo occuparsi esclusivamente del carico. I bagagli venivano disposti ai lati del camion, accatastati in maniera da lasciare al centro degli spazi in cui venivano collocati i banchi della cucina, su cui ci saremmo seduti noi ragazzi durante il tragitto. I miei genitori sedevano in cabina con l'autista. La legge vietava questo trasporto in massa, perciò partivamo di notte, nascosti al centro del camion. Se la polizia ci avesse fermato avremmo dovuto pagare una multa salata, corremmo sempre questo rischio... Finalmente quando le operazioni di carico erano ultimate, si saliva sul camion, la porta di casa veniva chiusa e.. si partiva. La strada era piena di curve molte strette. Noi sobbalzavamo ad ogni frenata, i pacchi si muovevano seguendo l'oscillzione delle sponde che reggevano i bagagli, eravamo vestiti di tutto punto con i sandali da mare ed il costume nuovo fiammante. Mio fratello, il maggiore, occupava sempre lo spazio centrale, ponendosi su un alto sgabello per trovarsi al vertice e da lì dettare legge. Era lui che c'informava del pericolo agli incroci, dove potevano trovarsi dei posti di blocco, era lui che imponeva il silenzio. Superato il bivio di "Gennegresia" ricevevamo l'ordine di cantare. Cantavamo con tutto il fiato che c'era in gola, lui dirigeva il coro, lui proponeva le canzoni, sempre lui al grido di "polizia!" ci costringeva impauriti ad appiattirci uno sopra l'altro; stavamo lì finché non udivamo : "stupidi! è una balla! ..", allora ci abbandonavamo a grosse risate dicendogli che non l'avremmo più ascoltato. Qualcuno poi raccontava storie inventate sul momento, che rendevano l'atmosfera magica e surreale. Intanto dietro il camion qualche cassa cadeva e per paura di perderla per strada la tenevamo stretta con più mani, dopo averla adagiata sul grembo.
Intanto il giorno, pian piano, appariva con i colori dell'alba, il cielo era il nostro tetto, ammassati in quel piccolo spazio. Nessuno però lamentava fastidio o avvertiva disagio, la meta era ormai vicina... Il chiarore del giorno si faceva più intenso, il ponte ci veniva incontro... Superati cinquecento metri.. ecco apparire un'immensa distesa di sabbia e un infinito mare azzurro. E..."tutti a terra!" che felicità! eravamo raggianti. . Noi bambini non aspettavamo aiuti dai grandi, ma saltavamo giù dal camion come scoiattoli. Mia madre ci richiamava all'ordine ma non udivamo, spintoni e capriole erano il nostro gioco, sicuri che le cadute sarebbero state attutite dalla sabbia. Anche zio Giacomo era sul posto da alcuni giorni e dopo i saluti di rito, anche lui collaborava dando una mano con i bagagli, indicandoci il punto esatto riservato alla nostra tenda. La colazione era già pronta nel cestino ed anche una grande sveglia che dal giorno avrebbe scandito i minuti per il bagno in mare. Il bagno non si poteva fare prima che non fossero passate tre ore dal pasto. I panini vennero divorati in un secondo, mentre sostavamo seduti sui pacchi ancora chiusi. Pian piano, come le formiche, andavamo avanti e indietro trasportando tutti i bagagli nel punto stabilito. Zio Giacomo aveva anche lui una prole numerosa, ci saremmo divertiti come sempre! Mia madre la ricordo vigile, ci chiamava continuamente, sempre attenta che stessimo davanti alla sua vista, noi giocavamo con il pallone, ci rincorrevamo, mentre il sole aveva ormai superato l'orizzonte. In poche ore mio padre ed i miei fratelli mettevano su una tenda enorme. Il profumo del mare ci inebriava ed il sole con i suoi raggi si adagiava sulla pelle assettata di calore. LA VACANZA ERA APPENA COMINCIATA.!
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