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Amore rosso sangue
-Emma, Emma...-.
Emma correva. Aveva la fronte madida di sudore e i vestiti fradici appiccicati alla pelle, i piedi nudi e sanguinanti, i muscoli a pezzi. Eppure correva. Correva, attraverso quella foresta irta di rovi che le graffiavano le piante dei piedi e le braccia nude.
Stava scappando. Da cosa, non lo sapeva neanche lei di preciso; ma doveva essere qualcosa di brutto, perché nulla di bello avrebbe mai potuto spaventarla in quella maniera. Si sentiva le viscere aggrovigliate come serpi e le pareti della gola graffiate, come se avesse urlato; e sentiva la sua voce.
-Emma...-.
Era una donna, almeno questo lo aveva capito. Ma non aveva idea di chi fosse, né del perché la stesse inseguendo. La sua voce suadente e sottile sembrava un tutt'uno col sussurro del vento, nient'altro che un sibilo nel caos di un mondo irreale e caotico.
-Emma!-.
Eppure c'era qualcosa, in quella voce, che le faceva venir voglia di fermarsi ad ascoltarla. Una parte di lei che le diceva che una voce dal suono così bello e dolce non poteva appartenere ad un essere malvagio.
Ma il resto del suo corpo le urlava di scappare. E lo stava facendo.
Emma corse ancora, pregando le proprie gambe di non abbandonarla proprio in quel momento, quando era così vicina alla libertà... Ma cos'era la libertà? Tornare in quella casa troppo piccola e troppo stretta persino per lei, prigioniera della propria solitudine? Sentire il bisogno d'amore trapanarle ogni parte del corpo, ma non riuscire mai neanche a desiderare un ragazzo? E distogliere lo sguardo ogni volta che ne scopriva uno a guardarla di soppiatto, con lo stesso sguardo vorace e bramoso di sempre? Cos'era la libertà? Alzare la cornetta del telefono per sentire la voce di sua madre ferirla nel profondo, con le sue frecciatine sulla sua deplorevole mancanza di marito, nonostante la sua età?
Forse sarebbe stato meglio fermarsi e lasciarsi rapire da quella voce, in quella foresta, e sparire per sempre dal mondo che aveva imparato a conoscere.
Lei era sbagliata. Avrebbe fatto meglio a sparire.
Si fermò all'improvviso, chinandosi un istante o due per riprendere fiato. Appoggiò le mani sulle ginocchia e si piegò fin quasi a toccare terra: quando le parve di aver ripreso abbastanza fiato, si voltò.
Davanti a lei c'era solo un'ombra dai contorni confusi e nebulosi. Nient'altro che lo spettro di una figura umana, che a stento lasciava intravedere i contorni di un corpo femminile, minuto e snello.
Aveva i capelli rossi. Capelli rosso sangue.
-Chi sei?- le chiese Emma, ancora ansimante. La sua voce non era altro che un sussurro, date le condizioni della sua gola e dei suoi polmoni dopo la corsa, ma nella foresta il silenzio era tale da permettere alla ragazza di sentirla perfettamente.
-Tu chi vorresti che io fossi?- rispose lei, sussurrando a sua volta. Inclinò leggermente la testa ornata di rosso, facendole intuire che la stava osservando.
Emma chinò leggermente il capo.
-La mia liberazione- mormorò.
La ragazza sembrò sorridere.
-Forse, un giorno...-.
Un lampo improvviso squarciò il cielo di quello strano luogo, infrangendolo in minuscole schegge che le caddero addosso sotto forma di pioggia.
L'odore aspro del temporale le pervase le narici, strappandole un gemito quando le prime gocce d'acqua la sfiorarono, lasciandole solchi fumanti sulla pelle sudata.
Ma quel dolore non fu nulla in confronto a quello che provò quando, voltandosi, vide che la ragazza dai capelli rosso sangue era sparita.
-Ehi?-.
Nessuna risposta.
-Ehi!- urlò, utilizzando tutta la voce che le restava.
Niente.
Era da sola, di nuovo.
Lentamente, la pioggia iniziò a bruciarla.
Emma si svegliò di soprassalto al suono della sveglia.
18. 30: era ora di correre al locale.
Scalciando si liberò delle lenzuola e si alzò, dirigendosi in cucina. Si versò un bicchiere d'acqua gelata e lo bevve, lasciando che le placasse l'incendio che si sentiva in gola.
Sempre lo stesso sogno, da più di un mese. Forse avrebbe dovuto iniziare a preoccuparsi. Chissà se era normale sognare sempre, puntualmente la stessa cosa, che tra l'altro non aveva neanche senso. Chiuse gli occhi, ripercorrendo mentalmente per l'ennesima volta ogni singolo passaggio dell'incubo: aveva paura e correva, scappando via da una voce femminile misteriosa che non conosceva, ma che la chiamava con insistenza. Ad un certo punto, però, capiva che in realtà non voleva scappare. Allora si fermava e provava una sorta di desiderio feroce per quella ragazza, o almeno un bisogno fortissimo di conoscerla, sfiorarla, chiederle come si chiamasse. Cosa voleva dire? E cosa volevano dire quelle riflessioni sulla sua vita?
Emma aveva 26 anni. Era la prima di tre sorelle, concepite da una madre single ed estremamente ambiziosa: voleva che le sue bambine si trovassero un lavoro e si sposassero al più presto, così che non rimanessero sole com'era capitato a lei. E i suoi desideri erano stati esauditi, almeno per quanto riguardava le sue due sorelle minori. Sheila e Mandy, pur avendo entrambe solo 23 e 24 anni, erano già felicemente impiegate e sposate; l'unica che ancora non voleva proprio saperne di matrimonio era lei, Emma, che al solo pensiero di risvegliarsi con un uomo nel letto era costretta a soffocare un gemito d'orrore.
Sua madre, naturalmente, non le rendeva le cose facili, con tutta quella pressione sul fatto che fosse la più grande tra le tre eppure l'unica ancora single.
-Figlia mia, sei così bella... Non vorrai dirmi che non c'è neanche un uomo che ti corteggi!-.
-Proprio così, mamma- mentiva lei, un po' divertita, un po' rassegnata.
Non era vero, oh, no che non lo era.
Il bar in cui lavorava era pieno zeppo di uomini che avrebbero pagato oro per averla, anche solo per una notte. Si accorgeva dei loro sguardi, fissi su di lei e su ogni lembo di pelle che accidentalmente i suoi vestiti lasciavano scoperto, famelici come bestie in cerca di un po' di carne fresca da sbranare.
Emma sapeva di non essere brutta. Sapeva che i suoi lunghi capelli biondi, gli occhi azzurri, il corpo sottile dalla pelle morbida e liscia di sicuro non la rendevano una ragazza sgradevole da guardare, e che le sue curve delicate ed eleganti da modella di certo non dispiacevano agli uomini. Ma sapeva di per certo che a lei non piacevano loro. Perché, non avrebbe saputo spiegarlo.
Non le piaceva nessuno. Non aveva mai sentito nascere dentro di sé alcun tipo di desiderio sessuale, mai.
Se non nel sogno, nel momento in cui quella voce iniziava a farsi strada dentro di lei e a trasportarla in un altro mondo. E le ricordava della sua solitudine, ma al tempo stesso gliela strappava di dosso con forza, desiderio.
Passione.
Certo che doveva essere proprio sola, per provare passione o desiderio sessuale verso la voce di un sogno.
Emma posò il bicchiere e si sciacquò le mani con l'acqua del lavabo, chiedendosi silenziosamente cosa ci fosse di sbagliato in lei. Come sempre, non riuscì a rispondersi.
Triste e frustrata, corse in bagno, dove si lasciò scivolare di dosso i vestiti e si chiuse nella doccia.
L'acqua che le scorreva sulla pelle umida di sudore odorava stranamente di pioggia.
Alle 19. 40 il locale era ancora semi-vuoto e silenzioso, in attesa dei clienti della sera, che avrebbero danzato e bevuto e chiacchierato e urlato e fumato fino a star male. Emma sarebbe stata lì, dietro il bancone, a servire drink e cocktail di varia natura a chiunque le sarebbe capitato. Sospirò, mentre iniziava a lavare alcuni bicchieri e li asciugava con un panno pulito.
-Ehi, Em!- le urlò qualcuno, distraendola dal suo ingrato lavoro.
Abbozzò un sorriso.
-Casper- fece, salutando con un cenno il ragazzo che le andava incontro con un paio di cuffie giganti in una mano e un sorriso enorme sulle labbra.
Casper era il dj del locale, ed obiettivamente era un bellissimo ragazzo: alto, muscoloso e abbronzato, con una lunga chioma di capelli color cioccolato annodati dietro la testa in un piccolo codino. Ci aveva provato con lei innumerevoli volte, ma sempre in maniera dolce e discreta; e questo era il motivo per cui ancora loro due si parlassero, nonostante i numerosi rifiuti di Emma.
-Come ti butta stasera? Non sembri molto entusiasta- le disse, appoggiandosi al bancone lustro e specchiandosi velocemente nella parete specchiata con gli scaffali colmi di bibite.
Emma scrollò le spalle.
-Sono solo stanca. Non ho dormito molto bene, oggi pomeriggio-.
Casper tacque per qualche istante.
-Sempre lo stesso sogno?- chiese poi, a bassa voce.
-Già. Inizio a pensare che dovrei iniziare a leggere Freud-.
-Dicevi che lo avevi adorato al liceo, a lezione di filosofia-.
-Infatti è così. Forse è per questo che ho questi sogni: lo spettro di Freud esige che io riprenda in mano i suoi libri-.
Casper ridacchiò.
-Buona fortuna allora-.
Emma sorrise.
-Anche a te- disse, guardandolo allontanarsi verso la sua postazione da dj ad un cenno del proprietario del locale.
Lasciò che il suo sorriso si spegnesse in silenzio, mentre le prime persone iniziavano a entrare nel locale e la serata aveva inizio.
Emma non aveva idea di che ora fosse, ma sapeva di per certo che aveva già servito almeno una cinquantina di drink di tutti i tipi e colori possibili.
Quando non aveva nulla da fare, si divertiva a inventare una storia per le persone che le si avvicinavano per chiederle da bere.
C'era quel ragazzo dai capelli corvini e gli occhi verdi da gatto: un tipo misterioso, enigmatico, che di sicuro faceva impazzire le donne con i suoi lineamenti raffinati e virili al tempo stesso.
Quella ragazza coi capelli castano chiaro, il vestito troppo grande per lei e l'aria timida: in realtà non voleva stare lì, le discoteche non erano il suo posto ideale, ce l'avevano trascinata le amiche.
E quel ragazzino magro e sbarbato, con un Iceland Tea in mano e l'aria da uomo vissuto: aveva al massimo 15 anni, ma quella sera voleva essere qualcun altro, forse l'uomo che sarebbe diventato in futuro.
Emma chinò lo sguardo sui bicchieri, sciacquandoli e asciugandoli velocemente, sorridendo tra sé e sé. In fondo in fondo il suo lavoro non era così male. Lanciò un'occhiata all'orologio sulla parete: le due e mezza. Un altro paio d'ore e sarebbe andata a casa. Avrebbe messo su una tazza della sua varietà di the preferita (vaniglia), riletto per l'ennesima volta uno dei suoi libri preferiti ("Tess of the D'ubervilles" di Thomas Hardy) e infine avrebbe cercato di dormire.
-Seratona, eh?- le chiese una voce a pochi passi da lei.
Emma si voltò e sorrise a Joe, il suo collega barman, che a sua volta sorrideva con aria stanca.
-Nah, ho visto di peggio. Credo che entro due ore saremo a casa-.
-Davvero?- le chiese Joe. Si posò una mano sulla testa semi-pelata, sospirando di sollievo.
-Speriamo che tu abbia ragione. Sono già esausto-.
Emma rise brevemente, lanciando un'occhiata al resto del locale.
-Oh, sta arrivando gente... Tranquillo, faccio io- gli disse, ricevendo in cambio un sorriso riconoscente.
Joe si allontanò ed Emma si voltò per prendere le bottiglie di vodka.
-Scusami...- fece una voce.
-Certo, dimmi cos...-.
Emma si voltò e rimase semplicemente folgorata. Fu come se il mondo intero si fosse bloccato e sparito dentro gli occhi della ragazza che le stava davanti.
Io ti conosco.
Occhi verde acqua, naso sottile, corpo minuto e snello.
Emma si sentì come se il flusso della vita, degli eventi e dell'universo le fosse appena stato iniettato nelle vene e adesso le scorresse addosso, dentro, irrorandole ogni parte del corpo con la sua maestosa potenza.
I capelli.
Capelli rosso sangue.
So chi sei.
E anche lei lo sapeva.
La ragazza dai capelli rossi la guardò coi suoi grandi occhi color del mare, schiudendo leggermente le labbra e sorridendole dolcemente. Il suo sguardo era fisso su Emma, sembrava volerla bere per assaporare ogni dettaglio di lei.
Emma sorrise a sua volta.
Un filo rosso sembrò allacciarsi intorno ai loro polsi e unirle per sempre.
-Scusami...- sussurrò Emma, dimentica della musica ad alto volume. -Credo di conoscerti-.
In qualche modo, la ragazza la sentì.
-Mi chiamo Scarlett- rispose lei, senza smettere di rivolgerle quel sorriso dolce e sensuale insieme.
Emma sorrise di nuovo: mai nome era stato più adatto al suo proprietario.
-Io sono Emma-.
Si strinsero la mano e una scossa elettrica le colpì simultaneamente a partire dal punto in cui le loro pelli si erano sfiorate.
Scarlett si appoggiò al bancone con le sue braccia sottili, appoggiando la testa sulla mano dalle unghie smaltate di rosso.
Rosso come i suoi capelli.
-Allora, dove ci siamo conosciute?- le chiese.
Il suo sorriso adesso aveva una sfumatura più decisa, i suoi occhi ammiccavano.
-In un sogno- rispose Emma, sorridendo stupita dalla sua stessa audacia.
Scarlett rise: un suono limpido, armonioso, come lo scroscio di una pioggerellina primaverile.
-Questa è bella-.
-È vera- ribatté Emma, senza toglierle gli occhi di dosso. -Ma sei libera di non credermi- aggiunse, scrollando le spalle, sfidandola.
Scarlett inclinò leggermente il capo, scuotendo la chioma fulva con aria sospettosa.
-Che ne dici di uscire?-.
Quella domanda quasi le provocò un uragano nello stomaco.
Prima che potesse accorgersene, aveva urlato qualcosa a Joe, accettato le sue proteste con un sorriso divertito e preso la mano di Scarlett, che l'aveva condotta con aria decisa verso un vicolo deserto a pochi passi dal locale.
Precauzione inutile: a quell'ora le strade erano deserte, la gente era rinchiusa in qualche pub a bersi anche l'anima o a casa a fingere che il resto del mondo non esistesse.
Scarlett reclamò la sua attenzione per sé, prendendole le mani e ponendole sui propri fianchi, chiedendole implicitamente di stringerla a lei.
Emma la guardò, osservando il vestito corto e stretto che metteva in risalto le sue curve femminili e delicate e le gambe perfette, e si sentì immensamente brutta nella sua semplice uniforme da lavoro, composta da una maglietta nera, un paio di jeans e un cortissimo grembiule.
-Sei bellissima- le sussurrò Scarlett, come leggendole nella mente.
-Come sapevi...-.
-Shh-.
D'un tratto, con un perfetto misto di dolcezza e decisione, le prese il viso tra le mani e la baciò delicatamente.
Emma si sentì come se le sue labbra avessero appena preso fuoco, accese da un incendio di nome Scarlett.
Scarlett, la ragazza del sogno.
Scarlett, la sua liberazione.
Mentre le loro labbra danzavano, in una danza ora veloce, ora lenta e sensuale come un tango, Emma trovò una risposta a tutte le sue domande.
Le tornarono alla mente ricordi di anni e anni prima, risalenti ai suoi anni al liceo. Erano solo pezzi, frammenti di una vita che aveva dimenticato, ma le invasero la mente con la stessa forza di uno tsunami.
East High School, palestra. Per la precisione, spogliatoio delle ragazze. Emma si toglieva timidamente i propri vestiti, mentre le sue compagne intorno a lei erano già mezze nude e parlavano con disinvoltura dei loro programmi per il week-end, dei compiti che avevano o non avevano fatto e dei ragazzi più popolari della scuola. Una sua amica d'un tratto si girava verso di lei e le chiedeva qualcosa, ma Emma non riusciva a sentirla. Era bella, quella era l'unica cosa che riusciva a pensare. Il lilla del suo reggiseno era perfetto per la sua pelle chiara. -Emma, mi ascolti?- le stava chiedendo. Ed Emma ritornava improvvisamente al mondo reale. Tutto ciò che era successo era durato meno di un istante. Andava tutto bene. -Certo- rispondeva, finendo di spogliarsi e seguendo le compagne fuori dalla palestra.
Un lampo di luce, un altro bacio di Scarlett.
Londra, un pub qualsiasi, in giro con le amiche. Quella sera erano tutte un po' eccitate, era la loro prima sera fuori città e per giunta avevano finalmente l'età giusta per bere. I bicchieri ricolmi di drink colorati tintinnavano sopra le loro teste in un tripudio di allegri brindisi. Una ragazza in pantaloni scuri e maglietta oversize passa vicino a loro, seguita dagli sguardi di Emma e delle sue amiche. -Ma quella non era Jaimie? Cristo Santo, quella ragazza dev'essere lesbica. Guardate come si veste!-. Le altre ragazze ridono. I loro fiati odorano di alcol e giovinezza e i loro commenti di superficialità e ignoranza. Emma corruga la fronte, accigliata. Perché l'orientamento sessuale di quella ragazza dovrebbe essere un problema? Non capisce.
Scarlett la strinse a sé con maggior decisione, sollevandole l'orlo della maglietta e accarezzandole la pelle dei fianchi. Una pioggia rovente di brividi iniziò a scorrerle sulla spina dorsale.
Emma la posò le mani sulle guance, allontanandola leggermente da sé. Quegli occhi puri, socchiusi e colmi di emozioni contenevano la risposta a tutte le sue domande.
Lei non era mai stata sbagliata. No, neanche per un attimo.
La attirò di nuovo a sé, con forza, premendo le labbra sulle sue. I loro corpi erano fuoco liquido e i loro movimenti avevano la forza improvvisa e poetica di un temporale estivo che le trasportava in un mondo in cui esistevano solo loro.
È possibile che lei sia tutto quello che ho sempre voluto trovare, quando non sapevo neanche cosa stavo cercando?
È possibile che tu sia davvero la mia soluzione?
-Sarò la tua liberazione- le sussurrò Scarlett.
Emma la guardò con gli occhi sgranati.
-Mi leggi nel pensiero, per caso?-.
Scarlett rise.
-Non ancora, ma posso imparare-.
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