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Elucubrazioni di uno scarafaggio
Vi vedo luride puttane che mi ballate davanti, mostrando il vostro ignobile e tondo culo, vi vedo, mi mandate al manicomio. Non vi so prendere, vi giro intorno, vi annuso. Non riesco a raggiungervi, correte su quei tacchi, che mi mettono un senso di vertigine addosso.
Cammino rasente i muri logori e maleodoranti di rancida urina, qui in mezzo a queste lordure si pasce l'animo mio, solo e perennemente sbattuto.
Mi tormentate. Il mio bisogno di godervi addosso mi rende pazzo e vi odio, per quanto paradossalmente vi amo.
Non mi resta che la serratura come arma di godimento. L'occhio vorace scava nel nero delle pareti metalliche alla ricerca quasi ossessiva di quella carne.
La troia si spoglia e io da qui posso vedere come i vestiti cadano ai suoi piedi.
Balla voluttuosa nella solitudine della sua stanza, non posso sentire la musica, ha le cuffiette, la smorfiosa.
Madonna quanto è bella! Un'acquolina selvaggia quasi mi affoga. Avanza il mio sguardo goloso; avanza lui ed io mi assottiglio per raggiungere quello che agogno.
Terrore! Il terrore mi serpeggia lungo le zampe ma il mio sesso rivendica un tributo, un bisogno non riesco a soddisfare.
Avanzo in questa serratura e il mio corpo si adatta agli spazi. È come nascere di nuovo, come ritrovarsi nelle cavità buie dell'utero, quando preme per espellerti. Mai avrei neppure immaginato quanto un giorno, in quello stesso antro oscuro, avrei trovato il massimo del piacere.
La devo raggiungere, ormai si è tolta quasi tutto. Fa molto caldo questa sera, molto caldo ed è rimasta con le mutandine succinte e tutte pizzi, la cui vista mi produce uno strano solletico al naso, al pensiero di ficcarlo tra tutte quelle pieghe e piegoline voluttuose.
Non mi vede, sono incredibilmente piccolo. Finalmente trasformato, posso essere quel che mai sarei nella mia veste d'uomo, con la dignità dello studioso, che mi pesa addosso come un vecchio e logoro cappotto. Quella stessa dignità che mi afferra l'uccello sul più bello, facendomi arrossire come un bimbo, nonostante la mia età matura.
Non mi ha mai voluto nessuna donna; sono brutto, repellente, eppure se mi guardo intorno vedo uomini più brutti di me con una moglie al braccio.
Io no, io luride troie, che si prendono gioco della mia sprovvedutezza, che mi carezzano per poi lasciarmi da solo a masturbarmi davanti a video nauseabondi, a sognare di fare tutto quello di cui non sono capace.
Così piccolo non mi vede la stronza. Voi non sapete che questo pezzo di figliola, per la quale sbavo ignobilmente, mi ha fatto credere che le fossi simpatico. C'ho fatto pensieri e sogni e tanti sordi coiti solitari con gli occhi umidi ma pieni di speranza.
Era la solita puttana, la quale mi ha avvicinato per la mia posizione e perché ho conoscenze interessanti, poi ottenuto quel che desiderava, mi ha scaricato.
Non mi guardate con quella faccia come se vedeste un marziano! Sono un coglione, lo so e allora?
La cultura che ho coltivato dentro di me a null'altro può servirmi, se non a farmi ritornare nella condizione primigenia della vita sulla terra, l'unica a sopravviverci: lo scarafaggio. Ritenete che non sono stato molto originale? Ne sono consapevole, non ho molta fantasia, sono un semplice studioso e non un letterato.
Intanto ho raggiunto la sponda del letto. Lei balla da sola guardandosi allo specchio.
Dio che visione! Mi sento tranquillo perché non mi può vedere, camuffato nei disegni del pavimento, arabesche ed erotiche linee di fuga. Un'eccitazione sorda mi tenterebbe a ritornare quel che sono. Mi tira quella pelle vellutata, quel culo tondo ancheggiante sopra di me.
Poi però devo fare uno scatto improvviso, perché per poco non mi schiaccia con quei tacchi, voluttuosi ed erotici.
Quanto avrei volentieri affondato le mie zampette pelose nei suoi polpacci erotici; ma non posso e rimango in attesa di tempi migliori.
Perché non si gira? Voglio perdermi nel suo seno. È concentrata nella musica; meglio così io mi perdo a scrutare le sue natiche rese ancora più eccitanti dalle mutandine. Mamma mia come fremo, riuscirò a non venire prima di passeggiarle sul corpo?
Perché continua a ballare? Perché non cade in un sonno morfinico, nel quale la prendo e la posseggo, senza quel terrore infantile, motivo delle mie profonde frustrazioni?
Quando penso a quella faccia da cazzo di mia madre, onnipresente nel mio cervello ogniqualvolta mi sono avvicinato ad una donna, mi assale un indefinito terrore, che mi paralizza..
Ora non ho più una madre; l'ho uccisa perfino dai miei ricordi; ho arieggiato casa ma a dispetto di quel che credevo, non è entrato mai nessuno e solo i libri e quel fottutissimo computer come unico amico.
Poi c'erano loro le luride, le bastarde che mi prendevano per il culo. Lei era stata peggiore delle altre: estremamente bella, irraggiungibile per me, dai capelli neri morbidi e setosi, dagli occhi di cerbiatta, che mi sbatteva davanti e io, cretino deficiente, balbettavo e sorridevo.
Purtroppo quei sorrisi erano interessati.
Tutte le donne hanno sempre finto con me, sono vipere false e approfittano: tanto io sono quello sempre disponibile, l'amico di tutti. L'amico di chi, di cosa?
Finalmente si gira e smetto di elucubrare sulle mie sventure. Davanti a tanta grazia non posso non godere, chi l'aveva mai viste così da vicino due tette così!
Se non fossi uno scarafaggio sarei svenuto con la lingua di fuori.
Avanza verso di me. M'immagino di essere ritornato uomo e di guardare tanta opulenza di carne bianca e morbida, pregustando il momento in cui mi sarei avvinghiato su quella pelle, lasciando il segno dei miei polpastrelli, per l'ardore dell'abbraccio. Non sono un uomo ora; sono una bestia dai mille peli sottili, dagli occhietti tondi e vogliosi.
Vedo tanta carne nivea, soffice, languida; la voglio.
Come lei si adagia sul letto, io m'inerpico lungo la zampa d'acciaio della rete e salgo piano, ansimando lievemente. Il mio sesso inesistente è in fiamme e il ricordo del mio membro rosso e tozzo, sempre insoddisfatto, m'intenerisce. Chiedo perdono al mio pene, perché non meritava la mia stupida ed inetta testa. Si è dovuto piegare all'insignificanza dell'insetto di kafkiana memoria, per di riuscire a possedere una donna.
Quel diavolo, la donna, tarlo rosa dei miei sonni, che ride indecente sui miei coiti freddi. Ora però sono insetto, piccolo, silenzioso.
Sento, con eccitata gioia, il fruscio dei suoi polpastrelli che sfiorano la carta di un libro, uno dei tanti accatastati un po' ovunque nella stanza; una troia istruita e pertanto più crudele e malvagia.
La punirò con la mia ripugnanza; si è negata all'uomo ma non potrà all'insetto peloso e invadente.
A fatica sono arrivato sul letto. L'odore inebriante di femmina è decisamente più intenso mano a mano che mi avvicino. Lei non mi vede, presa nella sua lettura. Quando sono all'altezza dei piedi, mi fermo in quello spazio esiguo tra le due gambe. Non posso perdermi una visione dal basso di un tronco femminile. Il suo sesso scuro, coperto di eccitanti pizzi bianchi, sembra la porta dell'Averno e quel pulsare delle grandi labbra mi invita a entrare.
Avanzo senza che lei mi noti, è persa nel suo libro; distrattamente si accarezza il pube e per poco non mi schiaccia. Mi salvo al riparo della coscia soda e lunga; resto immobile finché non leva la mano, poi sguscio fuori, deciso a esplorare quell'inferno caldo e umido, che avevo visto solo stampato su un monitor.
Lentamente appoggio le zampette scure e pelose.
Che emozione quando alzo il capo e vedo davanti a me l'immensità della storia, l'origine e la fine di un uomo: la fica.
Maggior soddisfazione l'ho provata pensando che quella stronza mai e poi mai me l'avrebbe data, neppure se mi fossi strappato il cuore per lei.
Tacito la mia rabbia e mi godo questo momento unico e irripetibile.
Mi lascio fluitare dalle pulsioni del suo clitoride e la secrezione dell'orgasmo scivola su di me e mi abbevero di quel nettare dal sapore agrodolce.
Gode la troia e io avanzo ora sul suo ventre che sobbalza. Non mi nota, è persa nelle sue fantasie erotiche, gli occhi chiusi e il capo riverso; la morderei ma so che finirebbe il mio sogno.
Io non voglio ritornare nel mio corpo d'uomo; io voglio rimanere a nutrirmi di questo nettare.
Si dimena la femmina bastarda, gli piace questo mio passeggiare morbido. Io non mordo, io passeggio, io non posseggo, io lascio godere e mi libero in quel camminare avanti ed indietro su queste carni, che mi si offrono spudorate.
Non vede la troia il mio volto maschio, è nascosto dietro questa maschera.
È penoso che non abbia trovato altro modo per farmi amare da una donna!
Ad un tratto si desta. Getta i suoi occhi sgranati su di me, che mi sento più nudo di lei. Il terrore di venire schiacciato, di essere scoperto mi paralizzano le zampe. Mi faccio forza e trascino le mie zampette in cerca di rifugio. Sono consapevole che mai più mi sarà offerta tanta beatitudine e mi angoscia dovermene andare, ma devo fuggire se mi voglio salvare.
Sono lento e la sua pantofola con gli strass rosa atterra su di me, tramortendomi.
Per fortuna non infierisce oltre e in preda a urla disumane, mi scaraventa fuori dalla finestra, dopo avermi raccolto con una scopa dentro una lurida pattumiera.
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