Sono in una stanza bianca, addosso ho solo la camicia da notte che mi hanno dato un mese fa, quando mi hanno internato in questo posto, ha le maniche lunghe e mi arriva fino al ginocchio, il candito tessuto che la compone è oramai diventato grigio. Sento delle voci ovattate che parlano di me, ma sono troppo soffocate per capire che dicono.
Faccio qualche passo, mi volto e vedo le orme insanguinate che ho lasciato dietro me quando sono entrata di fretta in questa stanza, gli infermieri mi stavano inseguendo perché, dopo aver rotto la finestra della mia stanza ho cercato di buttarmi di sotto. Ma loro mi hanno preso prima che potessi farlo, e hanno messo fine al mio tentativo di volare verso la libertà.
Vedo le orme perdersi nel nulla perché la luce di questa stanza è talmente forte da non fare distinguere le pareti e la porta. Mi rigiro, e vedo qualcosa che prima non c’era. Una grossa chiazza di sangue sul muro, è fresco e vivo, sembra scorrere dalle pareti. È un immenso schizzo rosso che sporca il candore del muro. Mi avvicino, molto lentamente, chiedendomi se per caso questa sia tutta un’allucinazione, o se sono riuscita a buttarmi e ora sto vivendo l’oltretomba. Sono ad un passo dal muro, e d’improvviso la stanza diventa buia. Completamente nera. Sento l’odore acre del sangue, e un respiro roco sul mio collo. Non è un respiro umano, è orribile, come se alla creatura che lo emetteva mancasse la lingua. Urlo di paura quasi senza accorgermene, ma pur sapendo che nessuno mi avrebbe udito.
Dunque, penso tra me e me, è questa la famosa stanza. Quella di cui gli infermieri e i pazienti che sono qui da molto tempo, parlano malvolentieri. Qui venne rinchiuso un paziente molto particolare.
La “leggenda” vuole che Ector, il paziente, fosse un tipo strano ossessionato dal sangue. Venne portato qui una notte, di nascosto da tutti per non destare curiosità sul nuovo arrivato. Alcuni infermieri che gli portavano il cibo e i calmanti non vennero mai più trovati, altri si suicidarono in preda alle allucinazioni. Dicevano che nella stanza vi fosse solo il suo letto, non aveva voluto niente altro, diceva che non gli serviva altro. Ogni mattina quel letto veniva trovato bagnato di sangue, ma su Ector non vi erano ferite. Fu allora che nacque la voce che fosse un vampiro. Una voce che non fu mai smentita.
Crescevano i pazienti morti nei loro letti la notte senza un motivo apparente, mentre Ector appariva sempre più giovane, fino a sembrare un ragazzo, non un uomo di più di settantenni.
Un giorno un impavido infermiere, decise che era ora di porre fine a tutte quelle strane circostanze, e si informò su come si uccidevano i vampiri. Si armò del classico paletto di legno, e di un crocefisso consacrato che serviva ad indebolire Ector. Quella notte ci furono due morti. Il mattino dopo Ector fu trovato con il paletto conficcato nel cuore, e l’infermiere morto, probabilmente per un infarto.
La cosa strana era che se realmente Ector fosse stato un vampiro si sarebbe trovato di lui solo un mucchio di polvere. Mentre invece fu trovato un “normale” cadavere. Da quel giorno la stanza vene chiusa, nessun paziente volle più dormirci e si alimentò la leggenda che in questo luogo i fosse il fantasma di Ector.
Ora mi trovavo qui, nel buio, con dietro di me qualcosa che respirava. Mi giro e l’unica cosa che riesco a vedere sono due occhi rossi che mi guardano. Faccio un passo indietro, corro verso sinistra nel tentativo di aggirare quella presenza, ci riesco, poi un colpo alla testa mi fa cadere a terra, sono davanti alla porta, striscio più vicino che posso e con molti sforzi riesco a ruotare la maniglia. Apro la porta, fuori c’è l’oscurità, dietro di me la luce.
L’incubo non è ancora finito. Cerco di alzarmi aggrappandomi alla maniglia, poi sento il sangue scorrermi nella bocca, faccio scorrere la mano sul mio petto ma non trovo nessuna ferita, non sento neppure dolore, ma solo la vita andare via da me. Mi accascio a terra e l’unico suono che riesco a sentire è il mio respiro. È un respiro roco, quasi come se non avessi la lingua.