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Paura
Prologo.
Quell'anno giugno era quasi irriconoscibile: eccezionalmente, le temperature non erano elevate e il cielo era di un bel grigio fumo. Il sole si intravedeva a malapena attraverso la spessa coltre di nubi che lo copriva in più punti, e un lieve venticello soffiava attraverso i radi alberi dei quali il paesino di Sockville era adorno. Dalle pizzerie in procinto di aprire i battenti si avvertiva un delizioso profumino di frittura; dalle finestre e dalle verande chiacchiere allegre si spargevano nell'aria, riempiendola della classica spensieratezza estiva. Per le strade, qualche coppia passeggia mano nella mano, qualche bambino scorrazza sulla bicicletta insieme agli amici dall'aria giocosa. Sull'ampio balcone di una grande casa rossa e bianca, adagiata su un divanetto di vimini, una ragazza legge un libro con aria assorta.
Tutto sembra così normale - piacevole, persino. Tutto è al suo posto.
Tutto e tutti, tranne lui.
Lui, che è l'incarnazione del male; lui - il mostro che vive nell'ombra, che si nutre della paura. È il verme nella mela che sei sul punto di mordere, il ragno in agguato in un angolo della parete, l'incubo che ti tiene sveglio la notte, i brividi che ti zampettano lungo la spina dorsale quando hai paura, il groppo che ti si forma in gola poco prima di piangere; è la putredine del mondo, il marciume della vita.
Fobos è un essere errabondo e solitario, che non conosce pietà e non risparmia nessuno. Si annida nei posti più disparati, non ha alcun interesse nel costruirsi una dimora fissa: perché farlo? In fondo, spostarsi continuamente gli garantisce nutrimento continuo e variegato.
Chi sono le sue vittime?
Chiunque. Chiunque può diventare una sua preda.
In qualsiasi luogo, in qualunque momento.
Deve solo aspettare.
Come si sconfigge la paura?
-Sicura di non esserci mai stata?- le chiede Rose, incredula.
-Sicurissima. Mai stata- replicò Emma, allargando le braccia con aria imbarazzata.
Rose sgrana gli occhi e si scosta i lunghi capelli biondi dal viso con un gesto aggraziato.
-Tutti i ragazzi di Sockville ci sono saliti, almeno una volta. È facile e una volta lassù la vista è grandiosa-.
Emma non dice nulla.
-Che ne dici di andarci?- le propone Rose, con un sorriso.
-Quando? Adesso?-.
-Certo- replica Rose, finendo di bere il suo cocktail al cioccolato.
Emma stringe convulsamente il proprio bicchiere tra le mani.
-Ma è l'una di notte!-.
-E quindi? Mica possiamo andarci di giorno, altrimenti qualcuno potrebbe vederci-.
Emma tace, con lo sguardo fisso nel vuoto e la gamba lasciata scoperta dai pantaloncini che trema sulla sedia.
-Dai, non avrai mica paura!-.
Sul volto di Emma si disegna un ghigno beffardo.
-Certo che no. Andiamo- dice, trangugiando in un sorso il resto della sua vodka alla fragola e alzandosi dal tavolo.
Rose le passa un braccio attorno alle spalle.
-Così ti voglio-.
Emma sorride e segue l'amica fuori dal locale, tuffandosi insieme a lei nel buio della notte.
-Rose, non riesco a scendere!- esclama Emma, seduta in bilico sulle sbarre di ferro che delimitano l'asilo e che sta disperatamente cercando di scavalcare.
Rose si gira e appoggia le spalle all'inferriata.
-Posa i piedi sulle mie spalle e siediti qui, ti prendo io- le dice, indicandosi la schiena.
-Ma ne sei sicura? E se cadessimo?- chiede, preoccupata.
Ha il fiato corto e sulla coscia le si sta già formando un livido: nonostante il fisico snello, non è mai stata una grande atletica, non è affatto alta e scavalcare quelle sbarre per metà le ha già fatto abbastanza male.
-Ti fidi di me?- le chiede Rose di rimando, con uno sguardo serio.
Emma sorride.
Lei e Rose sono amiche da anni, tra di loro non esistono segreti. Ci sono sempre state l'una per l'altra e si sono sempre volute un gran bene: stanno quasi sempre insieme e, pur essendo fisicamente molto diverse, in quanto a pensieri e modi di fare erano molto simili. Rose ha le gambe lunghe e il volto poco truccato, i vestiti scintillanti e molto femminili; Emma è più minuta, ha i grandi occhi cerchiati di matita nera e i vestiti sportivi di chi trova i tacchi e gli abiti una gran scocciatura. Sono come il sole e la luna, il giorno e la notte; eppure, riescono a capirsi meglio di chiunque altro.
-Certo che sì- replica Emma, posando i piedi sulle spalle dell'amica e scivolandole su in modo da sedersi sulle sue spalle.
Rose la fa scendere poco più avanti, sul pavimento di mattonelle di pietra che costituisce il vialetto del cortile.
Quel vecchio asilo, circondato da un ampio spazio aperto provvisto di alberi e giostre per i bambini, era una grande e alta struttura, dotata di un tetto che godeva di una vista favolosa sulle stelle e il resto della città. Il fatto che l'inferriata che avrebbe dovuto proteggerlo da visite notturne fosse abbastanza facile da eludere e che su un angolo della struttura ci fosse una scala di ferro che permetteva di salire sul tetto, lo rendeva uno dei luoghi preferiti degli adolescenti di Sockville, che andavano lassù a fumare, bere o baciarsi con la propria anima gemella.
Quello che aveva spinto le due amiche ad arrampicarsi lì su quella sera, invece, era puro e semplice spirito d'avventura. Le serate a Sockville non erano nulla di particolare, dato che la cittadina aveva ben poco da offrire; e, finiti i loro drink abituali nel loro locale preferito, non avevano granché da fare. Avevano bisogno di un'avventura che rallegrasse la loro serata; di una storia da raccontare.
Ed eccole qui, con le mani sudate strette intorno ai manici arrugginiti di una scala di ferro; ed eccole qui, sul tetto, con le mani attorno ai fianchi e l'aria soddisfatta e sbalordita.
-È così buio che si vede a malapena- sussurra Emma.
-Aspetta, faccio luce-.
Estrae il cellulare dalla tasca dei jeans e attiva la torcia. Un sottile ma forte fascio di luce si posa sul pavimento e rischiara l'ambiente che le circonda: un tetto che sembra quasi un enorme balcone, sporco di polvere e calcinacci, sovrastato da un ulteriore tetto rivestito da un materiale argentato e strappato in più punti.
Rose ed Emma si scambiano un'occhiata di intesa e iniziano un breve giro di perlustrazione. Su un lato, dal tetto si innalza una parete adorna di una serie di finestre. Emma guarda attraverso di esse, scoprendo l'interno della scuola; ricorda che l'asilo all'interno ha le pareti molto alte e provviste di finestre, alcune basse, altre collocate molto in alto, come quelle dalle quali sta guardando. La bidelleria, le porte che conducono alle classi, i tavolini e le sedie della mensa sono immersi nel buio ed Emma riesce a scorgerne solo i contorni sfocati: se non avesse frequentato lei stessa quell'asilo, più di dieci anni prima, non riuscirebbe a capire nulla. È strano vederlo in quello stato, sembra triste e cupo; come se quel luogo fosse solo il fantasma di ciò che era sempre stato.
D'un tratto Emma si sente sfiorare da qualcosa: un breve tocco sulla nuca. Come una carezza appena accennata. Poi avverte uno spiffero d'aria calda sul collo che però la fa rabbrividire.
Si gira di scatto, soffocando l'urlo che ha incastrato in gola: non c'è nessuno dietro di lei. Solo un mucchio di ombre.
-Emma? Che succede?- le chiede Rose, correndo verso di lei.
Ha i jeans sporchi di polvere e l'espressione preoccupata.
-Qualcosa mi ha toccato- spiega, deglutendo rumorosamente.
-Cosa?-.
Una volta terminato il breve resoconto, Rose le posa una mano sulla spalla con fare rassicurante.
-Dai, di sicuro era solo un po' di vento- le dice, con aria convincente.
A Emma però non sfugge l'occhiata nervosa che si lancia intorno.
-E se andassimo via?- propone.
-Oh, no! Non abbiamo ancora visto il tetto vero e proprio!- protesta Rose.
-Rose, ho paura- ammette Emma, chinando lo sguardo.
Rose ammutolisce: sa che l'amica non è una fifona e che se ha paura è per un buon motivo.
-Che ne dici di restare solo un altro po'? Cinque minuti esatti- la prega, unendo le mani come davanti ad un crocifisso.
Emma la guarda e si lascia sfuggire una breve risata. Sente il nodo della paura sciogliersi e i suoi arti in tensione rilassarsi.
-Okay, ma poi andiamo via subito- acconsente.
Rose le sorride e le indica il secondo tetto; per raggiungerlo basta percorrere il breve e largo canale di scolo che si dirama da esso e che poggia sul pavimento del primo tetto.
Le due ragazze si arrampicano e, una volta giunte sul tetto, scoppiano a ridere per l'emozione.
-È bellissimo!- esclama Emma, sedendosi sul bordo.
Da lassù è possibile scorgere gran parte della città: una massa di case, luci e macchine sprofondate in un sonno profondo. Nulla si muove e una gran luna piena sembra brillare sul nero cielo stellato al quale è appesa.
-Guarda lì- le dice Rose, indicando un punto alle sue spalle.
Emma si volta; dall'altro lato del tetto è possibile ammirare una panoramica delle città limitrofe a Sockville, rappresentate da montagne di pallini luccicanti. Sembrano tanti brillanti incastonati in un collier di diamanti.
Rose si siede sul bordo del tetto e schiude le labbra per lo stupore; i suoi occhi riflettono le luci delle città e sembrano due piccole galassie in miniatura. Emma si siede accanto a lei e si accende una sigaretta.
-Ti senti pronta?- le chiede Rose.
Emma crede di sapere a cosa si stia riferendo.
-Per gli esami? Neanche morta-.
Rose sbuffa.
-Nessuno si sente mai pronto a quelli- replica, alludendo agli esami di maturità che entrambe a breve dovranno affrontare.
-Allora a cosa?-.
-A tutto ciò che verrà dopo. La fine della nostra adolescenza. L'università e il trasferimento in un altro paese, dove abiteremo e dovremo cavarcela da soli-.
Emma espira una lieve boccata di fumo.
-Ho sempre avuto una paura folle di crescere. No, non mi sento pronta. Sono solo... terrorizzata-.
Rose annuisce.
-Anche io- sussurra.
All'improvviso un rapido scalpiccio alle loro spalle le spinge a voltarsi.
-Cos'è stato?-.
-L'hai sentito anche tu?- dicono all'unisono.
Si voltano di nuovo.
Dietro di loro sembra non esserci nulla, eppure...
Rumore di passi, di nuovo. Passi pesanti. Accompagnati da un disgustoso odore di carne in putrefazione.
-Che cos'è quest'odore?- dice Rose, storcendo il naso.
-Morte- sussurra Emma. -C'è puzza di morte-.
Butta la sigaretta lontano e prende la mano di Rose.
-Dobbiamo andare via da qui-.
-Okay. Di lì-.
Le dice Rose, indicando lo stretto condotto dal quale sono salite sul tetto.
Ma non fanno in tempo a muovere neanche un passo. Dal buio solido, totale che le circonda fuoriesce una figura mostruosa. È alto almeno due metri e mezzo e indossa una sorta di tunica di un colore indefinibile, sporca e strappata in più punti; la sua pelle è cerea, bluastra, tappezzata di piaghe e rughe orribili. I suoi capelli sono di media lunghezza, neri, stopposi, sparati in tutte le direzioni, come quelli di un vecchio bambolotto lasciato a marcire in soffitta per troppo tempo. La sua bocca non è nient'altro che un foro storto e irregolare, il suo naso una protuberanza appena accennata, i suoi occhi... I suoi occhi sono il male. Sono enormi, bianchi, dotati solo di una minuscola pupilla grigiastra. Emma e Rose vi guardano dentro e vi vedono loro stesse. Loro stesse inseguite dai bulli all'asilo, o colte a rubare la torta della merenda e messe in punizione dalla mamma, o sveglie nel bel mezzo della notte in seguito a un incubo terribile, o lasciate dal ragazzo che amavano di più, o all'ospedale al capezzale della madre, o... Sul bordo del tetto di un asilo abbandonato, a parlare del loro futuro.
Le loro paure peggiori sono racchiuse in quegli occhi che parlano di morte e orrore.
-Chi sei?- urla Rose, tremando leggermente.
Emma lo guarda, sconvolta.
La risposta del mostro è un sussurro viscido e sottile, che sembra così fuori luogo rispetto alla sua enorme stazza. È la voce dei personaggi dei tuoi incubi, dei tuoi brutti pensieri, delle tue paure. Quella voce che si insinua attraverso le fessure della tua anima e ti impedisce di far ciò che dovresti o vorresti fare. Che ti distrugge con mille dubbi e incertezze.
-Fobos- risponde.
-Cosa vuoi da noi?- chiede Emma, sul punto di piangere.
-Le vostre anime- replica lui.
Inizia a correre verso di loro. Velocemente, inesorabilmente.
Emma e Rose si sentono bloccate, paralizzate dalla paura. Non si erano mai sentite così impotenti e spaventate in tutta la loro vita. Provano quella paura terribile che si avverte prima di un evento inevitabile e orribilmente doloroso. Che pervade gli organi e lega le ossa in un nodo stretto, insolubile, e incatena direttamente alla morte.
-Dobbiamo andarcene- sussurra Emma.
Poco prima che Fobos riesca a raggiungerle, entrambe istintivamente si tuffano una a destra, l'altra a sinistra.
-Forza Emma!- grida Rose, alzandosi e iniziando a correre.
Emma la segue.
Corrono a perdifiato fino al condotto, inseguite da Fobos e dai suoi passi pesanti. Emma quasi riesce a sentirsi il suo fiato fetido e putrescente sul collo, ma urla a se stessa di non arrendersi.
-Di qua!- urla Rose, indicandole la scala di ferro arrugginito dal quale sono salite sul tetto.
Emma corre verso quella scala; quei pochi metri le sembrano un'eternità. Mette il piede sul primo piolo e si volta a chiamare Rose.
-Rose! Dove sei? È qui la scala! Rose?-.
C'è troppo silenzio.
Emma si volta, perforando l'oscurità coi suoi occhi spalancati e colmi di terrore.
-Rose?...-.
-Torna qui, o non vedrai mai più la tua amica- sussurra una voce, la sua voce.
Fobos si materializza davanti a lei, con una Rose mugolante e scalciante tra le braccia; le sue urla sono soffocate da una delle sue enormi mani, che le copre la bocca. I suoi calci e pugni sembrano non sortire alcun effetto sul mostro, che li incassa senza batter ciglio.
-Torna qui- dice.
Rose la guarda negli occhi implorandola di scappare, di mettersi in salvo. Lei è già morta, che almeno si salvi lei.
Ma Emma non può farlo. Non può abbandonare la sua migliore amica tra le fauci di quel mostro: se lo facesse, se la lasciasse lì, oltre a lei perderebbe anche se stessa.
Toglie il piede dalla scala e torna sul tetto.
-Nnnnn...- farfuglia Rose.
Ma Emma è improvvisamente stanca di scappare. È stanca di avere paura. È stufa di quel sentimento viscido e meschino che si impadronisce dei suoi punti di deboli e li usa su di lei per farla sentire piccola, insignificante, indifesa.
Deve lottare per se stessa e per Rose. Deve lottare per la salvezza.
-Fobos, hai detto, vero?- sussurra, alzando il mento e guardando il mostro dritto negli occhi.
Lui la guarda di rimando, stupito.
Emma nota che adesso i suoi occhi non le fanno più alcun effetto.
Perché lei ha deciso così. Perché lei non ha più paura.
-Non ho paura di te- dice, con voce alta e sicura.
-NON HO PAURA DI TE!- urla, e Fobos inizia a tremare.
-Non ho paura di te e di nient'altro- dice.
Il mostro lascia la presa su Rose, che corre verso di Emma e rimane con lei a guardarlo contorcersi su se stesso e andare in fumo.
Sì, sta bruciando: un filo di fumo sottile si innalza dalle sue vesti, lo consuma lentamente.
Rose guarda prima Emma, poi lui, e urla:-Non abbiamo paura di nulla. Possiamo farcela da sole. Possiamo sconfiggere te e cento altri mostri della tua razza. Possiamo combattere. E lo faremo-.
Fobos emette un urlo tremendo, che ha il suono di mille voci. Il suono delle mille anime che ha divorato e distrutto con la paura.
Crolla al suolo, contorcendosi, strillando. Si contorce fino a che non si trasforma in un misero mucchietto di panni stracci. Tutto ciò che rimane di lui è una voce, che sussurra:-Stavolta mi avete battuto, ma sappiate che tornerò. Ogni volta che dovrete affrontare una nuova sfida o fare qualcosa di particolarmente difficile. Tornerò-.
-Ma non prenderai mai le nostre anime. Ti sconfiggeremo, sempre- sussurra Emma.
Con un ultimo gemito straziante, Fobos muore definitivamente.
Emma e Rose si guardano, sorridendo.
-Ce l'abbiamo fatta!- urla Rose, abbracciando Emma.
Quando si staccano, si guardano ancora e scoppiano a ridere. Perché in fondo è così che si sconfigge la paura: con l'amicizia, il coraggio, l'ironia.
Ed Emma e Rose ci sono riuscite. Da quella notte, sono due persone migliori.
Sono senza paura.
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- Un racconto intenso... e ben scritto.
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