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Penny è volata dal tetto. (Cap 1)
Cap 1.
Fuori.
Freddo.
Cazzo se fa freddo ‘sta sera.
Le macchine passano con violenza. I semafori si colmano e si svuotano di bare metalliche piene di fretta, come clessidre continuamente rigirate.
Fari illuminano squarci di notte davanti alla stazione.
Cazzo se fa freddo.
Le strade sono invase da una nebbia squallida che sale dal fiume.
La via dello shopping di natale sbocca in faccia alla stazione. Coppie, a decine, arrivano, girano di boa cambiando marciapiede e ritornano verso il centro illuminato e festoso, concedendo un unico sguardo preoccupato alla stazione e alle ombre che si aggirano nei suoi pressi.
La stazione è una triste, bella dama, incappottata da impalcature metalliche e teloni, che pubblicizzano la nuova millaccessoriata utilitaria del momento, a guardarla sembra una ferrari, a guidarla probabilmente sembra una scatola d tonno col motore. La grande dama che inghiotte treni e sputa umani affrettati, spaesati, speranzosi, stanchi, è dal chirurgo per la ristrutturazione.
Verranno grandi eventi e la città deve mostrare il suo volto migliore.
Si pulirà la putrida fontana, si netteranno i vomiti dalle strade e le cacche di cane, si chiederà agli immigrati, clandestini e non, di andare a rattristare l’ambiente centro metri più in la, dove non saranno in vista.
Attraverso l’antro della stazione e via della disperazion, ed entro nella casba.
Devo aspettare Sandro davanti alla pizzeria rumena: pizza e polli arrosto. La pizza sa di pollo e il pollo sa di pizza. Meraviglia dell’integrazione etnica: proprietario italo rumeno, commessa slava, pizzaioli a turno: marocchino, rumeno, bielorusso.
Pizza in the world.
Gira in automatico il girarrosto, con lenta malinconia espone sulla pubblica via culi e cosce di polli crudi, appena rosolati, o croccantemente girarrostati.
“Fumo?”
“no grazie”
“Caramello?”
“no, grazie”
“zero zero? roba buona”
“no, grazie”.
I piccoli spacciatori ti ronzano attorno come mosche sulla merda.
Il porticato sembra il mercato di Istambul, qualche europeo che passa nel mezzo di ogni tipo di cianfrusaglia, generi alimentari venduti su una coperta dove i pidocchi fanno gli allenamenti per fottere le pulci in quel loro, maledetto, circo. Il prossimo anno sarà l’anno dei pidocchi, niente più pulci al circo solo pidocchi che, siccome son grandi, se li guardi bene li vedi pure che fanno le loro evoluzioni.
Cinco de las tardes: Sandro è in ritardo. Normale.
Perché cazzo io mi ostini ad arrivare in orario quando ho appuntamento con lui è il fatto strano.
Varco il confine ed entro nella casba.
Prima strada, primo girone, l’ambiente è ancora soft, ci sono i peccati minori nel gironi esterni. Un colombiano alto poco più della bottiglia di birra che tiene in mano mi guarda e sorride appoggiato alla colonna della porta dell’inferno. Ha gli occhi gonfi di luppolo che sembra debba sbordare da un momento all’altro. Sorride che della sua faccia rimangono solo denti e due occhi che convergono verso due buchetti centrali. Un ipotetico naso? Chissa? Mi sorride contento e conscio di essere una spanna sopra al suo collega riverso a faccia in giù sul selciato. Dorme? È morto? Chi se ne frega?
Abbasso gli occhi rispondendo con un sorriso al limite dell’ambiguo, dovrebbe comunicare comprensione, intesa. Chi se ne frega. Tanto il colombiano è troppo sbronzo per essere pericoloso.
Vado verso il bar del sardo. Sta in questa parte della città perchè una volta gli extracomunitari erano loro, poi non s’è più spostato al mutar dei tempi. Il tempo passa le cose cambiano. Lui è li a chiarir che di tutto ciò non glie ne frega niente. Entro.
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- mi piace, ma, parlo da lettore, dovresti dare maggiori notizie della "location", e scusami, ma leggo tra le righe un malcelato filino di " antiintegrazionismo" versione moderna dell'atavico "razzismo", e spero sia un elemento del racconto e non già tuo personale, corro alla seconda puntata, gigi
- un'intro avvincente ma mi piacerebbe leggere il seguito
- mi piace come scrivi ma la storia non è ancora iniziata
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