Se vi capita di andare a Ferrara, non dimenticate di trascorrere mezz'ora nel cimitero ebraico che si stende a ridosso delle antiche mura della città.
È un luogo suggestivo che invita a pensare. Dove chi cerca trova ispirazione.
Come tutti i cimiteri, dirà qualcuno. Non per me, che odio l'atmosfera grigia e cupa dei cimiteri cristiani. Dove ogni cosa sembra volerci per forza ricordare che dobbiamo morire. Come se fosse facile dimenticarlo. Specie dopo che abbiamo superato la collina.
A parte l'architettura severa e funebre del portale d'ingresso, che vi precipiterà d'un soffio nella Storia, evocando immagini che non avreste mai voluto vedere e vi rimanderà con la memoria all'infamia dei Ghetti, al suo interno c'è altro. Tutto dipende da cosa avete dentro, e da quanto siete pronti a lasciarvi andare disponendo i sensi all'ascolto. Perché il cimitero ebraico di Ferrara non è un cimitero. È un grande giardino che dorme, un po' dimenticato, dove tombe annerite e ricoperte di muschio trovano dimora qua e là, immerse in una vegetazione che cresce libera per mesi, senza che la mano dell'uomo la costringa ad un ordine innaturale.
Accanto a quelle un po' monumentali, troverete quelle più modeste, in ordine sparso, con le loro lapidi spesso piegate sotto il peso degli anni. E poi lunghe pause di verde, qualche albero di Giuda, e secolari Ginkgo Biloba con le loro fluenti chiome e foglie a ventaglio, e poi di nuovo tombe, e ancora prati liberi, dove l'erba segue i suoi ritmi incolta e scarmigliata.
Quando vi inoltrerete nella parte interna, l'antico muro di cinta in mattoni vi accompagnerà, facendo capolino fra una siepe e l'altra, fino ad apparire sullo sfondo in tutta la sua romantica e decadente bellezza. All'improvviso, spunterà una piccola oasi in mezzo a una distesa verde e qualche cespuglio di rose. È la tomba di Giorgio Bassani. Al centro una scultura in bronzo di Arnaldo Pomodoro. Unico riferimento che ha data in un piccolo mondo immobile e senza età. Metafisicamente sospeso tra terra e cielo come ogni angolo della città.
Dimenticavo, per entrare dovrete suonare a una stretta e anonima porta di ferro, sulla destra dell'ingresso principale. Dopo qualche minuto, verrà ad aprirvi una figura femminile che sembra uscita da un film di Buñuel. Vi farà accomodare e vi inviterà gentilmente a firmare un registro. Agli uomini porgerà la kippah con un sorriso appena sfumato.
Potete evitate di portare la guida. In questi luoghi si va più per sentire che per capire.
Un consiglio. Se avete qualche pregiudizio, per una volta, lasciatelo fuori dalla porta.
Lì dentro per certe cose non c'è posto.