Morirai, certo morirai.
Ma più tardi non ora.
Ti senti in trappola, non è vero? È inutile che ti scuoti, che cerchi di divincolarti, che provi a fuggire. Le catene che ti chiudono le membra, quelle gambe sottili, quel vitino da ape, le ho fatte io, non cederanno mai. Mai.
E dimmi piccola mia. Hai paura?
Hai paura? Cosa provi mentre mi avvicino con queste lunghe braccia che finiscono in lame affilatissime lame.
Soffrirai, non temere, soffrirai.
Avrò già digerito i tuoi stinchi e tu sarai ancora li a guardarmi negli occhi, in questi miei meravigliosi, inquietanti occhi neri, bocche d’inferno, specchi di morte.
Raccontami la tua paura. Voglio sentirla, mi eccita, bavo, la bocca mi si riempie di schiuma, una piacevole risacca fra i denti che si stringono feroci tra loro, mentre aspetto di azzannare quelle tue gambe sottili.
Sottili e vellutate, squisite.
Guarda, mi salgono le lacrime agli occhi, dio come ti voglio.
Guardami.
Guardami.
Guardami.
E il ragno cominciò a mangiare la mosca impigliata nella sua tela.