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La partenza di Francesco Paolo
I manicaretti alle olive danzavano briosi e primitivi nella testa di Francesco Paolo. A volte, quando il treno partiva, ne riassaporava con immaginaria libertà il loro gusto materno, rimestando in bocca gli avanzi dell'ultimo cornetto, preso poco prima al bar della stazione. Lo faceva spesso perché, per qualche ragione, quel dolce fondersi della sfoglia e dello zucchero a velo sotto il palato lo allontanava dal pensiero di un altro tedioso viaggio tra i monti dell'Appennino. Per intanto suo padre, vestito di pezze, gli portava la valigia corrugando una flebile angoscia al suo dipartire. La mestizia gli screpolava il cuore e così, preso dal ricordo dell'ultima nostalgica golosità, affogava con il suo vecchio in discorsi blandi, al limite del ridicolo. Riempivano i silenzi dell'addio con poche frasi mangiucchiate sul tempo, sul ritorno a breve, sul sole a picco in testa alla stazione.
Poscia ch'ebbe ritrovato il binario al primo colpo, non manifestando alcuna ansia per l'attesa, Francesco Paolo si alzava sulle punte dei piedi per poi ricadere sui talloni a movimenti costanti, mascherando qualche leggera premura agli occhi del padre, lontano dai pensieri rincuoranti di manicaretti perduti.
Tra quei monti, nella valle dove la sua infanzia si era consumata in uno schioppo di fucile, di patate bollite e di scamorze fritte, il senso di vuoto spariva solo il giorno dopo, quando al pensiero del ritorno s'aggiungeva la serena follia di un'uscita con gli amici di sempre. Era là che Francesco Paolo non serbava più alcuna intimità, la perdeva disseminandosi d'allegrezza; rincasando sul fare del giorno, alle prime luci del crepuscolo e guardava laggiù oltre l'orizzonte, dove tosto l'attendeva il domani. Quello strano e speciale sentimento gli riempiva il cuore, si faceva beffe ben più alte di lui, al voltarsi indietro verso la vita di paese, ora che la città lo trastullava con altro odore di caffè.
"Rimetti la cintura al pantalone", biasciò suo padre sottovoce. "Povero figlio mio", pareva dire, circondandosi di silenzio. E al silenzio, Francesco Paolo rispondeva col silenzio. Guardava suo padre ormai vecchio e stanco, anima in pena senza meta e senza un braccio e si chiedeva quando l'avrebbe rivisto di nuovo con in braccio quella valigia di cartone.
"Papà", disse ad un certo punto. "La prossima estate porterò l'acqua tutte le sere. Verrò tutte le sere".
Suo padre continuava a fissarlo e a chiedersi quando il treno sarebbe arrivato, se l'impellente scampanellare del martelletto sopra di loro avrebbe corrisposto un breve e tristo saluto.
C'è un confine sottilissimo tra le emozioni. Quando Francesco Paolo era malinconico e, solo al cospetto di suo padre, al pensiero di lui morto nella bara, al pensiero di sua madre affranta e di lui stesso lontano, cercava un rifugio in pensiero gaudiosi. Scacciava il dolore con l'immagine di pasti felici; barzellette in dialetto; scamorze fritte sulla testa del suo cane. Nell'abbraccio il contorno era il ritorno, tra uno, due mesi o quanti.
Al lungo volgersi indietro, quando il treno era fermo nel fracasso dei viaggiatori, suo padre non lo salutava mai, ma gli diceva solo "Statt' bbuon", richiamando una sagace ed ilare giovinezza. Francesco Paolo rispondeva secco e quasi sempre con un rincalzo d'eccezione, di riguardarsi a dovere.
"Statt bbuon tu, papà", diceva.
Quando il fischio del capostazione venne inghiottito dalle ultime urla di commiato, la locomotiva partì e Francesco Paolo prese posto tra due donne anziane. Venivano anch'esse da sud, ma dal moderno e ormai noto intercalare, notò che non v'era magia in quelle parole, non ritrovava il calore della pastasciutta, dei manicaretti alle olive o di altre pietanze. Sentiva però l'odore della bagnacauda, di mondi a lui lontani, in cui s'era abbarbicato e a cui intendeva prostrarsi nei lustri a venire. Quel duemilasei era appena passato e il duemilasette sarebbe stato un anno di speranze. La lontananza, il bisogno della pallida poesia che componeva nascosto sotto i pioppi, nella cuccia del cane, la nostalgica rimembranza delle sue pietre di fiume sarebbero state durissime da sopportare.
Prima che il locomotore s'empisse di fumo nuovo, dalla tenda del treno rivide suo padre chino sul bastone, accigliato per la via del ritorno, tra i colossi di ferro della stazione. Gli sembrò un un vecchio malconcio. Ma mai l'immaginava sottoterra, al cospetto della croce, del prete e di tutti quanti.
Ora che il treno era ad Ancona, tutta l'allegria dei manicaretti alla bietola tornava, smarrita tra i sorrisi e le strette di mano che avrebbe incrociato tra un giorno o poco meno.
E allora, varcata quella soglia invisibile tra il passato e il presente, Francesco Paolo pensava alle donne, alla casa nuova, alle giornate di lavoro. Rincitrullito dalla vita scordava il passato; quell'immagine di manicaretti al sugo presto l'atterriva. Un superficiale passaggio al futuro e Francesco Paolo tornava gaudioso e nostalgico, senza piangersi troppo addosso. Proprio come dal fosso in cui d'abbasso alla casa paterna, da fanciullo, mirava l'orizzonte.
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