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Quella tremenda miscela che rende terroristi
Nel fiume di parole in libertà di queste settimane, adesso che la corrente si è fatta meno impetuosa, penso che possano nuotare tranquillamente anche le mie.
E allora proverò a dire quello che sento. Anche se lo farò in modo un po' scomposto e approssimativo. Perché, travolto dagli avvenimenti, non ho avuto modo di riflettere e verificare più di tanto. Come molti, del resto. A giudicare dagli interventi.
Sento - e sottolineo sento - che alla base dell'attuale terrorismo c'è una miscela esplosiva composta da tanti elementi. Razionali e non.
I razionali riguardano la parte oscura. Quella che si intuisce. Sta dietro. Con motivazioni egoistiche e mercantili. E fornisce, nel suo spietato procedere, supporto economico e strategico a eserciti di mercenari. I cui soldati-adepti in gran parte ignorano di essere manovrati.
E poi c'è quella parte che appare. Quella degli esecutori materiali, i manovrati, appunto. Che quasi mai coincide con la prima. Ma risponde a logiche e motivazioni infinitamente più complesse. Perché riguardano soprattutto la mente. Elemento caotico, ribelle, spesso disarticolato. Tanto da sembrare, o essere, incoerente. E richiede, per essere scandagliato, di andare oltre il raziocinio, seguendo l'intuito e la sensibilità. E un briciolo di cultura - intesa come esperienza di vita - per essere messo a fuoco.
Prima di affrontare la questione religiosa, le cause e gli effetti delle fanatiche, talvolta aberranti, interpretazioni della religione, che ammetto di conoscere poco, dovremmo ricordarci che la manovalanza, il braccio armato del nuovo terrorismo, sembra provenire dalle banlieue. La Grande Bruttezza delle metropoli.
A tale proposito dirò che, durante la mia infanzia ho vissuto ai margini della periferia, anche se non ho fatto vita da coatto di borgata.
Seppure baciato dalla fortuna, mi sono mosso per anni in quel sottile, anonimo, quasi invisibile, confine o terra di nessuno, che c'è tra i così detti "ragazzi della via Gluck", quelli con possibilità di emanciparsi, e i teppisti dei quartieri più degradati, condannati a restarci a vita.
Di quei non luoghi ho fiutato, durante le giornate di vento, la triste, maleodorante atmosfera da ghetto. Ne ho respirato l'aria. Tanto da convincermi che la periferia, quella profonda, delle case dette, non senza una smorfia di disgusto, "popolari" , deve essere un luogo tremendo. Un enorme calderone ribollente di paure, solitudini, disperazioni, conflitti, drammi, angosce, aspirazioni, frustrazioni, sogni infranti. E speranze che, al novanta per cento, per noi italiani non si realizzavano mai. Nemmeno negli anni del boom economico. Cosa vera ancora oggi. Forse oggi più che mai.
Se pensiamo adesso alle banlieue, luoghi ben più orrendi delle nostre peggiori periferie, dove perfino Iena Pinsky avrebbe qualche sturbo ; dove si ammassano genti di tutte le razze, culture e religioni; dove pure la lingua è da banlieue; dove vivere è una parola troppo grossa da pronunciare, e tanto vuota da risultare sconosciuta alla maggior parte di quelli che le abitano; dove perfino il cielo sembra sempre incazzato e l'aria gridare vendetta, non può sfuggirci che le banlieue rappresentino il terreno di coltura delle peggio cose. Che quelli nati e vissuti nei quartieri alti, per quanto si sforzino, nemmeno riescono a immaginare. Figuriamoci a sentire!
"Deserti affettivi" li definisce Renzo Piano. Anche se, meno poeticamente, io descriverei questi recinti offimits come due mani che ti afferrano alla gola, mentre il cervello si dimena in una tempesta di pensieri che sbattono qua e là senza trovare via d'uscita.
Per questo non dovremmo stupirci troppo davanti a certi fenomeni. Certe radicalizzazione. Certe esplosioni di ira. Come le rivolte del 2005. Anche se abitualmente questi sono spazi-limite dove i drammi si consumano individualmente. In silenzio. Spesso in famiglia. Fra quattro mura. O tra pochi amici accomunati nella stessa malasorte. Spazi dove non c'è nemmeno l'ideologia a fare da aggregante, né la consapevolezza o l'orgoglio dei propri diritti che possa liberare energia produttiva, sfociando in composte manifestazioni di protesta, o marce organizzate come ad Harlem in passato. C'è solo lo stato di necessità. Di indigenza. Una maledetta miscela di confusione e disorientamento. Inutilità di sognare. Impossibilità di sperare. Dentro una testa che è come una pentola a pressione con la valvola che non funziona. E così è facile diventar preda dei capi branco, dei signori della droga o, peggio, dei cattivi maestri.
E adesso sforziamoci di pensare ai giovani musulmani senza buonismo né carità cristiana, ma per noi stessi, per egoismo, per cercare soluzioni che non peggiorino la situazione in cui ci troviamo. Che tentino non tanto di mettere una pezza, ma di costruire qualcosa di solido e duraturo, che non ci faccia vivere nel costante terrore.
Oggi ci troviamo di fronte ad un bivio: o combattere l'origine del male con un po' di lungimiranza - se non vi piace la parola leggete "furbizia" - o combattere la metastasi con gli scarponi.
Cerchiamo di immaginare quanta delusione, frustrazione, e rabbia ci sia nelle menti di molti giovani musulmani. Specie in quelli che hanno lasciato le terre d'origine per luoghi traboccanti di promesse. E che si ritrovano improvvisamente relegati in un angusto e grigio angolo di questo mondo. E scoprono che ciò che avevano in testa erano solo un grande miraggio. E sono costretti a vivere in una sorta di "riserva" da cui si intravedono le mille luci della città e si sente l'eco dei suoi irresistibili richiami. E realizzano che il sogno di condurre una vita all'occidentale non diventerà mai realtà.
Così, disillusi e frustrati, è facile che cadano nella rete di personaggi senza scrupoli, incaricati di reclutare braccia da armare per una guerra in cui stento a scorgere tracce di santità..
Dopo averli agganciati, a poco a poco, questi suadenti arruolatori conquistano la loro fiducia e si offrono come guida spirituale, morale, e religiosa. Ma con una interpretazione e narrazione della religione talmente estrema e nello stesso tempo tanto affascinante ed appagante da nutrire e trasformare la loro rabbia in un odio che li porta a vivere in funzione della vendetta. E, nel caso, di morire da "eroi".
Nella confusione mentale che fa vacillare ogni pensiero é naturale che la ragione ceda all'irrazionale. Che ognuno si rifugi e trovi forza e sollievo nella fede. Nel senso più integralista del termine. Tanto da non riuscire più a capire che non sarà una manciata di euro a risolvere i suoi problemi di emarginazione. Né che vendicarsi su di noi non potrà placare la sua disperazione. Né dubitare minimamente che la bella morte lo condurrà davvero in Paradiso.
E, se anche fosse, chi ha detto che qualcuno gli aprirà.
In tutto questo caos ha visto inaspettatamente lontano perfino Renzi, quando ha indicato nelle precarie condizioni delle periferie, nella marginalizzazione che producono a getto continuo, una delle cause di quel malessere che può finire, come abbiamo visto, in tragedia. Ha capito che intervenire lì potrebbe essere un modo per togliere lentamente, ma progressivamente, ossigeno alle centrali del terrore, e a tutti quegli eserciti senza patria che potranno nascere in futuro. Ma allora, invece di pensare a fare cultura elargendo striminzite "paghette" una tantum, che se ne andranno in fumo in un attimo, coerenza avrebbe voluto che cominciasse, o meglio, che avesse cominciato, ad investire proprio lì. Nelle periferie.
La stessa cosa dovrebbe avvenire in Francia. E in ogni luogo dove esistono simili realtà.
Mi par già di sentire la voce di Salvini tuonare: Prima i nostri! Prima i nostri! I nostri, prima di tutto! Mica stì beduini!
A cuccia Matteo. Guarda che nelle periferie ci stanno pure i nostri. E loro non sono antropologicamente diversi. Come tutti quelli che non sono di pura razza padana. E se questo "nostri" versano in condizioni subumane, e vivono barricati nei loro loculi, guardando con un misto di odio e paura il loro vicino di porta, il così detto "diverso", la colpa è anche tua.
Ma questo appartiene al folclore. La costruzione della pace, e prima ancora della sicurezza, richiede una complessa architettura che comincia anche dal miglioramento delle condizioni umane di queste realtà. Spazi da allargare, luoghi di socializzazione da creare, contaminazione culturale da favorire, relazioni tra i più giovani da incoraggiare, e sicurezza da assicurare a tutti: islamici, cristiano cattolici, cristiano protestanti, cristiano ortodossi, ebrei ortodossi, ebrei riformati, ebrei conservatori, confuciani, buddisti, taoisti, induisti, atei... Senza dimenticare di mettere qua e là un po' di bellezza, o meno bruttezza, in modo che quando uno alza lo sguardo non gli si stringa il cuore e la zucca non sbarelli.
Se a tutto questo aggiungiamo usi e costumi molto diversi. Talvolta agli antìpodi. La difficoltà, spesso incomprensibile, di accettare e rispettare i nostri usi e costumi. Il divario che ancora esiste nei rapporti fra uomo e donna. La repressione sessuale. L''incapacità di dar vita in ogni Paese ad espressioni artistiche e culturali, che possano fare da ponte tra il loro e il nostro mondo (che ne è della cultura arabo-islamica che tanto ci ha dato nel passato?). E soprattutto il fattore religioso, che permea la loro vita molto più di quanto le religioni cristiane facciano con le nostre... ecco che la miscela da cui nasce il terrorismo è bell'e che pronta.
C'è un detto inglese - Renzi non può non conoscerlo - che dice: You can't have tha cake and eat it. Non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non c'entra nulla. Se non per l'aspetto edonistico della torta. E dalla torta prendo spunto per coniarne un altro che credo faccia al caso nostro. Lo dico in inglese, nel caso il Vostro fosse in ascolto: if you wanna still enjoy your cake you' ve to share it. Se vuoi continuare a goderti la torta, devi cominciare a condividerla.
E stavolta mi par di sentire la voce dell'asfaltato urlare: Comunistaaaa! Ma io sono troppo educato per rispondere. E soprattutto non posso dirmi comunista. Così come non posso dirmi cattolico. A maggior ragione dopo che un certo arcivescovo integralista ha sollecitato alla Madonna il visto per il viaggio eterno del Papa. Questa è la carità cristiana. Questa è la superiorità morale della Chiesa di Roma. Ciò che ci rende migliori rispetto agli altri popoli. Alle altre religioni.
A proposito di moralità: perché il pio Salvini non chiede a Bertone di trasferirsi in un attico di una casa popolare, e magari con la parte rimanente del ricavato fare una palazzina a tre piani per i "nostri"? Ve lo siete chiesto?
E da ultimo: che ne direste se cominciassimo a ridimensionare l'industria bellica? Di certo, male non farebbe.
Forse questo significherebbe ridimensionare le nostre vite. Rinunciare a qualcosa.
Ripensandoci, mi rendo conto che è un'idea balzana, perché sono certo che se dovessimo toccare il "train de vie" molti sedicenti pacifisti troverebbero da ridire. Soprattutto perché non potrebbero sopportare di viaggiare in seconda classe. 
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