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il direttore M. - quinta puntata

Gli anni del liceo erano stati, per il giovane M. un periodo di studio, di solitudine, e di sport.
Praticava l’atletica, precisamente la corsa su distanze lunghe. Mille, cinquemila, anche diecimila metri. Correre gli piaceva, i duri allenamenti lo facevano sentire disciplinato, interiormente forte e determinato, padrone di un corpo che, fuori dalla pista dello stadio, si muoveva come se fosse dotato di una propria, perversa volontà, e trasformava il promettente atleta in un ragazzotto goffo e imbranato.
M. proveniva da un paese della cintura urbana, in quegli anni ancora nemmeno lambito dalla periferia, il cemento della quale, comunque, era già chiaramente visibile dalle finestre della casa di M. , situata su una bassa collina.
I tumultuosi cambiamenti del ‘ 68, e degli anni Settanta erano un’eco vaga, e lontana. Anche i ragazzi che frequentavano i licei, e l’Università, lasciavano in città quella parte della loro vita, anche se venivano coinvolti dal clima politico circostante.
Quando M. arrivò al liceo, i suoi compagni di scuola attesero che si inserisse in uno degli schieramenti esistenti, a volte agirono perché lo facesse. I membri dei gruppi di sinistra, dalla più estrema, a quella istituzionale, di fronte al suo educato disinteresse, supposero che, prima o poi, “quello” nuovo” si sarebbe messo “ coi fasci “. Al pari di loro, gli appartenenti alle fazioni opposte, ottenendo, da parte di M. , la stessa indifferenza, lo classificarono come un potenziale “ rosso “, anche perché non era abbastanza ricco, e, riconobbero entrambi gli schieramenti, non era abbastanza stronzo da far parte del terzo, aristocratico, gruppo, quello dei figli di papà.
Non era nemmeno un secchione, dicevano di lui i suoi compagni, anche se i suoi voti erano alti, ed era anche allegro e cordiale. Durante le ore di ginnastica le sue prestazioni atletiche suscitarono una certa ammirazione, ed il professore di educazione fisica, al corrente dei successi sportivi di M., li aveva pubblicamente rivelati, creando ad M. un notevole imbarazzo.
Col tempo i compagni di scuola impararono a rispettare quel ragazzo che, semplicemente, era se stesso. La politica permeava buona parte della vita scolastica, e nemmeno M. restò indifferente. Se una causa, secondo lui, era giusta, la difendeva, con una determinazione pacata e ragionata insolita per un ragazzo di quell’età. Se il motivo era, per lui, valido, M. partecipava anche a qualche corteo di protesta, e, riconobbero gli altri manifestanti, non aveva nemmeno paura delle cariche della polizia. “ Corro forte “ aveva risposto, ridacchiando, ad un paio di militanti del Comitato di Agitazione, che si erano complimentati con lui.
Arianna S. arrivò all’inizio della quarta, e, fin dal primo giorno, occupò a pieno titolo il trono di reginetta della scuola, lasciato vacante da una tale Veronica B. per decorrenza di termini, ovvero, la felice conclusione del ciclo di studi superiori, e l’ingresso all’Università.
Arianna era figlia di un diplomatico, e di una scrittrice, ed i suoi genitori, dopo averla portata con loro in diversi Paesi e continenti, avevano deciso che gli studi di lei, fino ad allora disordinati, privati, adattati alle esigenze degli spostamenti del, da quattro anni, Ambasciatore S. , dovevano almeno concludersi con un certo ordine.

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1 commenti:

  • luigi deluca il 05/05/2007 19:41
    Grande, aspettavo con ansia questo nuovo capitolo e sono stato premiato dalla tua bravura! Oltretutto stavolta parli di ragazzi del Liceo (e di fatto fai pubblicità al mio Ciclo di Cesca ) Con rinnovata simpatia, gigi

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