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Opzione
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Nella penombra del locale disco, al piano seminterrato di un fetido palazzo del centro città, lo smilzo se ne andava ciondolando tra il bancone e la porta del bagno, dove studiava con occhio clinico il viavai dei clienti. Era un tipo svelto, lo smilzo, di mano e di mente, sempre pronto a darsi da fare per guadagnarsi un extra. Era anche parsimonioso, soprattutto nei gesti, che dispensava con insolita lentezza e badando bene a non apparire troppo fraterno. C'era in lui, sin dai tempi dell'infanzia, una ossessione per la misuratezza; ogni cosa, diceva, ha una sua misura perfetta e non si può andare oltre né fermarsi prima.
Quella sera, una domenica che non voleva finire mai, lo smilzo si ritrovò a bere una birra oramai calda da quanto tempo l'aveva stretta tra le mani. Non c'era movimento e le poche persone se ne stavano per i fatti loro. Che sfiga quel periodo, non ne andava dritta una. Gli affari non giravano, l'amore non girava e non girava quella vita che si era scelto. Spacciare quattro canne, un po' di coca e qualche pasticca in quella cantina non era il sogno della sua vita. - Hey smilzo, come butta? -, grugnì un cliente quando aveva già spalancato la porta del bagno. Lo smilzo sorrise, mostrando quei denti gialli, così gialli che la gente non riusciva a non fissarli con una smorfia di disgusto.
- Allora, come butta? -, chiese lo stesso cliente uscendo mentre ancora si abbottonava la patta dei pantaloni.
- Solita vita, lercio, solita vita e tu? -
- Che ti devo dire, non succede un cazzo. -
Lo smilzo rise tirando su il boccale e brindando alla salute. Il lercio portò la mano ai pantaloni e, con la faccia seria, rispose: - E con che brindo, con sto cazzo? -
Con un gesto della mano, senza neppure voltarsi, ordinò una birra al Lercio, che ringraziò mentre ancora trafficava con la patta dei pantaloni. Così era la serata, pensò lo smilzo lisciandosi i baffi con un movimento verso l'esterno che negli anni era diventato un tic al quale non sapeva rinunciare; così erano le serate che non finivano mai, quella in cui i clienti scarseggiavano e le bevute si centellinavano per non sprecarle e, tuttavia, bisognava offrire da bere persino agli scarti della società come quell'erotomane che costantemente si ravanava le mutande. Erano così le serate molli, in cui valeva la pensa soltanto aspettare il sole e pregare che qualcosa accadesse perché altrimenti si era vissuto quel tempo senza un motivo valido.
Afferrata la birra il Lercio sfiorò il bicchiere dello smilzo e senza dire neppure Salute tracannò una sorsata che allo smilzo parve uno spreco insopportabile e ne provò un dolore quasi fisico. Tutti comunisti coi soldi degli altri pensò tra sé e bevve un sorso brevissimo, talmente misurato che a mala pena sentì il liquido scendere lungo la gola.
- Io t'ho capito, fratello -, urlò il Lercio per sovrastare il rumore della musica. - T'ho capito, sai. Tu fingi di bere per restare sobrio tutta la sera e fregare i clienti. Cosa credi che non t'ho capito, che tagli la roba con l'aspirina? -
Lo smilzo lo guardò sorpreso, con un'espressione oramai collaudata: Non so di cosa piffero tu stia parlando! aveva scritto in faccia, anche se si guardò bene dal dire una sola parola.
- Dai, non ti fare storie con me. Io sono una tomba - e, unendo pollice e indice, fece il gesto di chiudersi le labbra come fosse una zip. Il riferimento non era, ovviamente, alla patta dei pantaloni, ma allo smilzo scappò da ridere.
- Non c'è niente da essere una tomba. La mia roba è la migliore, lo puoi chiedere a chiunque.
Il lercio, con un suono che gli esplose tra le labbra ancora serrate, si fece beffa di lui. Ah, lo sapevano tutti, pensò tra sé e quello spaccia da quattro soldi non lo avrebbe fatto fesso. Che caspita! pensò lo smilzo, che a malapena si trattenne dal tirargli un pugno. Che caspita, aveva promesso a sua figlia che il giorno dopo sarebbe andato a prenderla dopo la scuola per andare al parco. Quante promesse aveva già disatteso? Non poteva certamente infilarsi in un'altra rissa e magari finire arrestato. Il lercio non gli era mai piaciuto e, anche se era un cliente, gli avrebbe dato volentieri una ripassata, ma non quella sera.
- Dai non fare così. Ti assicuro che non è come dici tu. Bevici su -, e alzò il boccale di birra tirando giù una bella sorsata. Sua figlia valeva bene quello spreco di risorse.
Il lercio bevve con lui, scolandosi l'intero bicchiere. - Un altro -, ordinò al barista guardando lo smilzo con un gesto di sfida. Dannato balordo. Canaglia!
- Devo provare per capire se mi prendi per il culo. Dammi una striscia e se è buona lo vado a dire a tutto. Ti faccio da ufficio marketing, capisci? -
No, lo smilzo non capiva. Tutto ciò che capiva era il semplice scambio merce denaro; il resto era un'estorsione. Quei soldi gli servivano e non poteva permettersi di regalare la roba così, al primo lercio che passava. Un conto era una birra: quella faceva parte delle spese di rappresentanza. Passi anche la seconda birra, ma la roba no. Sorrise. Sembrava rilassato, ma dentro si agitava una smania che non era certo di saper controllare. Dio, pensò, dammi la forza per resistere, per farmi arrivare vivo e libero a domani, quando vedrò mia figlia e tutto sarà più facile.
- Allora che si fa? - insistette il lercio. - Io non vado avanti a birra, sai? -
Si, lo sapeva lo smilzo, come sapeva che quella storia si sarebbe conclusa in modo balordo. D'altronde era quella la storia della sua vita e, forse, a nulla sarebbe valso opporsi. Era stanco. Di colpo la vista si fece sfocata e i vecchi pensieri distruttivi si fecero sotto prepotenti. Poteva finire in quel modo? Si fece forza e bevve un altro sorso di birra, ma il calore misto al gas, gli fece provare una sensazione stomachevole.
- Vai affanculo, coglione! Vai a fanculo, sei finito! Hai capito? F I N I T O -
Mollata la birra sul bancone e indossata la giacca, lo smilzo era già alla porta e, mentre la apriva, alzò il dito medio mentre con l'indice e il pollice dell'altra mano si lisciava i baffi. Quei baffi che facevano tanto ridere sua figlia.
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