Ancora un'altra corsa al pronto soccorso per un attacco di panico. Difficoltà a respirare, tremori, pressione alle stelle, le solite gocce.
Cinque o sei sbirri discutono con un uomo sulla sessantina seduto su una sedia a rotelle. Il volto tumefatto e ferito. L'aggressione è avvenuta sotto la sua casa per futili motivi.
Il medico che mi visita è un ragazzo di circa trent'anni, furbo come una volpe con la faccia tonda e aggraziata. Dall'altra parte una donna in brutte condizioni sopravissuta ad un incidente automobilistico.
Il pronto soccorso è una nave, un transatlantico alla deriva, dove chi arriva si perde nei meandri delle sue preoccupazioni, il calore è insopportabile, gli spifferi di vento gelido penetrano nelle ossa.
Siamo a marzo ma potrebbe essere luglio o dicembre di un giorno di un anno qualunque, parametri vitali, questo è l'importante. Saturazione, pressione, ecg. Questo è l'importante. Questo è un essere umano. Saturazione, pressione, ecg... saturazione, pressione, ecg.
Prima e dopo. Poi c'è la poesia degli sguardi, dei lamenti, delle urla, dei piccoli gesti, delle piccole umanità, dei sorrisi, delle carezze, dei flaconi di ansiolitici, dei legami familiari, della violenza.
Al pronto soccorso finisco di essere un uomo e divento un numero a tre cifre, un codice, un signor nessuno, decidono loro, i parametri vitali, saturazione, pressione, ecg. Gli infermieri scazzatissimi discutono tra di loro dei giorni di ferie, dell'ultimo pettegolezzo, sorridono. Le infermiere ancheggiano vistosamente, sono belle. Una sottile patina di sudore staziona perennemente sui loro volti da copertina.
Il transatlantico alla deriva...