La mia America è nient'altro che un sottile desiderio di fuga.
Fuga dal viaggio, da quest'inestimabile, miracoloso, ossessivo, asfissiante, morboso girarsi addosso. Fuga. Fuga! Andare via, lontano, assentarsi, estraniarsi, rendersi invisibili, dimenticati, sordi, muti, ciechi, come già morti. Il viaggio. La vita. Tutto un palpitare di emozioni cagionevoli. Questo strano percorso che non abbiamo scelto. Il viaggio. Viaggiare. Dalla mattina alla sera. Dall'inizio dei nostri giorni. Un cervello che non si è mai fermato. Mai. Un cervello. Un cuore. Un corpo fatto di carne e sotto la carne uno scheletro. Polvere che tornerà polvere. Un giro insensato attraverso le contraddizioni della vita. Che giostra! Che giostra! Il viaggio. Questa vita che non ci soddisfa mai. Sempre alla ricerca di qualcosa di diverso. Bisogni. Bisogni. Bisogni. Bisogni. È tutto qua: soddisfare i bisogni. Eccola l'infelicità.
Non è successo ancora niente e niente anche oggi succederà. Il sole è pallido, velato da qualche nuvola che qua e là si sovrappone ostruendone la visibilità. Questa prigione è troppo stretta. Il mondo è troppo stretto. Abbiamo perso Dio e con Dio se n'è andata via anche l'ultima speranza di colmare quel vuoto. Quel vuoto è il nostro demone primario. Un vuoto, una storia destinata a non finire, nasceranno altri miliardi di esseri e anche loro lo sentiranno, come tutti i miliardi che già sono passati. Un vuoto. La vita. Che giostra!