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ossessioni
Quando il cuore comincia a battere più lentamente, quando le gambe e le braccia sono distese comodamente su candide e linde lenzuola, quando il capo si adagia su di un confortevole guanciale, quando quei pochi automatismi involontari necessari alla vita nel sonno si ripetono senza che fastidio alcuno vada a turbarne la monotona regolarità, libera da qualsiasi angoscioso imperativo, libera di involarsi dietro i veli di una coscienza, di una morale, come una fiera maldestramente ingabbiata, la mente elude la recinzione che la guida di un intero corpo le impone e fugge nelle intricate viscere di una foresta che si estende oltre palpebre serrate, oltre labbra socchiuse, alimentata da un lento respiro che matura i frutti di alberi contorti, alberi imponenti, arbusti spogli e rigogliosi rovi, dove il passo è ostacolato da un sottobosco fitto e cangiante, dove il sentiero battuto all’andata non sarà mai quello sul quale ci si perderà al ritorno.
Dai frutti maturi non prenderanno vita nuove piante, nessun albero verrà mai abbattuto, nessuna folgore ne incenerirà mai un ramo.
Se ne nutrirà la mente incattivita e vorace perché poche sono le ore durante le quali potrà sfuggire dal giogo della coscienza, quando lasciato il corpo privo di sensi, il cervello potrà essere per lei sola.
Sarà suo sposo, suo schiavo, suo amante perché possa sognare.
Ne divorerà uno, e poi un altro ancora e poi ancora altri e per sempre ancora e in ogni frutto è celato un frammento di sogno.
Ingorda la mente impasta nei suoi umori i frammenti perché possa districarsi tra il fogliame avvolgente e soffocante della selva, perché possa indossare ali di Cupido e con esse librarsi e diffondersi nelle sconfinate distese dell’incoscienza, con esse spaziare oltre le colonne d’ercole dell’anima, con esse traversare gli oceani che separano gli uomini dalle divinità, lambire le sponde delle terre consacrate, acquistare la capacità di creare, impossessarsi del potere di sognare.
E la mente arrogante disegna, scolpisce, colora ciò che è stato, ciò che è, ciò che potrebbe essere. E si diverte a cancellare ciò che è stato per ridipingere quel che sarebbe potuto essere. Scrive situazioni che non potranno mai essere e che è necessario non siano mai.
Partorisce sogni talmente irrealizzabili che, rifiutati dalla ragione, muoiono prima ancora che gli occhi si siano schiusi, di modo che, non lasciando traccia di sé nella coscienza, non vadano a turbare un equilibrio già di per sé precario.
Ma tra le migliaia di aborti che ogni notte vengon concepiti e immediatamente ricacciati nelle profondità più inaccessibili dell’animo umano, ce ne è qualcuno che, trovando nutrimento nella disperazione, qualcuno che, sfiorandola appena, riesce a fare propria la follia, e sopravvive al rigore della logica, al filtro dell’evidenza, all’innata capacità di riconoscere l’eccesso al suo manifestarsi.
E diventa ossessione.
L’ossessione è un sogno che non doveva essere nemmeno concepito e che è sopravissuto agli attacchi della ragione.
Ovviamente Lei era la sua ossessione.
Suo il respiro per essere alimentato dal quale il cuore continuava silenziosamente a vivere. Come soffio a spettinare le di Lei delicate acconciature, suo il desiderio di essere con i venti a rincorrersi e tra loro giocare per poi morire lì, tra scompigliate chiome. Sue le labbra da sfiorare per suggervi ciò che milioni di api in migliaia di vite non sarebbero riuscite mai a produrre. Suoi gli occhi attraverso i quali varcare le soglie degli umani limiti e andare incontro a quell’idea di amore eterno, ultimo, definitivo, quel concetto di amore che fa valicare le montagne, traversare gli oceani, quell’amore che va a scaldarsi alla luce delle stelle più lontane, che scambia due chiacchiere con dio, torna sulla terra e conduce ad un altare. Ed ogni cosa era Lei e Lei era ogni cosa.
E Lei divenne tutto ciò che avesse mai desiderato e tutto ciò che volesse desiderare. Ma era così maledettamente fuori dalla portata di chi privo di una estetica in grado di accattivare gli sguardi ed incoraggiare gli inviti, grigio ed in disparte, non riusciva neanche a splendere della propria luce. Appropriandosi dei margini, freddo Plutone in un sistema senza stelle, incapace di divenire sole nel firmamento della propria esistenza, lasciava vacante il fuoco centrale perché venisse Lei a insediarsi sul trono. Forse per rendersi visibile al nuovo luminoso astro era necessario che emanasse qualche flebile bagliore della Sua luce riflessa?
- Penso di essermi innamorato di Te -.
Due anni ci vollero per allenare il cuore a resistere allo shock, ma l’articolazione di questa semplice espressione provocò comunque un brivido che dai finestrini gelati si estese sulla pelle, per concentrarsi all’altezza del petto, cristallizzando i peli sul lato sinistro, per scendere sempre più in profondità, diminuendo i giri di un motore già fermo. Il sangue si arrestò nelle vene di modo che non potesse fluire ad un cervello già nella più assoluta confusione responsabile di una lingua ancorata ad un palato tanto arido da incresparsi ai pochi secchi respiri che ancora riuscivan a provenire da quella Babele di vagiti e gemiti che aveva preso il posto della abituale sede degli organi della parola, del canto, della poesia.
L’interminabile silenzio che accompagna ogni giorno i dialoghi tra la disperazione e la follia era rotto dalle voci allegre e appagate di coloro che stavan ancora festeggiando la loro notte di Natale.
- Mi rendo conto che non potrò mai essere ricambiato, ma ho bisogno che Tu mi dica che non potrai mai innamorarti di me -.
Il sangue ghiacciato in vene di cristallo ricominciò a fluire, sotto la spinta di un cuore impazzito, rovinando su capillari che non potevano sostenere tanta incontenibile furia, lacerandone le pareti, stracciandone le estremità, riversandosi infine ad arrossare il pallido viso.
Le Sue labbra si incresparono in un accenno di sorriso, gli occhi bassi, le dita nervosamente intrecciate. Alzò lentamente il capo.
Quanto tempo passato a sognare questo interminabile momento che avrebbe dipanato finalmente una matassa di speranze, timori, illusioni, tormenti, sempre più avvolta in sé stessa, della quale non se ne distingueva più il principio, né se ne poteva immaginare il termine.
Una parola e un nuovo sole si sarebbe affiancato al precedente, perché alla notte si sostituisse un altro giorno ad illuminare ininterrottamente, della più intensa forma di energia che fosse stata mai percepita, un angolo di universo fino ad allora spento.
Una sola parola ed un cuore avvizzito sarebbe tornato a vivere alimentato dal respiro che in primavera colora i campi e avvolge il capo in un sussulto che nasce alla base del collo e muore in un sorriso sfiorato dal caldo sospiro del vento.
Una sola parola e nella notte in cui dio è più vicino all’uomo si sarebbe ripetuto il miracolo.
Una parola sola.
Il silenzio li accompagnò fino allo scoccare della mezzanotte.
Non sarebbe nato nessun Redentore.
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- Ciao Rino, spero tu stia bene, mettiamoci in contatto! la lettura di una cosa così introspettiva forse non è facile, ma il brano è pieno di immagini molto belle...