Buttala giù, mi sono detto. Buttala giù e vai in bagno a darti una sciacquata.
Erano le 3 e 20 del mattino ed ero completamente sbronzo. Ho aperto l'acqua del rubinetto che sgorgava giallognola, mi sono sistemato i capelli e sono uscito.
La strada deserta si apriva davanti a me come l'infinito. Era un infinito di pochezze e di stenti, una notte vuota come la mia anima e il mio cuore strafogato di birra. Era questa la depressione, un'acuta sensazione di vuotezza.
Camminando mi sono diretto verso il viale alberato dei Tigli. Lì, in alto, sotto una luna solida e piena, potevi scorgere il quartiere dei ricchi.
Santa miseria, ho pensato. Le ville incastonate come diamanti in mezzo a una collana. Una vaga sensazione di Natale nell'aria. Un Natale triste come tutti i Natali. Tacchini al forno, sigari cubani davanti ad un camino, gonfie bistecche servite in tavola, bistecche carnose, alla brace o sulla padella, cravatte e fermacravatte, cravatte a pois, a righe, gialle, o del colore di questa maledetta luna che mi guarda immobile.
Ho fermato la macchina e sono sceso. Sentivo il fragore della disperazione scivolarmi sotto forma di sudore. La vita era ingiusta e crudele. La vita era tutto quello che non si capiva.
Ho camminato a lungo a piedi verso la collina sentendo i calli farsi sempre più duri durante la salita. Mi sono fermato e ho acceso una sigaretta. E allora ho pianto, ho pianto lacrime copiose ed ingiustificate.
Chi l'avrebbe mai detto, ho pensato. Un giorno tu eri stato felice, quindi ho estratto la calibro 38 dalla tasca dell'impermeabile ed ho sparato un colpo preciso in mezzo alle tempie.