racconti » Racconti brevi » Laura (Racconto)
Laura (Racconto)
Le cose andavano male, assai male, in quel periodo là. Avevo perso il mio ultimo lavoro da magazziniere, ma questa era una noia superabile: mi assentavo, bevevo, ruttavo, scopavo durante le ore di lavoro. Lo facevo continuamente; per giorni, mesi.
Quello che mi disturbava veramente era il fatto di non potere condividere con nessuno il mio dolore. Ero solo, bevevo molto, alle volte piangevo nel pieno della notte, agli angoli della strada o nella mia stanza.
Quando conobbi Laura ero vicino a una crisi di nervi.
Laura era la prima di tre sorelle ed anche la più pazza. Laura era tra le donne più pazze che avessi mai conosciuto. A dire il vero non era bellissima, ma ce la sapeva in quanto a movimenti e ammiccamenti vari. Era quel tipo di donna che t'aggredisce con lo sguardo, una professionista del corteggiamento, insomma. Ma nella sua pazzia celava sentimenti autentici, come una subdola bontà che si nascondeva prima di venire fuori, e, una volta uscita dal guscio, ti rapiva e t'uccideva, proprio tutto nel fondo dello spirito. Laura era una donna che ti viene bene a dire donna, di quelle che il Signore in persona s'è messo in testa di fare un miracolo tutto intero e di donartelo come regalo. Laura mi colpì, mi stregò, si prese in pegno il mio cuore dandomi solo un quarto della sua essenza.
A presentarmela fu Boston Mike, un tipo che ce la sapeva in quanto agganci con le donne.
"Questa è Laura Dern, la fica più fica degli Stati Uniti"
"Piacere, my lady"
"Sei un bel tipo tu, co sta sigaretta appoggiata appena sulle labbra. Ti credi un grand'uomo. Lo capisco da come ti muovi"
"Niente da fare, baby, con me non attacca"
"Sono sicura che in una settimana potrei farti diventare pazzo. Ci giurerei sul culo di mia madre"
Laura si dimenava, muoveva il suo grazioso culo per la stanza, ballando, cantando, lasciando andare piccoli urletti dalla bocca. Eravamo a casa di Harvey Roth, un guappo di periferia che aveva dato una festa. Quella fu la prima volta che la vidi.
Passarono i giorni e io non ci riuscivo proprio a togliermela dalla testa, Laura; quel vago accento californiano, i polsi e le caviglia sottili, la straziante umanità che veniva fuori da ogni suo discorso, anche il più superficiale. Laura era un miracolo come l'amore o l'eruzione di un vulcano ed io ero rimasto in trappola, letteralmente.
Decisi di chiamare Boston Mike per cercare di rintracciarla. Il grosso macellaio del Sud mi diede un contatto, un indirizzo dove, forse, avrei potuto trovarla.
Ci andai immediatamente.
Arrivai in un quartiere popolare alla periferia di Chicago. Le case, tutte uguali, davano sul bianco sporco, e sopra le pareti esterne sembrava ci fosse quasi una crosta di lordura causata dallo smog. Trovai la casa, andai alla porta e suonai. Ad aprirmi venne un ragazzo sui venti che portava i capelli a rasta ed aveva un grosso medaglione che gli ciondolava dal collo.
"Ci conosciamo fratello?"
"Cercavo Laura, sono un suo amico."
"Laura non c'è, la puoi trovare al bar all'angolo, da Rob."
"Ti ringrazio. Saluti."
Andai al bar che mi aveva menzionato l'amico. Era un tipico bar di quartiere, buio e fatiscente. La luce soffusa dava sul viola, lasciando intravedere appena le facce degli avventori seduti al bancone. In alto un piccolo televisore dava il Late show. Entrai. Qualche metro più in là dell'entrata la vidi: grandiosa, avvolta in un vestito rosso che si sposava perfettamente con la luce del locale. Era sola e sorseggiava qualcosa seduta davanti al bancone. Dopo essermi messo a fianco le sussurrai delle parole nell'orecchio, roba tipo, ti ho pensato, mi sei mancata. Lei scoppiò in una risata sguaiata.
"Bevi" mi disse "Un gin per il signore, Frank"
Sorseggiai il mio gin in silenzio, guardandola, lasciandomi cullare dalla sinfonia di quel momento perfetto. Laura beveva, rideva, mi gettava occhiate dondolando le caviglie da sopra lo sgabello.
Usciti dal locale ci baciammo. Sentivo la sua lingua umida vorticarmi nella bocca. Laura era fuoco che si sprigionava lentamente. Andammo a casa sua. Ad aprirci fu il solito ragazzo rasta che poi scoprì essere suo fratello. Ella mi condusse nella sua stanza. Quella notte facemmo l'amore... una volta, due volte, tre volte... amandoci, lasciandoci solleticare dalla santità del sentimento.
Andai a trovarla un altro giorno poi un altro giorno ancora. Ero diventato dipendente. La amavo, la desideravo.
Un giorno andai a casa sua. Come al solito, alla porta c'era suo fratello che, stavolta, mi consegnò una lettera.
"È stato bello vivere questi giorni con te. Ho condiviso il mio cuore con un uomo speciale. Ora parto per il Texas, forse tornerò tra un anno, forse tra due, forse mai più. Ti ho amato alla follia e ti amerò per sempre.
Tua Laura"
Dopo aver letto la lettera andai all'angolo, da Rob. Solita luce viola, solita tv sulla parete, solite facce dure di quartiere. Mi sedetti e ordinai una birra. Restai dentro al bar tutta la notte, bevendo e bevendo. Non credevo ai miei occhi: Laura se n'era andata dalla mia vita. Mezzo sbronzo uscii nella strada del quartiere povero. Un leggero venticello mi solleticava la faccia, stava arrivando la primavera: nuvole rosa, fiori, pic-nic, passeggiate, balli. Tutto ciò che avrebbe desiderato un uomo innamorato. Io, dal canto mio, avevo soltanto una gran voglia di piangere.
12
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- bellissimo Ferdinando, davvero una piacevole lettura. Un abbraccio a rileggerci
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0