L'uomo era alto e così magro che sembrava sempre di profilo. La sua pelle era scura, le ossa sporgenti e gli occhi ardevano di un fuoco perpetuo che gli avevano regalato il soprannome di "Fenice".
Da Sao Tomè a Rio. Finalmente per lui, unico tuffatore della nazione, la soddisfazione della competizione olimpica. Doveva essere solo una partecipazione simbolica per entrare nella storia dello sport del suo piccolo paese.
Ultimo, ovviamente, dopo il primo tuffo, osò sul secondo l'inosabile. Quintuplo salto mortale e mezzo in avanti.
Voleva passare alla storia come l'unico che l'avesse tentato: riuscirci non era necessario.
Salendo la scaletta sentiva l'emozione che aumentava come la brezza dal basso verso la piattaforma della piscina con l'atlantico immenso di fronte. Sotto di lui non c'erano parole, soltanto rumori come voci sospese.
C'erano ora solo lui e l'oceano infinito.
Il vento caldo aumentava d'intensità. Aspettò ancora un momento e poi si lanciò nella storia.
Un due, tre, quattro, cinque... il vento fortissimo lo sosteneva nel suo sforzo rallentandone la discesa, permettendogli le evoluzioni previste dal tuffo impossibile.
Newton contro Eolo, gravità contro vento ascensionale con l'acqua in attesa del corpo leggero.
Davanti al suo paese, migliaia di sogni distante, ebbe il punteggio più alto mai visto in una gara di tuffi tra l'acclamazione del pubblico carioca.
Non volle esagerare e lasciò la gara dopo quel tuffo.
Si era spento il fuoco che gli ardeva negli occhi.