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Tanto per i fantasmi del passato non c'è più niente da fare
Ci andavo spesso in quella vecchia locanda. Amavo l'atmosfera famigliare che vi si respirava. Le pareti e le travi di caldo legno; le luci soffuse illuminate da abat-jour di ogni foggia e colore; le foto incorniciate alle pareti; le panche di legno e gli avventori che chiacchieravano animatamente ai tavoli, o giocavano alle carte, e che sembravano essere lì da sempre, dalla notte dei tempi. Amavo, inoltre, Jhoanna, la "padrona della baracca", colei che lì dentro serviva al bancone e ai tavoli, che stava alla reception, faceva vedere le camere agli ospiti e le preparava e oltre tutto ciò trovava pure il tempo, la sera, per aiutare i suoi deliziosi due bambini con i compiti. Ma a essere onesto fino in fondo, almeno per quello che concerne un dato periodo, periodo che più o meno andava dalla fine di ottobre dell'anno scorso fino agli inizi di aprile, lo frequentavo per lei.
Lei apparì magicamente un sera di fine ottobre. Era una di quelle sere tipiche che fanno da noi in autunno: fredda, umida, nebbiosa. Non la vidi entrare, non ci fu un evento speciale che fece in modo tale che la mia attenzione fosse attratta da lei.
Semplicemente, forse per un segno del destino, il mio sguardo pigro e un po' annebbiato dai fumi dell'alcol, si posò sul tavolo al quale lei sedeva. Donna di un'età difficile da definire, ma indicativamente tra i trenta e i quaranta. Stava china sul tavolo, anzi stava proprio ricurva a esaminare delle carte. Sembrava così fuori luogo in quel posto! Così seria, con una ciocca dei capelli biondi e castani che continuava a ricaderle davanti agli occhi e lei che con un gesto stanco continuava a ricacciarla su. Non sembrava scocciata, solo molto assorta, impegnata da quello che stava facendo. La candela ornamentale posta, anche, sul suo tavolo la illuminava di una luce dorata che la faceva apparire quasi una santa. Quella prima sera la passai a osservare il suo attento e instancabile lavoro di lettura di quelle carte. Lei, presa com'era, invece, non mi degnò di un solo sguardo.
La sera dopo, con mia enorme sorpresa me la ritrovai di nuovo lì, seduta allo stesso tavolo del giorno precedente. Lavorava ancora su delle carte, dei documenti. Io, sera dopo sera, cercai di avvicinarmi a lei, e per prima cosa, per un paio di sere, iniziai a sedermi proprio al tavolo di fronte al suo. Jhoanna, la quarantenne più giovane e matura allo stesso tempo che io abbia mai visto, la mora più sexy e tonica del pianeta, a un certo punto capì tutto e iniziò a sfottermi, ma a me non importava niente.
Christina, il nome della sconosciuta tutta seria, era bellissima e aveva tante di quelle qualità che quando le scoprii tutte non potei fare a meno che rimanere meravigliato. Innanzitutto era una donna forte, combattiva e questo lo scoprii la sera in cui presi finalmente il coraggio di avvicinarmi al suo tavolo. Christina aveva solo trentadue anni, un matrimonio rovinosamente finito alle spalle, due bimbi da crescere pressoché da sola, e come se non bastasse, di cui uno, il maschio, con gravi discapacità intellettive, dovute ha un grave incidente avuto quando era più piccolo, anzi, diciamo pure piccolissimo. E per lui, lei stava combattendo. Studiando carte su carte. Attaccandosi al più piccolo cavillo legale, per essere supportata, per garantire al proprio figlio "sfortunato" una vita il più verosimilmente dignitosa, "normale". Tutto ciò me lo confidò tra un sorso e l'altro del caffè che timidamente accettò, offerto, da me.
Non mi innamorai di quella donna, questo lo confesso subito. Ma presi molto a cuore lei e la sua situazione famigliare, tanto che lei riuscì con piacere a coinvolgermi in alcuni progetti dell'associazione di cui faceva parte per la difesa dei diritti dei bambini come il suo. Mi piaceva passare del tempo con lei, ma non so bene come dire... non provavo vera attrazione fisica verso di lei, ecco!
Nel frattempo arrivò la primavera, le giornate iniziavano a allungarsi e la piccola locanda di Johanna mise fuori dei tavolini all'aperto. Era bello stare fuori in quella piazzola polverosa, poco battuta, non troppo vicina alla strada principale, letteralmente avvolti dal profumo dei tigli in fiore.
Uno di quei tiepidi e piacevoli giorni primaverili lei era più bella che mai, bella e strana, con uno sguardo sereno e rilassato, mentre il sole le faceva brillare le ciocche bionde dei suoi lunghi capelli. Ecco, quel giorno, quasi mi innamorai di lei. E quella sera lì, lei mi stupì. Iniziammo a parlare tranquillamente come al solito. Io pensavo che avremmo parlato dei soliti problemi che l'affliggevano e invece lei si mise a farmi tutt'altro discorso. La prese per le lunghe. Parlandomi del suo matrimonio. Non mi aveva mai parlato del suo ex-marito prima di quella sera di primavera. E in realtà non mi disse molto nemmeno allora. Perché a un certo punto si mise a parlarmi, con mia enorme sorpresa, di un antico amore giovanile. Mi sorprese perché non riuscivo a capire come una donna della sua tempra, con tutti i problemi che aveva a casa e fuori a cui pensare, potesse essere rimasta legata a un fantasma del passato del genere.
Anche se non sembrava triste per quello che mi stava raccontando anzi trasmetteva, mi trasmetteva, una pace e una serenità interiore unica. Sembrava raggiante come il sole sulla via del tramonto.
Mi parlò di quel ragazzo che la fece tanto soffrire anche se io onestamente facevo fatica a capire perché la fe
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l'autore frivolous b. ha riportato queste note sull'opera
1)parte prima
2) la frase troncata è: " Mi parlò di quel ragazzo che la fece tanto soffrire anche se io, onestamente, non ne capivo il perché."
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1 recensioni:
- Oh, grazie del suggerimento! Effettivamente così com'era suonava da schifo
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