TEMPO SCADUTO
- Due minuti ancora e poi entro.
Guardo l'orologio. Mi sto innervosendo. Savino, seduto di fianco a me al posto di guida cazzeggia con lo smart.
- Calmati Paola. Quello è un povero stronzo cacasotto. Vedrai che stavolta paga.
Milano, periferia ovest, da qualche parte.
Siamo parcheggiati da almeno dieci minuti davanti all'ingresso di edifico basso. Mattoni a vista. Nessuna finestra sulla facciata principale. Solo una pesante porta di vetro antisfondamento.
L'edificio basso è in realtà la sede della Vanzetti & figli, piccola azienda in forte espansione nel settore della componentistica per motori idraulici. Espansione verso i nuovi mercati dell'Est. Europa e Asia.
Un buon fatturato quindi. E fatturato vuol dire soldi.
- Continua a trovare scuse. Ma stavolta mi sono davvero stancata - guardo di nuovo l'orologio - cazzo doveva chiamare cinque minuti fa! Iniziamo a dare nell'occhio. Siamo fermi qui davanti da troppo tempo
Savino sbuffa - Sei tu che vuoi venire sempre con la macchina di servizio. Era meglio se almeno avessimo usato un'auto civetta.
- Si certo, e glielo spiegavi tu a Donati a cosa ci serviva un'auto civetta genio?
- Il commissario in questo periodo è troppo impegnato a scoparsi il nuovo acquisto per fare caso a queste cose.
Lo guardo con una smorfia - Ma chi, Salvatore? Ma che cazzo dici Savino
Quello ride - Non dirmi che non lo sai che il nostro caro commissario Donati è frocio, Paola. Anche se è sposato... ma è frocio dentro
Piove. Cielo color dell'alluminio fuori. Le gocce si infrangono sul parabrezza dell'Alfa 159 trasformandosi in rigagnoli
Piove ininterrottamente da una settimana ormai. Odio l'autunno.
Almeno non c'è nessuno per strada. Poi questa è una strada a fondo chiuso. Nessuno che non sia diretto all'azienda passa di qui. Meglio così.
- Tempo scaduto.
Mi aggiusto il berretto sulla fronte ed esco. Savino non smette di giocare con il suo cazzo di telefono.
Citofono con videocamera di fianco al portone in vetro. Avrebbe bisogno di una bella pulita.
Suono tre volte a lungo e aspetto cercando di evitare che le gocce di pioggia gelida si infilino nel colletto della giacca della divisa. Ma una cazzo di tettoia la potevano costruire penso maledicendo i cielo e il proprietario.
Finalmente la serratura del portone blindato scatta.
Il proprietario in questione è Antonio Vanzetti.
Per un gioco del destino è lontano parente di quel Vanzetti che nel secolo scorso avevano arrostito sulla sedia elettrica in America per non ricordo più quale motivo.
Lo avevo scoperto quando avevo iniziato a raccogliere informazioni su di lui.
Le informazioni sono alla base di tutto in questo tipo di lavoro.
Percorro un lungo corridoio. Gli uffici sono sull'altro lato dell'edificio ma a quest'ora sono deserti. Sono le otto di sera passate. Non voglio avere rotture di palle e quindi preferisco che impiegati e operai abbiano già terminato il turno.
Conosco la strada. Lungo pavimento di marmo lucido. Alle pareti finti Van Gogh e fotografie di modelli di valvole ad alta pressione e giunti cardanici.
Una porta in fondo al corridoio.
Il lavoro in questione ha un nome. Si chiama estorsione.
Scelgo le mie vittime dopo un'accurata selezione proprio sulla base di quelle famose informazioni di cui parlavo. Fatturati appunto, vita privata dei proprietari, ma soprattutto punti deboli.
La caratteristica fondamentale è che siano ricattabili. Per una qualsiasi ragione.
Essere una poliziotta mi facilita molto il compito nel reperire alcune di queste informazioni. Per altre invece, quelle a cui non ho accesso diretto so a chi rivolgermi.
E nella fattispecie il punto debole di mister Vanzetti si chiama prostituzione minorile.
Circa si mesi era stato fermato da una pattuglia dei nostri per un normale controllo dalle parti del Parco Nord, parcheggiato dietro una siepe mentre se lo faceva succhiare da una puttanella rumena.
Niente di grave un pompino da 15 euro in sè, salvo il fatto che salta fuori che la piccola troietta era ancora minorenne.
Il povero Vanzetti ovviamente non poteva saperlo ma si sà... sed lex dura lex.
E così, improvvisamente l'orgasmo imminente si trasforma nell'inizio di un incubo giudiziario che sai dove comincia ma non sai dove finirà. Uno come lui rischia di perdere tutto per una cosa del genere. Famiglia, azienda, amici... tutto.
Il suo incubo invece finisce subito, quasi subito. O meglio, si interrompe, rimane come sospeso in un limbo.
Perchè incontra me. Paola M. agente scelto in servizio operativo permanente presso uno dei Commissariati della zona ovest.
Anzi, sono io che incontro lui quando la sua pratica, il suo verbale di denuncia firmato dal collega T. P. il giorno tal dei tali alle ore x in via tal dei tali finisce per casso sotto i miei occhi.
Insomma, facile fare due più due no?
Una denuncia del genere non può sparire del tutto ovviamente ma, ecco diciamo che può essere spostata in posti dove sia... meno visibile, diciamo così, in attesa di tempi migliori magari.
E questo io lo posso fare. In cambio naturalmente di qualcosa. Avrete ormai capito di cosa sto parlando.
Estorsione dicevo. Sì, ma a fin di bene. Il suo bene. E naturalmente anche il mio dato che sono circa cinque mesi che mi versa regolarmente su un conto intestato a una vecchia rimbambita che abita sul pianerottolo di fronte al mio e al quale io ho piena disponibilità di accesso, tremila euro ogni mese. Fate un po' il conto voi. Tre per cinque... ho fatto quindicimila fino ad ora. Non male come integrazione dello stipendio.
Ho intenzione di spremerlo come un limone. Fino a quando gli resterà sangue io ho intenzione di berglielo. Fino a prosciugarlo. Poi, chi se ne frega. Per me può anche andare in malora. Lui, l'azienda e tutte le sue dannate valvole per il mercato cinese.
Solo che questo mese, per la prima volta, non ha pagato.
E questo non va bene. Così ho deciso di venire personalmente a ricordargli i suoi doveri.
Io non sono una dal carattere tenero. So essere molto convincente quando voglio. E anche molto stronza e cattiva.
E sono certa che non avrò problemi a convincerlo.
Mi sono fatta accompagnare da Savino, il mio collega di pattuglia. Durante il turno di servizio. Savino è fuori da questa storia. Ma lui ha le sue delle quali io sono al corrente, così lui copre me e io lui. Semplice no?
Fine del corridoio. Una porta sola davanti a me adesso. Legno massello. In realtà nasconde una pesante porta blindata. Sopra una piccola targhetta in ottone. Dr. A. Vanzetti. Il suo ufficio.
Entro senza bussare. Niente buone maniere. Vale la psicologia della preda e del predatore. E deve essere ben chiaro nella sua testa che la preda è lui.
- Ti aspettavo agente M.
È seduto dietro una grossa scrivania in mogano. C'è ordine sulla scrivania, oltre a un portatile acceso. Sorride.
- Ho di meglio da fare che gite turistiche da queste parti Vanzetti. Come cazzo giustifichi questo ritardo nel pagamento
- Per favore agente, c'è mio figlio piccolo nella stanzetta qui di fianco, cerchiamo di usare un linguaggio adatto a un bambino di sei anni.
Una porta aperta a destra. Una stanzetta. Su un divanetto è seduto un bambino. Sta giocando con una sorta di playstation o qualcosa del genere. Non fa caso a noi. Troppo concentrato ad ammazzare alieni ostili probabilmente.
Questa cosa mi dà sui nervi. La prsenza del moccioso intendo. Non sopporto i bambini. Non ne ho mai voluti di miei figurati quelli degli altri.
- Ti ho fatto una domanda Vanzetti. Perchè non hai ancora fatto il versamento.
Lui mi guarda serio. Poi si alza dalla sua stronza poltrona di pelle da manager - Perchè questo mese non ci sarà un versamento. Ne questo, ne il prossimo, ne mai più.
- Cosa cazzo stai dicendo Vanzetti. Non fare lo stronzo con me. Voce dura. Nessuno margine di trattativa nel mio tono.
- Sto dicendo agente Paola M. che il tuo tempo è finito. Non ho più intenzione di pagare e di sopportare i tuoi ricatti. Gira intorno alla scrivania. Viene direttamente davanti a me.
Faccia a faccia adesso.
- Ho deciso di prendermi un buon avvocato, dimostrerò che io non sapevo che la ragazza fosse minorenne. Voglio chiudere questa storia una volta per tutte.
Siamo alti uguali, ci possiamo guardare dritti negli occhi
- Dico io quando si chiude. O ti giuro su Dio e tutti i santi nel cielo che ti rovino, ti faccio perdere tutto. Azienda, famiglia... tutto brutto bastardo puttaniere.
Sostiene il mio sguardo. Non ha paura. Glielo leggo negli occhi.
- No, tu hai chiuso, mi sono rivolto a chi di dovere. Dimostrerò il tuo ricatto. Sarai tu quella che finirà sotto processo brutta stronza. Sei tu che sei fottuta. Ho già tutto pronto. Carte, distinte di versamenti sul conto della tua vicina... tutto. Sei fregata Paola, è meglio se inizi a cercarti un buon avvocato. Uno davvero bravo però. Perchè stavolta... non so proprio come te la caverai.
Il moccioso nell'altra stanza continua ad ammazzare alieni. Ha molte vite evidentemente, oppure molta batteria.
Faccio un passo indietro. Sto rapidamente metabolizzando le sue parole. Non è un bluff il suo. So riconoscere quando uno bluffa. Questo figlio di puttana vuole andare fino in fondo.
Mi volto e vado verso la porta che da sul corridoio. È rimasta aperta. Sento i suoi occhi su di me. Mi giro sulla soglia.
- Va bene Vanzetti, lo hai voluto tu.
Savino sta ancora trafficando con il telefono quando risalgo in macchina.
- Minchia che faccia che hai Paola. Che è successo là dentro. Il tipo ha fatto difficoltà?
- No nessuna difficoltà. Nessun problema Savino tranquillo. Tutto a posto. Adesso metti in moto e andiamocene da qui. Siamo fermi da troppo.
Ma quando cazzo smetterà di piovere in questa città.
Due settimane dopo
- Il dottor Vanzetti è atteso urgentemente nello studio del primario
Mi sto ancora asciugando le mani quando sento il mio nome nell'interfono.
Atteso urgentemente nello studio del primario... Cristo, ho appena finito un intervento di quattro ore per una brutta occlusione e non riesco nemmeno a bere un dannato caffè.
Mi dirigo verso l'ascensore. Le camere operatorie sono all'ultimo piano mentre l'ufficio di Oliva, il primario è al settimo piano.
Incontro Rita, una delle mie infermiere storiche, quasi trent'anni di onorato servizio ma sempre sorridente e gentile con tutti.
- Buon giorno Rita, ho sentito l'interfono... mai un attimo di tregua.
- Lo so dottore, li ho visti entrare.
Entrare chi. La faccia di Rita sembra preoccupata. Lei non risponde. Indica con un cenno della testa la porta dell'ufficio di Oliva.
Non capisco. Arrivo davanti alla porta. Busso.
- Avanti.- La voce del primario è poderosa, proporzionata alla sua mole. Entro. Lui è in piedi, davanti e appoggiato alla sua scrivania.
E non è solo.
Ci sono due uomini con lui. Uno sui sessanta e uno più giovane. Sono vestiti entrambi in giacca e cravatta ma capisco subito che non si tratta dei soliti rappresentanti farmaceutici. Dal fatto che non hanno nessuna valigetta e dal fatto che non saremmo lì nell'ufficio del primario. Guardo cercando di capire la situazione.
- Lui è il dottor Giulio Vanzetti - dice Oliva
Il più anziano dei due viene verso di me. Mi tende la mano e io ricambio la stretta.
- Piacere di conoscerla anche se in un momento tragico come questo. Io sono il dottor Santini, e sono il magistrato a cui è toccato questo caso... quindi ho voluto informarla personalmente. Ah, lui è il commissario Donati, segue le indagini - indicando l'altro uomo alla sua destra.
Un magistrato e un commissario di polizia. Non capisco cosa stia succedendo. La prima cosa che mi viene in mente è una denuncia da parte di qualche paziente. Cosa frequente nell'ambito della chirurgia per veri o presunti errori medici. Non per niente noi chirurghi siamo tutti assicurati.
- Piacere di conoscervi - rispondo - di quale caso stiamo parlando?
- Mettiti un attimo a sedere Giulio - Oliva. Mi porge una sedia.
- Grazie professore ma sto bene in piedi. Cerco nella mia testa di fare mente locale. - È forse per quel paziente... il numero tredici? Quello della...
- No dottor Vanzetti - interviene Santini, il magistrato Santini - purtroppo si tratta di suo fratello Antonio.
Lo guardo senza capire. Mio fratello Antonio...
Santini prosegue - Purtroppo le devo comunicare che è... deceduto
- Cosa? - Resto come impalato. Davvero come se mi avessero infilato un palo nel sedere fino a farmelo uscire dalla bocca - lei mi sta dicendo che... mio fratello è morto?
La faccia di Oliva è una maschera impassibile
- Purtroppo si, mi dispiace. Lo hanno trovato questa mattina gli operai del primo turno, nella sua macchina, parcheggiata davanti alla sua fabbrica. L'auto è stata incendiata. Suo fratello era legato dalle cinture di sicurezza e... insomma è morto carbonizzato nel rogo.
La mia bocca è rimasta aperta. Antonio. Mio fratello Antonio. Non ci sto credendo. Io voglio bene ad Antonio... troppo bene... lui... io sono il maggiore e quando i nostri genitori sono morti tempo fa io mi sonno preso cura di lui e... no non ci credo...
- Siediti Giulio dammi retta - di nuovo Oliva.
L'altro uomo in giacca e cravatta, quello più giovane mi porge una sedia. Questa volta mi siedo. Santini continua.
- E... c'è dell'altro dottor Vanzetti. Purtroppo suo fratello non era solo in auto. Con lui c'era anche il figlio Tommaso - pausa - e purtroppo anche per lui non c'è stato nulla da fare. È bruciato vivo anche lui. Non è riuscito a sganciarsi nemmeno lui.
Tommaso Vanzetti, sei anni, mio nipote. Il mio unico nipote
Adesso il palo me lo hanno tolto. Adesso non sono più dritto e rigido. Adesso inizio ad afflosciarmi. Sempre di più. Su quella maledetta sedia, di quel maledetto ufficio, a sentire quelle maledette parole... da queste maledette persone... tutti loro... Oliva, Santini, Donati... professori, magistrati, commissari... tutti voi... siate maledetti... mio nipote no... mio nipote bruciato vivo... mio fratello.. tutti... tutti... tutti...
E poi, finalmente, il riposo.
Si ecco, portatemi via da qui... non voglio sentire altro, mi sento solo molto stanco... ho bisogno solo di riposare un pò.
La faccia triste con le lacrime agli occhi di Rita china su di me mentre mi inietta qualcosa nel braccio è l'ultima cosa che vedo prima di addormentarmi.
300
Mi siedo sulla panca e mi asciugo il sudore dalla fronte.
Ultima serie di addominali. Trecento fra crunch e obliqui. Basta per oggi, ci ho dato dentro abbastanza. Sono tre ore che mi sto allenando.
Palestre Virgin, periferia nord, Milano.
Ci vengo sei giorni su sette. Un giorno solo di recupero alla settimana.
Ho giusto il tempo per una sauna veloce, un po' di relax adesso.
Questa sera mi aspetta il turno di notte. Zero voglia. Me ne sarei rimasta a casa spalmata sul divano a guardare qualche serie stronza in tv e a non pensare a niente.
Arrivo in commissariato al limite. Sono già in divisa. Sono già pronta. Giusto il tempo di un caffè fasullo alle macchinette. A quest'ora poche persone in commissariato. Il piantone, qualche collega smontante e i montanti della notte. Come me.
Ha smesso di piovere finalmente. Ma è solo una tregua. Il cielo sembra una colata di antracite.
Mi dirigo verso la macchina di servizio. Savino è già seduto sull'alfa 159, motore acceso, posto di guida.
Salgo, e nessuno dei due saluta.
Savino innesta la prima e parte. Cancello, stop, a destra, rettilineo. Siamo fuori.
Silenzio. Pesante come piombo fuso.
Poi, davanti a un rosso Savino non riesce più a trattenersi. Lo stavo aspettando. Io-so-aspettare.
- Questa volta hai esagerato Paola. Dico davvero, una cazzata così non la dovevi fare.
La mia faccia è quella di una sfinge. - Stiamo parlando di?
- Lo sai benissimo Pa, quel tizio della Bovisa, il Vanzetti. Lo hanno trovato morto, carbonizzato in nella sua macchina. Assieme al figlio piccolo. Non dirmi che non ne sai niente.
- Sì, l'ho sentito - aria quasi annoiata nel tono della mia voce - peccato, niente più versamenti
Savino incalza - Mi stai dicendo che tu non ne sai niente di questa storia Paola? Che tu non centri? Devo crederti?
Sbuffo. - Centrare cosa Savino che cazzo ti viene in mente. Non farti film strani nella testa. Uno pare che sia stato un incidente, due io a quell'ora ero in palestra ad allenarmi, come tutte le mattine che non sono di turno. Ci sono decine di persone che mi hanno vista. Ti basta?
- Ti credo Paola, sarà stato pure un incidente come dici, ma sta di fatto che il caso lo segue Santini. E quello è una capa tosta lo sai. E ha preso Donati per le indagini.
- E quindi?
- Niente Paola, era per dire. Forse non sono poi così convinti della tesi dell'incidente. E comunque so che hanno disposto l'autopsia per adesso.
- Facciano pure. E comunque se non è stato un incidente può essere stato chiunque. Questi imprenditori del cazzo hanno tutti qualcosa da nascondere. Magari sono stati i calabresi. Lo stile è il loro.
- No Paola, non credo, non lo avrebbero mai fatto con il bambino in macchina.
Il mio sguardo è impassibile. La mia voce non tradisce nessuna emozione. Fuori, oltre i finestrini della macchina guardo le luci della notte bagnata.
- Chi se ne frega Savino. Sinceramente non me frega un cazzo, nè di lui nè del moccioso. L'unica cosa che mi dispiace è per i tremila al mese.
Savino non dice niente. Non c'è altro da dire.
- È verde Savì, vai che ci mettiamo radici a sto semaforo.
Bianco.
È il colore che da tre giorni incombe su di me. Il colore del soffitto che fisso indistintamente da tre giorni. Dal divano di casa mia.
Mi alzo solo per andare in bagno e per prendere una nuova bottiglia di bourbon. Ah l'alcol che medicina stupenda. Solo che nemmeno questa basta questa volta. È solo un lenitivo. Ma il dolore vero, per quello non c'è alcuna medicina.
La verità forse, ecco forse quella potrebbe aiutare.
Da quando ho avuto la notizia della morte di mio fratello Antonio e mio nipote Tommaso sono chiuso in casa. Per ora non c'è nulla che debba o posso fare. I funerali sono rimandati dato che il magistrato ha disposto che sui corpi venisse effettuata una autopsia giudiziaria. Un ulteriore oltraggio a quei poveri resti.
Io ho smesso di pensare. Riesco solo a respirare, bere e pisciare. E ogni tanto dormire. Sonno alcolico, popolato da spettri.
Rita, l'infermiera viene a trovarmi almeno due volte al giorno. Mi prepara qualcosa da mangiare e se ne va. Io butto via tutto regolarmente.
Anche Oliva, il primario mi ha fatto visita una volta. Parole di circostanza, risposte senza circostanza. Non tornerà più credo.
Citofono. Non mi alzo. Non oggi.
Citofono. Non smette. Cristo! E va bene. Faccio violenza a me stesso e dal divano mi trascino fino al ricevitore.
- Dottor Vanzetti, sono Donati, commissario Donati. Le devo parlare.
Donati, lo sbirro. Non rispondo, apro semplicemente il portone e torno a buttarmi sul divano.
Lo vedo entrare. Ho lasciato la porta aperta. Non è in giacca e cravatta oggi. Soltanto giacca, e jeans.
- Abbiamo i risultati delle analisi autoptiche.
Non lo guardo. Solo un impercettibile assenso con la testa. Vai avanti. Lo dico senza parlare.
- Nessuna ferita da arma da fuoco o da taglio. Però la dottoressa Piazza ha riscontrato una frattura alla base cranica di suo fratello. A livello occipitale. Come se fosse stato colpito da un oggetto contundente. E poi anche noi abbiamo riscontrato delle anomalie sulle cinture di sicurezza...
Ora Donati sta avendo la mia attenzione. Giro la testa verso di lui. Lo guardo. Continua maledetto gli dico. Ma ancora senza parlare.
E lui prosegue. - Ecco, pare che le cinture siano state manomesse in modo tale che non potessero slacciarsi. In pratica è come se suo fratello e il bambino fossero stati legati ai sedili. E infine abbiamo trovato tracce di benzina sulla macchina. Si insomma, tutto fa pensare che si sia trattato di un incidente ma di una esecuzione bella e buona.
Bella e buona. Per un istante mi viene l'istinto di spaccare la bottiglia di Four roses vuota in testa a Donati. Mi trattengo. Invece mi siedo. Lo guardo. E stavolta parlo.
- Lei mi sta dicendo che sono stati uccisi. - Parole come pietre.
- Gli indizi ci fanno pensare a questo, sì dottor Vanzetti. Il dottor Santini ha appena aperto un fascicolo di indagine. Me ne sto occupando personalmente. E a questo proposito avrò bisogno anche della sua collaborazione. Lei capisce, avremo bisogno di quante più informazioni possibili sulla vita di suo fratello e...
Lo interrompo. Brusco. Non voglio sentire altro.
- Avrà la mia collaborazione Donati.- Punto. Messaggio chiaro. Fine della discussione.
Donati è sveglio, comprende. Solo un ultima domanda da parte mia prima che il commissario se ne vada.
- Erano vivi quando... hanno dato fuoco alla macchina?
Pausa. Atmosfera di metallo liquido. Donati sostiene il mio sguardo.
Si, purtroppo erano ancora vivi. E lucidi. Soprattutto il bambino. Mi dispiace dottor Vanzetti... davvero.
Tempo.
Solo un'altra forma di percezione soggettiva.
In qualche modo sono riusciti a strapparmi via dal mio sudario bianco.
Ho ricominciato a lavorare. Ho ricominciato a lavarmi, mangiare, muovermi... operare... salvare vite.
Dopotutto la vita continua, giusto?
Sbagliato.
La mia non è più vita, è simulacro di vita.
E'-un-asettico-scorrere- di tempo. Ed è l'unica forma di realtà che riesco a percepire. Il resto, tutto il resto, è semplicemente vuoto.
Rita, la mia infermiera, è l'unica persona che davvero riesce a interagire con me, davvero.
Mi segue come un ombra, un ombra discreta. Sa quando può intervenire e quando invece è il momento di lasciarmi solo. Rita è come una sorella maggiore per me.
Ho appena finito il giro visite dei miei pazienti. Rita come sempre è venuta con me ad assistermi. Sto aggiornando la terapia del ventinove quando sento la sua voce da orso.
- Giulio!
Oliva, il primario, il Prof. Oliva è davvero un orso.
- Poi quando hai finito passa da me.
Non un invito. Un ordine di invito.
Lo trovo seduto dietro alla sua enorme scrivania. Sta trafficando con un'agendina. Non alza nemmeno la testa dai fogli quando entro.
- Vieni vieni Giulio, siediti. Ho detto a Rita di prepararci un buon caffè, così non ci disturba nessuno.
Resto alcuni secondi a osservare una foto di lui appesa alla parete di quando giocava a rugby ai tempi dell'università.
- Allora? - mi guarda - qualche novità sulle indagini?
Oliva è un uomo pratico e diretto. Non si perde in frasi di circostanza tipo "come stai, come va etc". Cazzate per coloro che non gliene frega niente di te. Come cazzo volete che stia dopo che mio fratello e mio nipote sono appena morti bruciati vivi!
No, Oliva è uomo pratico. Scuoto la testa.
- Zero. Chiamo tutti i giorni in commissariato quel Donati per sapere se hanno scoperto qualcosa ma la risposta è sempre la stessa: "stiamo indagando, ci vuole tempo, è un indagine difficile...". Cos' da due settimane.
Oliva annuisce. - Non sono sorpreso. Purtroppo la mia impressione è che quelli non sanno da che parte girarsi. Temo che non ne caveranno fuori niente...
Rita, bussa discreta prima di entrare con due tazze di caffè fumante. L'aroma forte mi riempie per un attimo la testa. Un solo brevissimo istante di sollievo.
Poi, con la stessa discrezione ci lascia di nuovo soli, come se la sua fosse stata l'apparizione fugace di un fantasma.
Niente zucchero per me. Il Prof invece lo affoga nello zucchero quel povero caffè.
- Tieni.
Biglietto da visita. Mi lascia il tempo di leggere mentre si beve il suo caffè al sapore di zucchero.
- Non ti fare ingannare dalle apparenze Giulio. È uno in gamba, mi ha risolto più di un problema.
Poi, l'orso si alza. Prima che io possa dire niente. Messaggio ricevuto. Tempo scaduto. Il nostro incontro finisce qui.
Mi ritrovo in corsia, sto ancora guardando il biglietto di Oliva, e solo in quel momento realizzo che io il mio caffè non l'ho nemmeno toccato.
Calvairate.
Zona popolare di Milano est. La riqualificazione delle periferie qui non è mai arrivata. Giunte di destra e giunte di sinistra, tante belle parole, splendidi propositi. Tranne qui.
Posto di merda era e posto di merda è rimasto.
Ma l'indirizzo sul biglietto di Oliva mi porta proprio qui. Al 167 di uno dei tanti palazzoni dai muri scrostati e le parabole sui balconi. C'è odore di aglio fritto e cous cous.
Anche sotto questa maledetta pioggia che non smette mai.
Scala D. Primo piano. Ultima porta a sinistra.
Una targhetta di ottone sbilenca sulla porta. Una scritta sulla targhetta sbilenca.
Marazzi investigazioni
Sto per bussare quando da dentro una voce come carta vetrata abbaia - Avanti è aperto!
Un uomo, di spalle. Sta dando dell'acqua a un tristissimo vasetto di... un qualche tipo di cicoria.
- Sapeva del mio arrivo?
Non si volta l'uomo. Troppo intento a non far trabordare l'acqua dal vaso.
- Io so tutto amico, è per questo che mi pagano! - risata. Come carta vetrata.
L'odore di aglio fritto e cous cous qui non si sente. È del tutto coperto da altri odori. Muffa e toscanelli. Ecco la spiegazione della carta vetrata. Fumo di toscano in quantità industriale presumo.
A parte gli odori per il resto è soltanto caos. Disordine allo stato puro in quella parodia di ufficio. Anche l'uomo, quando si volta verso di me è l'immagine del disordine allo stato puro. Età indefinibile tra i cinquanta e i sessanta. Barba incolta di almeno una settimana. Vestito logoro. Scarpe... come il vestito? No, le scarpe stonano. Tom Ford, nuovo modello.
"Non farti ingannare dalle apparenze". Le parole di Oliva.
- Due cose - Marazzi indica delle schedine sparse sulla scrivania - due cose possono rovinare un uomo. Le donne e i cavalli! Siediti amico, mettiti comodo e raccontami quale è il problema.
Mentre mi siedo su una sedia che ha visto tempi migliori Marazzi tira fuori da uno scaffale una bottiglia di sambuca e... un solo bicchiere. Per lui naturalmente.
Sono le nove del mattino. Inizio a domandarmi se sia stata una buona idea venire fin qui.
Lo stronzo è a terra. Pancia sotto. Sono su di lui, gli tengo il ginocchio sinistro appoggiato sul collo mentre Savino gli torce le braccia all'indietro e lo ammanetta.
Un altro marocchino di merda. Quando ci ha visto arrivare ha buttato la roba e si è messo a correre. Mossa sbagliata. In meno di trenta metri l'ho raggiunto. Il tipo reagisce. Collutazione. Mi sonno presa pure un pugno in faccia ma alla fine arriva anche Savino. In due lo blocchiamo.
Fermo immediato. Possesso e spaccio e resistenza a pubblico ufficiale.
Tutte stronzate, questo figlio di puttana color verde merda sarà fuori in meno di due mesi.
Commissariato, Milano, zona ovest.
Ho appena finito di redigere il verbale del fermo del marocco. Un'ora di scartoffie. Tempo perso.
- Paola. - La voce di Donati, il commissario Donati.
- Si Dottore mi dica.
- So che stai per smontare ma prima di andartene ti volevo avvisare che di là in saletta c'è un tizio che mi ha chiesto se ti può fare un paio di domande a titolo... personale.
Guardo Donati. - Che domande e che tizio.
- Un investigatore privato. Pare sia stato assunto dal fratello di quel tipo della Bosiva, sai l'imprenditore che è stato bruciato in auto con il figlio circa un mese fa... Vanzulli o Vanzolla...
- Vanzetti.
- Vanzetti, brava, proprio lui. E niente voleva da te qualche informazione.
- A che titolo. C'è un indagine in corso, dovrebbe sapere che non rilasciamo nessun tipo di informazioni.
Donati sbuffa. - Si infatti, ma senti leviamocelo di torno senti cosa vuole sapere e mandalo via. Facciamo in modo da non sembrare troppo rigidi visto che comunque non stiamo cavando un ragno dal buco.
Saletta del commissariato.
Non faccio fatica a riconoscere il tipo. Gli investigatori privati sembra che li facciano con lo stampo. Niente presentazioni. Non ci sediamo nemmeno. Deve essere e sarà una cosa rapida.
- Come le avrà anticipato il dottor Donati ho ricevuto incarico dalla famiglia del defunto signor Vanzetti...
- Non mi risulta avesse famiglia
- Ah.. eh beh si e no. Era divorziato certo ma aveva un fratello, uno che lavora come medico chirurgo in un grande ospedale della zona sud. Lui mi ha affidato l'incarico...
Taglio corto. - Va bene, signor...
- Marazzi, Marazzi Pietro
- Va bene signor Marazzi Pietro, come le posso essere utile.
- Ecco, so che lei è il suo collega, volante Venezia giusto? Dicevo siete stati da lui il giorno... tal dei tali dalle ore alle ore etc etc... un normale controllo o un motivo specifico agente M.?
Lo guardo. Dritto in faccia. La mia espressione è dura. Ma nessuna emozione apparente.
- Lei come fa a sapere queste cose
Marazzi sorride. Sorriso finto di colui che la sa lunga. - Beh ho un amico che lavora in Piazza Beccaria, alla sede centrale della Polizia Locale... loro sa, hanno accesso alle telecamere stradali e guarda caso ce nè una proprio sulla strada dalla quale ci si immette sulla via privata dell'azienda del Vanzetti. Insomma, vi hanno visti entrare e poi uscire dopo circa venti minuti scarsi. Ecco il perchè della mia domanda.
- Normale controllo.
- Venti minuti per un normale controllo?
Il mio sguardo adesso è al limite della minaccia. Mi avvicino di un passo. - Cosa intende dire Marazzi
Lui arretra. Alza le mani. Segno di resa. - No niente agente, era soltanto una curiosità. Non conosco i protocolli e la mia era solo una domanda... se per caso avete notato qualcosa di...
- Non abbiamo notato nulla di strano Marazzi e comunque non glielo riferirei di sicuro. C'è un indagine in corso e tutte le nostre informazioni sono al momento riservate. Buona serata.
Mi volto e me ne vado senza aggiungere altro.
Sento i suoi occhi posati su di me. - Buona serata a lei agente M. E... grazie per la sua disponibilità
Tangenziale ovest.
Sono ferma in colonna. Dannati lavori in corso al chilometro diciassette. Una sola corsia di marcia all'ora di punta. Fanculo. Prendo lo smart e compongo il numero.
- Savino?
- Si sono io. Paola? Ciao dimmi...
- Giusto una curiosità Savì, ma quel coglione di investigatore privato di oggi ha voluto parlare anche con te per caso?
Nessuna pausa. - No. Sinceramente manco sapevo che ci fosse un investigatore privato in commissariato... scusa ma domande riguardo a cosa. Su cosa indaga?
- Niente Savino, era solo per curiosità. Grazie
Riaggancio. Penso. Strano. Perchè chiedere soltanto a me. In fondo il capopattuglia era Savino sarebbe stato più logico...
Sono di nuovo avvolto nel mio sudario bianco.
Ne esco solo per andare a lavorare, e quando lavoro il mio unico desiderio è tornarci.
La sporcizia in casa inizia ad accumularsi. La povera Rita non riesce a stare dietro a tutto.
Oliva mi ha dato una mano anche per organizzare i funerali. Uno strazio. Da solo non ce l'avrei mai fatta e...
Telefono. Primo istinto non rispondere. Secondo istinto, prevale l'abitudine meccanica del fare le cose normali.
- Vanzetti? Giulio? - Voce come carta vetrata. Mi ero praticamente dimenticato di lui. Soltanto adesso mi rendo conto che è passata poco più di una settimana dal nostro incontro.
- Si, sono io.
- Bravo. Marazzi. Domani mattina da me. Ho delle novità molto interessanti.
Fine del discorso. Marazzi... novità... Donati... nessuna novità.
Per un istante resto lì così. Telefono in mano a fissare il muro davanti a me.
Tanto è solo un'altra prospettiva di bianco.
Il bianco diventa giallo fumo.
Tutto l'ufficio di Marazzi ha come colore di fondo la tinta giallognola del fumatore incallito.
E l'odore. Toscano misto muffa. Avrebbe bisogno di una bella rinfrescata penso mentre mi siedo sull'unica sedia sbilenca oltre la sua.
Ore otto e quaranta. Ha smesso di piovere ma il cielo è color piombo. Il tempo e l'ora giusta per una buona dose di sambuca.
Solo che stavolta Marazzi di bicchieri ne tira fuori due. Forse si festeggia?
- L'altra volta ti ho detto che due cose possono rovinare un uomo. Le donne e i cavalli. - primo sorso - io ho problemi con i cavalli - secondo sorso - tuo fratello li aveva con le donne. Anzi, con una donna in particolare. - sorso conclusivo. Del primo bicchiere.
- Si riferisce all'ex moglie? Quella specie di sanguisuga? - prendo in mano il bicchiere ma non bevo. Non a quest'ora, non quella specie di veleno da discount.
Marazzi scuote la mano. - No no... non lei. Naturalmente ho indagato anche su di lei ma la ex signora Vanzetti è pulita. Del tutto estranea alla faccenda. - nuovo bicchiere, nuovo sorso.
- E chi allora.
Marazzi getta sulla scrivania una cartelletta, davanti a me. La indica con un cenno della testa.
Ora tocca a me. Appoggio il bicchiere senza averne toccato il contenuto e prendo le cartelletta. La apro lentamente. Dentro delle foto. Su pellicola. Formato 20x15. Bianco e nero.
Non dico niente. Le guardo e basta. Una per una. Attentamente, molto attentamente.
Le foto ritraggono una donna, sui trenta. Capelli corti, zigomi e labbra affilate. Sguardo duro, deciso. È alta e magra e anche sotto la divisa si intuisce un corpo tonico asciutto e scattante. Sì perchè la donna indossa una divisa. È una poliziotta. Le foto sono state fatte a sua insaputa mentre è in servizio.
È di nuovo la voce carta vetrata di Marazzi a interrompere il silenzio.
- Si chiama Paola M. agente scelto presso il commissariato di zona ovest. Quello di Donati per capirci. Paradossalmente lavorano entrambi nello stesso posto.
Marazzi ha tutta la mia attenzione ma io non dico una parola. Lascio che sia lui a continuare.
- Insomma... pare che lei ricattasse suo fratello e...
Ascolto ogni singola parola dell'uomo seduto di fronte a me senza tradire la minima espressione. Marazzi fa il riassunto completo del quadro. Dati, date, circostanze, persino lacune e incongruenze. E conclude.
- Per quanto possa sembrare assurdo nove su dieci è stata lei. Dico nove perchè manca la prova determinante ma - pausa - mi creda dottor Vanzetti con una tale mole di prove indiziarie nemmeno Perry Mason potrebbe farla assolvere quando la denunceremo e andrà sotto processo. È tutto scritto e documentato. Stà tutto li dentro.
Non dico una sola parola. Mi sembra di essere in un sogno. Non sono nemmeno sicuro di essere dove sono. Che l'uomo seduto davanti a me che mi sta dicendo che una poliziotta corrotta ha ucciso e bruciati vivi mio fratello e mio nipote sia reale.
Soltanto il bicchiere che ho in mano e la sambuca che ora sto bevendo tutta di un fiato sono reali.
Non so quanto sia durato quello strano sogno.
Ho solo un vago ricordo di quanta fatica abbia fatto a guidare da Calvairate a casa mia, che abito dall'altra parte della città.
Ho chiamato in ospedale. Ho detto che non sarei andato a lavorare. Che ero malato. Per più giorni.
E in un certo senso è vero.
Sono caduto in uno stato che assomiglia molto alla malattia.
Spossatezza. Attacchi d'ansia. Pianti improvvisi alternati a scatti d'ira. Depressione? Forse febbre. Sicuramente inappetenza.
Ho persino detto a Rita di non venire più. Non voglio che mi veda in questo stato.
Riesco soltanto a bere. Alcol naturalmente. L'unica cosa che riesce a farmi dormire un pò.
Quando non dormo... nemmeno quel bianco che è stato lo sfondo delle mie giornate nell'ultimo mese.
No, il bianco c'è ancora. Ma non è più solo. Adesso è bianco e nero. Il bianco e nero delle foto che mi ha dato Marazzi. Che continuo a guardare, come ipnotizzato. Da quella donna in divisa. Da quel corpo atletico. Da quel volto duro. Spietato.
Guardando quelle foto, quello sguardo adesso so: eccola la prova finale il dieci su dieci.
Il suo sguardo.
Ora, davvero, non-ho-più-dubbi. Sulla sua colpevolezza.
Ma il bianco adesso mi parla.
Sento delle voci. Forse sto impazzendo o forse no. Le riconosco quelle voci. Mio fratello... ma anche mia madre. Fantasmi, voci di morti. Vengono dal bianco.
Vengono per me. Vengono per lei.
Milano, zona ovest, da qualche parte nel primo pomeriggio.
Piove anche oggi. Gocce fini e fitte sotto un cielo antracite.
- Cazzo hai oggi Paola. - Savino, mi conosce abbastanza per capire che c'è qualcosa che non va.
Sa quanto odio gli extra, marocchi e zingari. Ed è rimasto sorpreso quando poco fa sono stata ho lasciato perdere con uno stronzo di rom ubriaco che stata pisciando sulle macchine in sosta. Anche quando mi ha provocata dandomi della puttana ho lasciato perdere. No, non è da mè una reazione del genere. Anzi, una non-reazione del genere.
- No niente di che Savì, tutto a posto.
Savino sorride. Savino non molla. - Avanti Pà, non dire cazzate che c'è che non và.
Sbuffo. - Ma niente, è quel tipo, quell'investigatore privato. Mi vuole vedere perchè dice di avere scoperto qualcosa di interessante sul caso di quel tipo, Vanzetti.
Pausa. - Scoperto cosa...
- Non lo so. Ha detto qualcosa di importante che potrebbe dare una svolta alle indagini. Ma non ha voluto dire di più al telefono.
- Capisco. E, perchè proprio con te vorrebbe condividere delle informazioni così preziose e non va direttamente da Donati?
Bella domanda.
- Non lo so Savino. Mi ha solo dato un indirizzo e un orario. Mi ha chiesto di andare da sola e di non parlarne con nessuno.
Savino è pensieroso. - Strano modo di muoversi in effetti. Ma non farti strani film, gli investigatori privati sono tutti un po' strani. Probabilmente sarà una cazzata e una perdita di tempo. E dove sarebbe l'appuntamento?
Scuoto la testa. - Non lo conosco. Mi ha dato l'indirizzo a voce. Un posto fuori Milano comunque. È per domani sera. ci vado a fine turno. Diretta.
Telefono.
Sono appena uscito dalla doccia. La prima doccia dopo più di una settimana.
Mi sento bene. Lucido. Motivato.
Il bianco non è più il colore di sfondo della mia vita.
Telefono.
Maledizione, vorrei non rispondere, poi cambio idea.
- Vanzetti.
- Giulio! - la voce dell'orso. Oliva, il professor Oliva, primario - come va! Non ti sento da un bel pezzo. Ho saputo che ti eri ammalato.
- Si professore, ho avuto un po' di influenza con questo clima infame. Ma adesso sto meglio. Ora mi sono preso qualche giorno di ferie. Penso di rientrare i primi di dicembre.
- Bravo, hai fatto bene, niente di meglio di un po' di sano relax. E prenditi qualche bella distrazione Giulio, dammi retta. Hai intenzione di andare da qualche parte?
- Beh si, da qualche parte ma, non lontano da qui. Anzi, molto vicino a dire il vero. E, sì, ho proprio intenzione di prendermi una bella distrazione. - Sorrido. Se Oliva potesse vedere la mia faccia in questo momento. - A proposito professore, quel suo amico, Marazzi, non so come ringraziarla, aveva ragione lei. Mi sta aiutando tantissimo. È davvero uno in gamba.
- Sì, lo so. Se non avesse il vizio dei cavalli... sempre a corto di soldi, sempre pieno di debiti. Ma a parte questo è uno che ci sa fare. Ciao Giulio stammi bene.
Rimetto il telefono al suo posto e torno in bagno. Voglio radermi. Voglio essere impeccabile per stasera. Dopotutto vado a un incontro galante.
- Esatto professore - dico guardandomi allo specchio - sempre pieno di debiti...
Da qualche parte nelle campagne verso Pavia
Ore 20. 35
Ma dove cazzo è sto posto.
Grazie a Dio ha smesso di piovere. In compenso si è alzata una nebbia fitta che non si vede un accidente. Questa poi è la zona della nebbia.
Ho impostato sul navigatore l'indirizzo che mi ha dato Marazzi. Ma sto guidando da più di un ora. Ho appena smontato dal turno del pomeriggio, sono stanca, mi fanno male i piedi dentro questi dannati anfibi e l'unica cosa che vorrei in questo momento è togliermi di dosso sta divisa e buttarmi sotto la doccia.
Invece continuo a girare su strade che diventano sempre più stradine. Ho lasciato la statale da più di mezz'ora ormai. In giro non c'è un cazzo di anima viva a cui chiedere e questa dannata nebbia sembra aumentare sempre più.
Finalmente vedo il cartello. Vellezzo Bellini. Faccio mente locale alle indicazioni di Marazzi.
"Quando arrivi al cartello di Vellezzo gira a destra. Avanti così per circa un chilometro, poi vedrai alla tua sinistra una strada sterrata tra due filari di larici. Prendila e vai fino in fondo. È una strada a fondo chiuso. Ti troverai infine davanti a un vecchio cancello che dà accesso a una vecchia proprietà. Una villa dei primi del novecento. Quando arrivi suona il clacson tre volte e io verrò ad aprirti il cancello".
Cazzo, ma che razza di stronzata. Mi domando a cosa serva tutta sta messa in scena. Tutta sta segretezza da colpo di stato. E soprattutto perchè farmi venire fin qui in culo ai lupi. Spero solo che ne valga la pena.
Ma data la situazione non potevo certo rifiutare. Inoltre, il fatto di essere in un posto così isolato, io e lui, potrebbe essere un vantaggio per me se dovessi scoprire che questo stronzo ha davvero scoperto qualcosa che...
Ecco il cancello. Nebbia di merda, a momenti ci vado a sbattere contro.
Tre colpi di clacson. Una luce si accende sotto il portico della casa che sta oltre il cancello. Il resto dell'edificio è immerso nella totale oscurità.
Vedo una figura in impermeabile venire nella mia direzione. Entra nel fascio dei fari. Lo riconosco, è Marazzi. Traffica con una pesante catena e apre il cancello. Entro e parcheggio sotto il portico della villa.
- Agente... ben arrivata.. spero abbia fatto...
- Si Marazzi tutto bene. - Taglio corto. Modi spicci e decisi. Non ho alcuna voglia di convenevoli - Adesso entriamo che qui fuori si congela con questa umidità.
- Certo agente, ha ragione. Prego da questa parte.
C'è l'odore del tempo qui dentro.
Un secolo di tempo almeno. Cento anni.
Non una villa padronale, non una semplice cascina.
Qualcuno ha cercato di modificarne, cancellarne? le umili origini contadine trasformandola in qualcosa che non poteva essere. Qualcuno ha rinunciato.
Sicuramente nessuno mette piede qui dentro da tempo, da troppo tempo.
A parte noi oggi.
Pochi mobili in stile liberty; molti coperti da lenzuola. Inutile tentativo di rallentare l'inevitabile decadimento. Nessuna barriera può fermare il tempo.
Lenzuola come fantasmi.
Da qualche parte nelle campagne intorno a Pavia.
Ore 21. 15
- A chi appartiene questa casa. Di certo non a te Marazzi. - Mi guardo intorno. Esploro l'ambiente come un predatore.
Marazzi è tranquillo, a suo agio. Depone l'impermeabile su un divanetto consumato dal tempo. Si avvicina a un armadietto. Ne tira fuori una bottiglia e un bicchiere. Sambuca. La bottiglia è nuova e stona con l'ambiente. Ha un solo significato: non è un incontro improvvisato questo.
- No certo, non è mia. È del mio cliente. - Sorride, affabile.
- E... chi sarebbe il tuo cliente Marazzi... - una sorta di prurito lungo la colonna vertebrale. Non un buon segno.
- Mi sorprendi agente Paola M. Una come te dovrebbe saperlo. Comunque lo conoscerai personalmente tra poco. Dovrebbe - guarda l'orologio - essere qui tra pochissimo.
Marazzi si versa da bere. Il mio cervello intanto ha iniziato una scansione dei vari cluster di memoria. Non mi ci vuole molto a ricordare per chi lavora questo pezzente con scarpe nuove Tom ford.
Ore 21. 27
Movimento nel cortile esterno. Motore.
Il motore si spegne. Portiera. Qualcuno è sceso. Altra portiera. Anche qualcun altro è sceso.
Marazzi sorride dietro il suo bicchiere di sambuca. - Puntualissimo. Ecco il mio cliente.
Il mio sistema nervoso centrale ha iniziato a pompare adrenalina in dosi massicce. Battito accelerato. Il mio sesto senso mi sta avvertendo che c'è qualcosa di sbagliato in tutta questa storia. Qualcosa di profondamente sbagliato. E malsano. E il mio corpo si sta preparando di conseguenza. Alla lotta o alla fuga. A questo, solo e soltanto a questo serve l'adrenalina.
Due figure adesso sulla soglia. Entrano.
Scansione visiva.
Uomo, elegante, vestito Armani, sui cinquanta, viso curato, liscio. Occhiali montatura Dior. Ha una valigetta con se. All'apparenza valigetta da medico. Di quelle che non usa più nessun medico ormai.
Donna, sui sessanta, capelli grigi, raccolti. Vestito classico. Tacchi bassi, tailleur e giacchetta. Niente di speciale. Anche lei ha un borsone, di tela.
Non riconosco le facce. Mai visti nessuno dei due.
È Marazzi a fare le presentazioni.
- Agente Paola M. le presento il mio cliente, il dottor Giulio Vanzetti e lei è...
- La sua assistente personale per questa notte - sorride affabile la vecchia - Rita Giovanardi. Infermiera professionale.
L'uomo vestito in Armani non parla. Nemmeno io parlo. Solo un contatto di sguardi fra noi.
Pura elettricità statica.
Poi, con una lentezza da incubo l'uomo in Armani appoggia la borsa su un tavolino.
- Siediti lì. - indica una sedia alle mie spalle.
- Sto bene in piedi.
Movivento, nel mio campo visivo.
- Non è un invito. È un ordine, agente M. - Marazzi. Un revolver nella sua mano destra. Smith & Wesson 351, calibro. 22 Magnum. È puntato nella mia direzione.
No, è puntato su di me.
Istinto vitale. La mia mano destra in appoggio sul calcio della mia Beretta 9 x 21. Marazzi scuote la testa. Indica la sedia. Sollevo la mano dal calcio dell'arma e lentamente, molto lentamente mi siedo.
- Che cazzo significa questa storia - la mia voce è un sibilo di crotalo.
- Significa - è l'uomo vestito in Armani che parla - che il signor Marazzi Sergio, da me assunto per investigare sulla morte di mio fratello e mio nipote ha fatto un ottimo lavoro. Non solo ha trovato le prove che ti inchiodano circa la tua colpevolezza, ma è stato anche così gentile da prestarsi per organizzare questo nostro... incontro. - Sorriso al veleno. - Naturalmente in cambio di una bella somma di denaro, somma nella quale è compreso pure... il suo silenzio dico bene signor Marazzi?
Marazzi mi guarda, quasi come volesse scusarsi. - I cavalli, i maledetti cavalli sai... alla fine non si vince mai e con il tempo i debiti si accumulano. Il dottor Vanzetti si è offerto di pagare tutti i miei debiti e, mi ha offerto una cospicua somma aggiuntiva. Novantamila. Puliti. Tu capisci che di fronte a una simile offerta...
- Tu non sei migliore di me Marazzi. - Puro odio nel mio sguardo e nella mia voce.
- Forse no ma io non uccido bambini e comunque...
- E comunque che cazzo volete fare. Denunciarmi? Avanti, se avete tutte queste prove di cui parla questo stronzo fatelo. Voglio proprio vedere quale giudice vi darà ascolto. La verità è che con quel bello fuocherello qualsiasi prova è andata... in fumo. Come quel coglione che voleva denunciarmi.
Sarcasmo nella sua voce? L'uomo in Armani se lo domanda. Davvero, è pura curiosità intellettuale la sua. O troppa sicurezza e arroganza? Di cosa è fatta questa donna. L'uomo in Armani scruta il suo volto. Gli occhi, piccoli e profondi come quelli di un rapace. I lineamenti sottili e affilati. Un predatore. Ecco la sensazione che gli trasmette. Indubbiamente affascinante da un altro punto di vista. Non c'è violenza nè animosità nelle sue considerazioni e nemmeno nella sua voce.
Al contrario, c'è calma, la calma che nasce dalla consapevolezza.
Di essere arrivati al momento della verità.
E la verità è la fitta di un ago che mi buca il collo. Rita, la donna in tailleur e tacchi bassi. Dietro di me. Non la avevo considerata. Siringa ipodermica da 10cc, residuo di liquido bianco lattiginoso al suo interno.
- Tranquilla cara - mi sorride maligna la vecchia megera - è soltanto Propofol, ti aiuterà a rilassarti
Mi porto la mano sinistra al collo, nel punto dove la vecchia ha iniettato. Sternocleidomastoideo. Muscolo tra collo e spalla. Un piccola goccia di sangue sulla mia mano. - Brutta puttana... che cazzo... state facendo...
- Tranquilla poliziotta, nessuno ti vuole denunciare. Adesso devi soltanto rilassarti. - si volta verso Marazzi, la pistola ancora puntata verso di me. - Grazie Sergio, credo che da adesso in poi possiamo anche cavarcela da soli. Il suo compito termina qui. È stato davvero di grande aiuto.
Marazzi fa un cenno con il capo e rimette la pistola nella fondina sotto la giacca. È il momento che aspettavo. Mi alzo e contemporaneamente metto mano alla mia di pistola.
Solo che tutto questo non avviene. Resta soltanto nelle mie intenzioni. Il mio corpo non esegue. Gli impulsi nervosi che partono dal mio cervello non arrivano fino ai muscoli.
- Che... cazzo... voi... figli.. di...
L'ultima cosa di cui ho coscienza è la mano della vecchia che mi sfila la pistola dalla fondina
- Di questa non ne hai più bisogno cara.
Poi, il buio.
Ore 21. 58
Odore del tempo.
La casa, non più cascina, mai diventata villa ne è satura. Tra vecchi mobili stile liberty e lenzuola come fantasmi.
Altri fantasmi adesso. Spettri in carne e ossa fra altri spettri. i veri abitanti di quel luogo in mezzo al nulla.
Sono rimasto in tre. Tre spettri soltanto.
Un quarto, quello con le scarpe buone Tom Ford se ne è appena andato.
Uno degli spettri indossa una divisa. Polizia di stato. Anfibi ai piedi, pantaloni e giacca azzurri. Cinturone bianco. Pistola nero antracite. Solo che la pistola non è più dove dovrebbe essere. Adesso è semplicemente appoggiata su un tavolinetto rotondo a tre gambe che un tempo serviva per le tazze del the.
Lo spettro in divisa è una donna. Capelli corti, zigomi sporgenti. labbra affilate. Corpo tonico. Alta, almeno un metro e settantacinque occhio e croce.
Dorme lo spettro in divisa. Afflosciata come un sacco inerte su una sedia imbottita di velluto logoro. Non un sonno naturale. Più uno stato di sopore indotto. Farmaceutico. Propofol, latte buono per tutti coloro che non vogliono collaborare. O non vogliono capire.
Lei forse non avrebbe collaborato. Di sicuro avrebbe capito.
Lei era qui per questo. Doveva capire. Capire il male che ha fatto.
Comprendere e guadagnarsi la redenzione dai peccati.
Esiste davvero la redenzione?
Forse Dio, se qualche dio esiste può avere la risposta.
Sicuramente esiste l'espiazione.
Gli altri due spettri, l'uomo in Armani e la donna in tacchi bassi e tailleur sono in piedi.
Anche per loro le stesse domande. Anche per loro gli stessi dubbi.
- Giulio... - non lo ha mai chiamato per nome. Per lei è sempre stato il dottor Vanzetti.
Basta il suo nome per riportare l'uomo a una realtà dalla quale cerca disperatamente di fuggire.
China la testa l'uomo. Si arrende, resa totale e incondizionata alla realtà.
Ma la realtà adesso ha contorni netti e affilati. Come bisturi?
- Si Rita, ci sono. Aiutami, portiamola di là.
"Balla balla ballerino, tutta la notte al mattino, non pensare alla pistola che hai puntata contro, balla alla luce di mille sigarette e di una luna... che ti illumina a giorno"
Lucio Dalla. Marazzi ama Dalla. L'uomo dalle scarpe Tom Ford canta mentre guida nelle nebbie della provincia di Pavia. Canta ai suoi novantamila. È euforico.
Novantamila angioletti facili e puliti. Per pagare debiti, e alimentare di nuovo l'illusione di una tris a San Siro che non arriverà mai.
Solo che questa volta non sono puliti. Sono sporchi. Grondanti. Sangue?
Farebbe differenza saperlo? Non per l'uomo con le scarpe Tom Ford. Non per un uomo al limite come lui. Alla fine anche lui è soltanto un altro spettro in una commedia dell'incubo.
Quello che non sa, Marazzi, è che tra pochi istanti, dietro l'ennesima curva affogata in un sudario di nebbia come cemento liquido la 'luna che ti illumina a giorno' saranno i fanali di un quattro assi Scania da 25 tonnellate che... - merda! - frenata, asfalto viscido, impatto. Lamiere accartocciate come una lattina di birra. Dalla non canta più. E tanti saluti alla prossima tris.
Adesso i novantamila sono davvero grondanti sangue...
Ore 22. 07
Non più mobili stile liberty adesso.
Stringhe di anfibi si sciolgono. Fibbia di cinturone si slaccia. Cerniera lampo di giacca si apre. Bottoni sbottonati. Pantaloni, calzettoni sotto gli anfibi, camicia, t-shirt sotto la camicia, reggiseno, perizoma... certo, che stupida, non poteva essere altrimenti per una simile troia.
La divisa, l'intera divisa, simbolo e feticcio di un'autorità perduta e infangata, l'ultima barriera fra peccato e redenzione è caduta. Andata. Come una seconda pelle la divisa. Per lei. Adesso è rimasta soltanto la prima pelle. La sua vera pelle. Per noi.
Non più lenzuola come fantasmi adesso.
C'è luce, molta luce. Anche in assenza di finestre. Ma non farebbe differenza a quell'ora della sera, con quella nebbia lì fuori.
Teli di plastica adesso al posto delle lenzuola. Sul pavimento. Anche i fantasmi forse sono al passo con i tempi. Siamo nell'era della plastica giusto?
Sbagliato. Siamo nell'era del cuoio e del metallo.
Come i quattro bracciali che, uno alla volta si chiudono intorno a polsi e caviglie. Come i cavi collegati ai bracciali che lentamente si mettono in movimento, azionati da altrettante manovelle. Piccoli arganelli. Roba da edilizia sottocosto. Adatti fino a carichi da 150 chilogrammi. Più che sufficienti per un corpo umano da 50 chili.
Ore 22. 37
Fastidio.
Solletico forse. Sì, è sicuramente solletico. Sotto le piante dei piedi. Chi cazzo è che mi sta toccando i piedi.
Altro fastidio. No questo non è fastidio. È qualcosa di più. È dolore. Articolazioni, tendini, legamenti. Qualcuno, qualcosa? mi sta tirando gambe e braccia. Verso quattro direzioni opposte. Tira forte, troppo forte. Limite fisico prima della lussazione.
- Paola... svegliati Paola...
Sento il mio nome. Qualcuno che mi chiama. Non è più un sogno. Lo sento davvero. E adesso lo vedo anche. Li vedo.
L'uomo in Armani e la donna in tailleur. È lui che mi sta facendo il solletico sotto i piedi.
- Bentornata fra noi, troia - la voce della donna.
Metto a fuoco la situazione. Prima cosa, sono distesa, su qualcosa di duro... un tavolo, un grosso tavolo di marmo. Freddo. Seconda cosa, sento freddo perchè sono nuda. Completamente nuda. Terza cosa... sono legata. Mani e piedi. Da grossi bracciali di cuoio collegati a cavi di acciaio che stirano il mio corpo in direzioni opposte. Ecco perchè il dolore.
Posizione a X. A quattro di spade. Posizione da... tortura?
- Abbiamo aspettato che ti svegliassi. Vogliamo che tu sia bella lucida quando inizieremo il lavoro maledetta puttana. - di nuovo la donna.
Nessuna possibilità di movimento. Nemmeno un millimetro di margine. Riesco solo a ruotare leggermente la testa. Riesco a vedere la mia divisa buttata dentro un grosso sacco di plastica nera. Sacco da smaltimento rifiuti.
Che cazzo sta succedendo. Dove è quel bastardo di Marazzi. Una trappola, quel figlio di putttana mi ha attirata in una maledetta trappola.
- Stai guardando la tua divisa vero? - È l'uomo in Armani adesso. Ha smesso di giocare con i miei piedi nudi in fondo al tavolo. Viene verso di me. Nell'avvicinarsi non stacca la mano dal mio corpo nudo. Collo del piede, caviglia legata, scavalca il bracciale, gamba, coscia, evita la mia figa oscenamente spalancata dalla posizione delle mie gambe, basso ventre, ombelico. Indugia un attimo sulla mia pancia, poi prosegue, gabbia toracica, segue il profilo delle mie costole così visibili che sembrano un atlante di anatomia ossea. Supera il piccolo seno appiattito dalla tensione sul grande pettorale. Si ferma sulla mia clavicola destra.
- Ti abbiamo spogliata lentamente io e Rita sai. Pezzo per pezzo. È stato come... levarti la pelle un poco alla volta. - Pausa, sospiro. Espressioni sul suo volto... nessuna. - E forse è quello che dovremmo fare davvero. Quello che meriteresti. Essere scuoiata viva. Levarti la pelle, quella vera una striscia alla volta. Farti soffrire. Farti patire dieci volte quello che hanno dovuto patire mio fratello e mio nipote quando li hai bruciati vivi, maledetta... cagna.
Ora il suo viso è su di me. Occhi che sprofondano in altri occhi.
Esitazione nei suoi?
- Io... mi dispiace signor Vanzetti... è stato un grosso sbaglio da parte mia ricattare suo fratello, me ne rendo conto, tutta la faccenda si poteva - mettere da parte la paura, cercare sempre un margine di trattativa - risolvere in altro modo. - Addestramento e carattere.
La donna sta prendendo qualcosa dalla borsa di cuoio. Oggetti, strumenti... chirurgici? Riesco a riconoscere qualcosa. Pinze, divaricatori... bisturi e lame... seghetti. Li depone con cura su un piccolo tavolino. Disposti secondo una logica da follia pura.
Puro acciaio chirurgico che brilla di riflessi da incubo sotto quella luce bianca. Stanza senza finestre, probabilmente sotto il livello del suolo, in una casa sperduta fra le colline di Pavia, annegata nelle nebbie autunnali di Pavia. E nessuno che sappia che io mi trovo qua. Nessun soccorso, nessun aiuto. Questa volta non arriverà la cavalleria a salvarmi il culo.
L'uomo in Armani annuisce. - Su questo hai davvero ragione agente Paola M. - L'uomo in Armani, il dottor Giulio Vanzetti si toglie la giacca di Armani. La donna, Rita, la sua fedele infermiera da più di trent'anni gli fa da assistente. Gli prende la giacca e la depone su un piccolo tavolo, avendo attenzione di non spiegazzarla.
Il dottor Vanzetti adesso indossa un pesante camice di plastica gialla. Indossa anche un paio di guanti, guanti da chirurgia.
Messa in scena dell'orrido. Teatro dell'assurdo.
- È un bluff - la mia voce è ferma. Quasi arrogante qualcuno potrebbe dire. Data la situazione, certo. - Tu, voi state bluffando. Volete indurmi a confessare prima di denunciarmi. - Pausa. Tempo. Tempo che cristallizza.
Tutto si ferma per un istante. - Davvero vorresti confessare agente M.? Non lo hai appena detto tu che si poteva risolvere in altro modo?
- Io... si... va bene cazzo lo ammetto. Ricattavo suo fratello per la storia della prostituta minorenne ma, io non altro glielo giuro. Mi deve credere. Io non centro niente con la sua morte. Cazzo! Adesso facciamola finita con questa stronzata e liberatemi. Denunciatemi pure se ne avete le prove e...
- Puttana... - voce come il sibilo di un crotalo - la voce della donna - tu... non meriti di vivere. Giulio, ti prego falla tacere o la strozzo con le mie mani.
Giulio Vanzetti, il dottor Giulio Vanzetti, chirurgo presso un grosso ospedale della zona di Milano sud annuisce. - Si Rita, è tempo per questa lurida troia di espiare i suoi peccati.
Il dottor Giulio Vanzetti sceglie un grosso bisturi come primo oggetto dal tavolino. Lo sceglie con cura. Sembra quasi malinconico. Poi si volta verso di me.
- No agente Paola M. non ci sarà alcuna denuncia. Almeno non da parte mia. Forse da parte dei tuoi colleghi quando domani non ti vedranno arrivare in commissariato. Denuncia di scomparsa... ecco magari quella si. E quanto alla tua innocenza. Non credo a una sola parola di una serpe come te.
- Tu-stai-scherzando dottore... non puoi fare davvero una cosa del genere. Non te la caverai, lo sai questo vero brutto figlio di puttana. Nè tu ne quella vecchia bagascia della tua amica! Cazzo! - voce isterica la mia? Aggressività indotta dal dubbio. Dubbio che possa non essere un bluff tutto questo. Il dubbio scatena paura. Paura scatena aggressività.
Il dottor Giulio Vanzetti non si scompone. Non reagisce alle mie parole. Ai miei insulti. Nemmeno Rita, l'infermiera in tacchi bassi si scompone.
Semplicemente lui si avvicina al tavolo. Mi guarda. Prima negli occhi, poi il suo sguardo è rivolto al mio corpo, nudo legato e tirato come una corda di violino su quel maledetto tavolo da incubo. Ma non c'è nulla di morboso nel suo osservare. Nessuna implicazione di natura sessuale. Solo pura valutazione anatomica.
- Sai in cosa sono specializzato agente M. Chirurgia addominale. Sei fortunata sai. Resterai in vita per un bel po' di ore prima che abbia finito.
Dolore, avambraccio destro. La donna, Rita mi ha appena infilato un ago ipodermico nel braccio. All'ago è collegata una soluzione salina. Goccia lenta. Mi sorride la bastarda.
- Non temere troia, non è anestetico, è solo fisiologica e catecolamine. Serviranno per tenerti in vita più a lungo. E più lucida naturalmente.
- Non vogliamo che tu ti perda lo spettacolo vero Rita?
- No Giulio, questa bastarda deve vedere tutta la merda che ha dentro. Deve vedere con i suoi stessi occhi prima che glieli caviamo le sue luride budella.
- Voi siete pazzi pazziii! - Urla adesso. Un anticipo di quelle che saranno urla vere per un dolore vero.
Vanzetti non si scompone. - Rita è... pittoresca nell'esprimersi, ma ha detto il vero. Sai agente Paola M. quanto sono lunghi mediamente gli intestini umani? Circa nove metri. Ma scommetto due mensilità che i tuoi sono molto più lunghi. Togliamoci questa curiosità. Ma non subito certo, prima ci sono un sacco di altre cose da fare. Ma andiamo per ordine. Iniziamo dal fondo. - Vanzetti si sposta di nuovo in fondo al tavolo. Si ferma davanti ai miei piedi.
Il sorriso sadico del dottor Giulio Vanzetti è l'ultima immagine limpida nella mia testa prima che tutto diventi luce bianca di accecante dolore.
Una settimana dopo.
Mensa dell'ospedale. Non c'è quasi nessuno a quest'ora. Da quando ho ripreso servizio evito il più possibile i contatti con chiunque e vengo a mangiare poco prima dell'orario di chiusura.
Qualche infermiere, un paio di colleghi della nefrologia, e alcuni amministrativi.
Mangio da solo.
Dopo quella Rita non è più rientrata al lavoro invece. Ha chiesto un'aspettativa non retribuita ed è tornata dalla vecchia madre. Dalle parti di Fano.
Ogni tanto ci sentiamo al telefono. Chiamate brevi, come va come stai etc. Non è rimasto molto da dire in realtà.
Dai giornali ho appreso che Marazzi è morto anche lui quella notte. Incidente stradale. Un frontale con un grosso camion dopo una curva sulla provinciale in direzione Stradella. Causa la fitta nebbia e l'asfalto viscido.
Mi dispiace, davvero. Ma quello che doveva essere fatto è stato fatto.
Ogni tanto ci ripenso. È stata una lunga notte. Tremenda e stupenda allo stesso tempo. Purificatrice. La poliziotta assassina ha espiato. Eccome se ha espiato. È morta intorno alle 4. 30. Ha tenuto duro per quasi tre ore da quando ho iniziato a vivisezionarla. Devo ammettere che quella troia era davvero resistente. Non voleva crepare. Solo quando le ho tolto il fegato il suo cuore ha ceduto. Emorragia massiva. Nemmeno le sacche di plasma e fisiologia sono bastate a quel punto. Pecccato, avrei voluto farla durare fino a quando le avrei strappato il cuore con le mani. Ma mi accontento. In tutta la mia vita credo di non aver mai sentito nessuno urlare così. Anche perchè prima ho voluto divertirmi un pò. Ho voluto farla soffrire il più possibile. Espiazione. Per mio fratello, per mio nipote. Purificazione attraverso il dolore. L'ho torturata come il peggiore dei sadici. Le ho scarnificato le piante dei piedi, tagliato le dita, frantumato tibie e ginocchia, le ho asportato labbra vaginali e clitoride, le ho strappato i capezzoli, le ho scuoiato le costole, tagliato labbra, orecchie e naso. Le ho rotto e cavato almeno una decina di denti. Le ho strappato le unghie di mani. Una per una, con una lentezza esasperante. Rita è stata al mio fianco tutto il tempo, partecipe spietata alla sua agonia.
Ma quella bastarda di poliziotta era una vera dura. Di crepare non ne voleva proprio sapere. Forse per lei è stato peggio. Attaccarsi così alla vita ha prolungato la sua sofferenza. Peggio per lei. Le sue urla di dolore non sono servite a niente.
- Implora pure pietà cagna. Tanto non la avrai.
Sì, ha davvero espiato, le ho riservato tutto il campionario dell'orrore di cui ero capace. Se esiste un inferno dopo la morte, lei ne ha già avuto un cospicuo anticipo.
Ah, curiosità, avevo ragione, le sue budella erano più lunghe del normale. Dieci punto sei metri. Una bella matassa non c'è che dire soprattutto in una pancia magra come la sua. Mi sono tolto il gusto di tirarle fuori e misurarle davanti a lei che mi guardava attonita. Piano, molto piano, un metro dopo l'altro come un lucido, viscido serpente dell'incubo. Ne avevi di merda dentro maledetta bastarda... diventerai ottimo concime.
Poi io e Rita abbiamo fatto a pezzi il corpo e ne abbiamo sepolto i resti nel giardino incolto dietro la casa. Nessuno la troverà mai lì. Semplicemente perchè nessuno verrà a mai a cercarla lì.
L'agente scelto Paola M. , poliziotta in forza al commissariato di zona, ovest, MIlano è semplicemente... persona irreperibile. Punto e basta.
- Giulioi! - la voce dell'orso. Mi strappa violentemente dai pensieri del mio incubo privato.
- Professore. - Oliva, con il vassoio in mano. Si siede davanti a me.
- Sarai contento della notizia - Oliva addenta il primo grosso boccone di gnocchi al sugo di pomodoro.
- Quale notizia.
- Ma come Giulio, non dirmi che Santini, il magistrato non ti ha informato!
- Informato di cosa? - Oliva adesso ha la mia attenzione.
- Ma come Giulio non lo sai? - un altro grosso boccone di gnocchi. Troppo grosso anche per delle fauci come le sue.
Scuoto semplicemente la testa. - No, non lo so.
- Lo hanno preso cazzo, l'assassino di tuo fratello e tuo nipote!
Ho come un capogiro. Mi sembra di sbandare pericolosamente anche se sono seduto.
- L'assassino di... ma di chi parli Oliva? - per la prima volta non l'ho chiamato Professore
Lui continua imperterrito, con la bocca piena di gnocchi, troppo eccitato dal fatto di essere il primo a comunicarmi la grande notizia.
- Ma sì, Santini lo ha appena detto in conferenza stampa. È stato il compagno della sua ex moglie. Pare che il movente fosse che tuo fratello volesse intestare tutta l'azienda e le altre proprietà al figlio capisci, la moglie in quanto ex avrebbe visto solo le briciole. Pare che sia spuntato fuori un testimone. Uno che ha visto tutto. Un cingalese che andava lì a fare le pulizie la mattina presto e aveva tenuto la bocca chiusa fino ad ora perchè è un irregolare. Comunque il tipo ha già confessato. È già a San Vittore - lunga sorsata di acqua a mandar giù gnocchi troppo collosi - ma non è tutto.
Il vortice aumenta. Devo appoggiarmi al tavolo.
Oliva mi guarda. - Giulio stai bene? - e poi continua, non è ancora finita - pare anche che tuo fratello fosse ricattato da una poliziotta e infatti questo nei primi tempi ha complicato le indagini, ma poi la tipa, la sbirra intendo è risultata del tutto estranea con la morte di tuo fratello. Comunque adesso stà stronza pare che sia scomparsa dalla circolazione. Avrà pensato bene di cambiare aria sai com'è ahah... e insomma... Giulio ma che hai... tu non stai bene... oh... ma che fai stai per sveni...
Epilogo
Bianco.
Non solo il soffitto. Anche le pareti.
Bianco sporco però. Come le piastrelle del pavimento. Una macchia scura in un angolo. Maleodorante. Potrebbe essere vomito. Sicuramente non è urina. Quella, l'urina è impregnata sui pantaloni. Ormai secca. da troppo tempo.
C'è un vetro in fondo alla stanza vuota. È un vetro a specchio, uno di quelli che permettono di vedere in una sola direzione. Dal fuori al dentro.
Due uomini dietro il vetro a specchio. Guardano un altro uomo dentro la stanza, seduto in un angolo. Tra chiazze di vomito e piscio dissecato. L'uomo ha la barba lunga, incolta. I capelli unti appiccicati alla fronte. Croste di sporcizia sulla sua faccia. L'uomo è scalzo, e oltre ai pantaloni pisciati indossa una giacca che gli tiene le braccia incrociate davanti. La giacca, sporca anch'essa di bava giallastra e vomito secco ha delle fibbie sulla schiena.
Camicia di forza. Prevenire gesti di autolesionismo.
Ospedale psichiatrico di Mombello, Limbiate, periferia nord di Milano.
Settore riservato a pazienti potenzialmente pericolosi o incurabili. Settore a elevata sorveglianza visiva e monitoraggio h24.
- Da quanto tempo è così dottor Saudelli. - L'uomo che domanda ha la mole di un orso.
- Da quando è arrivato, circa due settimane fa. Da allora lo abbiamo sottoposto ad ogni genere di indagine ma, nessun risultato. È ridotto a un vegetale. - Dottor Saudelli, primario del reparto di Psichiatria, uno in gamba. Uno che conosce bene gli abissi della mente umana.
L'uomo con la mole dell'orso guarda l'uomo in camicia di forza, seduto in un angolo di quella cella. O di quella tomba color bianco sporco. Punti di vista.
L'uomo con la camicia di forza ha, aveva? un nome. Dottor Giulio Vanzetti, medico chirurgo.
- C'è qualche speranza che possa...?
Saudelli scuote la testa.
- Nessuna speranza professor Oliva, nessuna speranza.
Fine
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