C'è un angolo di universo in cui siamo stati soli.
Dopo molti anni, da un cassetto della memoria, riaffiora lei, Anna. Una donna sola, impaurita, forse disperata... e poi, felice, raggiante.
Erano i primi anni di università e abitavo in un monolocale al centro, ricavato da un enorme appartamento. Ai lati di un lungo corridoio avevano affittato una decina di miniappartamenti abitati per lo più da studenti. Ai piani superiori c'era una scuola media con relative campanelle e fracasso di ricreazione. Poi si venne a sapere di qualche prostituta per l'andirivieni di uomini circospetti.
Anna occupava il bilocale che si trovava vicino all'ingresso principale. Era una ragazza di ventisette anni dai lunghi capelli neri, incinta. Originaria del sud della Puglia, si era trasferita in Sicilia (a suo dire) per amore: il suo uomo era un carabiniere che faceva servizio in un paese vicino. Stava quasi alla fine della gravidanza ma continuava a fumare e a tessere le lodi del suo fantomatico uomo.
Un giorno suonò alla porta chiedendo aiuto, stava per partorire. Mi disse che il padre del bambino era fuori sede, la aiutai a scendere giù e ci dirigemmo verso un taxi. Il taxista era un uomo massiccio sulla cinquantina, con folti baffi e un'espressione incattivita sul volto. Gli chiesi di aiutare la donna, di portarla all'ospedale ma lui non voleva saperne. Voleva che pagassi il taxi anticipatamente e che lo accompagnassi. Ricordo il mio sdegno nei confronti di quell'uomo così stronzo e avido. All'ospedale gli chiesi di attendere per il mio ritorno e gli consegnai ventimila lire. Dopo le formalità di rito, mi fu domandato se fossi il padre del nascituro ma risposi di no. Il padre non c'era e non ci sarebbe mai stato.
Al ritorno, il taxista, parlando un dialetto molto stretto, mi disse che Anna era una prostituta, che l'aveva visto spesso bazzicare nella piazza con i clienti, che io ero solo un "picciuttieddu" ingenuo e con poca esperienza della vita. Aggiunse che avrei dovuto farmi i fatti miei. Sai quante storie potrei raccontare, che alla fine non mi hanno pagato? (sempre in quel dialetto splendido e feroce). C'era una parte di me che capiva quel che stava cercando di dire, ma un'altra parte lo disprezzava senza assoluzione alcuna. In fondo, il taxista era parte di un sistema consolidato, uscire da quel meccanismo avrebbe significato tradire se stesso.
Dopo qualche settimana rividi Anna con la dolcissima Valentina, mi consegnò le ventimila lire e un'espressione di gratitudine che ancora oggi conservo nel cuore.