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A tutti i miei sbagli
<Non è possibile! Non è vero!> continuavo ad urlare, a ripetere quelle parole, a piangere e mi stringevo la pancia.
Mia madre era seduta accanto a me pervasa da una strana calma. Mi vedevo strillare come se quella non fossi io, in preda alla disperazione, eppure sentivo dentro di me che c'era qualcosa di anormale, qualcosa di sbagliato. Lei ad esempio, non è una donna che si possa definire calma e pacata, in una situazione del genere avrebbe iniziato a darmi contro, a sgridarmi ed insultarmi, eppure mi stavo appoggiando a lei nonostante non avessimo un bel rapporto.
<Non so come sia potuto accadere! È impossibile ti dico!> mi alzo in piedi di scatto e anche lei fa lo stesso. Cammino avanti e indietro per il salotto, e ancora c'è qualcosa che non quadra, lo sento. Esco fuori in terrazzo, il cielo è coperto da qualche nuvolone e spero veramente che inizi a piovere, tutto questo è surreale.
<Non posso essere incinta!> grido ancora mentre torno dentro la stanza, mia madre tiene in mano un test di gravidanza, le vado incontro e lo afferro, lei non dice niente. Lo guardo, due linee rosa, è positivo. Lo lancio con rabbia verso il mobile del salotto e colpisco il televisore. "Ma non dovrebbe stare lì" penso. Mi fermo di scatto e mi guardo attorno, l'arredamento è lo stesso che avevamo dieci anni fa, prima che scoprissi cosa fosse il sesso, e molto prima di sapere cosa comportasse.
<Questo è un incubo> torno a sedermi e mia madre è lì <Alice, andrà tutto bene>.
<No che andrà bene! Sono incinta! E non so come sia potuto accadere!>
Ricomincio a piangere e poco dopo mio padre entra dalla porta. <Che succede?>
Non glielo posso dire, non posso dirgli che sono incinta! Non posso fargli questo! Lui che mi crede ancora la sua bambina, che vede in me qualcosa di speciale, non voglio dargli questo dispiacere. Incomincio a correre per la casa e lui furioso mi segue.
Apro la porta e scendo le scale di corsa, vado verso il garage ed esco fuori in cortile, piango ancora e urlo di non seguirmi, di lasciarmi stare, ma lui non si arrende.
Vado verso il giardino ma sono stanca di scappare, tanto prima o poi lo verrà a sapere. Salgo di nuovo le scale, torno in casa e mi lascio cadere sul divano. <Papà, sono incita> gli dico, con il viso bagnato dalle lacrime, gli occhi rossi e la mano stretta sulla pancia. Lui è in piedi davanti a me e mi fa la domanda da cui stavo scappando, e io non voglio dargli quella risposta che gli spezzerà il cuore.
<Chi è il padre?> mi chiede.
<È questo il punto, non lo so! Non è possibile! Sono passati mesi, è impossibile!> ricomincio ad urlare, non voglio, non è giusto, non può accadere a me!
Lo scenario cambia all'improvviso, mi vedo ancora lì seduta su quel divano marrone che abbiamo venduto molti anni fa, e quei mobili che non dovrebbero essere dove stanno, ma scorgo qualche immagine diversa, e vedo lui.
Il mio primo amore, un ragazzo straniero, un colpo di fulmine finito con il mio cuore spezzato, sfoglio i ricordi come se fossero le pagine di un libro e mi dico <Lui non può essere, ero troppo ingenua ed innocente all'epoca>.
Il capitolo cambia, la mia prima volta, quel ragazzo più piccolo di me che credevo di amare e invece ero solo fragile e ho solo lasciato che mi distruggesse, quella storia che mi ha fatto perdere il controllo. La prima volta che ho fatto l'amore. <Non è lui, è stato molto tempo fa>
Volto pagina e sono passati degli anni, mi ritrovo quei due ragazzi dai nomi impronunciabili, con uno ci sono solo uscita, quindi è già scartato, ma il secondo non ne sono così sicura. L'ho conosciuto quando tutti mi dicevano "Ma cosa vuoi che sia, divertiti" e così ho fatto, ho messo a tacere la vocina nella mia testa che mi diceva di non farlo, che era sbagliato, e mi sono solo divertita <Ma non può essere, non siamo mai andati fino infondo> e mi ripeto ancora <È impossibile > eppure sento che non ne sono così sicura, sebbene sia successo quasi un anno fa, inizio a pensare che sia lui il padre di mio figlio e la cosa mi fa disperare ancora di più e mi sento addosso tutto lo schifo che mi porto dentro da allora.
<Prendiamo un altro test, è impossibile ti dico mamma!> ritorno in me, guardo mia madre e continuo ad urlarle contro le stesse parole. La vedo andarsene senza dire niente e tornare con un nuovo test di gravidanza. Apro la scatola, è quello che segna pure le settimane, quindi sicuramente è molto più affidabile e mi darà ragione. Sento un leggero sollievo a pensarlo, lo provo, guardo il responso e finisco con le ginocchia a terra, ricomincio a piangere.
<È vero sono incinta, di tre settimane> fisso la poltrona, davanti a me, è quella dove da piccola mi facevano le foto per i parenti, e il pensiero che metterò lì mio figlio, di cui non so chi sia il padre, mi fa vomitare. <Com'è potuto succedere?!>
Il mio pensiero poi va a lui, l'ultimo ragazzo con cui sono uscita, Davide, da lui volevo solo sesso, volevo provare a farlo senza farmi trasportare dai sentimenti, volevo che mi insegnasse qualcosa, desideravo lasciarmi andare, senza problemi e invece avevo iniziato a provare qualcosa per lui <Ma anche con lui alla fine, non sono andata fino infondo, l'ho voluto più che con tutti gli altri, ma non c'è stato mai il momento giusto>
All'idea che potesse essere lui il padre, aggiunse la vergogna alla disperazione. <Ha la ragazza, non posso fargli questo, finirebbe per odiarmi> stavo impazzendo. <Come ho potuto farmi questo!>
<Mamma, io non lo voglio, non voglio questo bambino!> Mi alzo in piedi e l'afferro per le spalle gridandole contro tutta la mia angoscia. <So cosa fare! Non dico niente a nessuno e fermo tutto, lo posso fare, posso fermare tutto!> vedevo mia madre annuire, e vedevo quella ragazza che si è sempre creduta forte e in grado di poter controllare tutto sprofondare nel suo tormento.
Ad un certo punto quella ragazza si volta, mi fissa ed è come se mi stessi guardando allo specchio <Svegliati! È un incubo ti prego svegliati!> imploravo urlandomi contro.
Il cuore mi batte a mille, ora mi trovo sul mio letto, rannicchiata su me stessa in posizione fetale, apro gli occhi e cerco di ritrovare un respiro regolare, attorno a me tutto sembra essere al proprio posto. Mi siedo sul letto e sono sollevata di sapere che sono nella mia stanza, con i mobili nuovi che ho comprato da pochi mesi.
"È domenica, non esco con un ragazzo da un po' e i bambini non nascono così all'improvviso" penso, come se dovessi darmi una conferma. Faccio un bel respiro, eppure dentro di me non sono serena. Prendo in mano il telefono e racconto tutto alla mia migliore amica.
Sento l'amarezza dentro di me, di tutte le volte che ho fatto qualcosa senza volerlo veramente, di quei ragazzi con cui sono uscita perché volevo fare quello che facevano e mi dicevano gli altri, divertirmi, di tutte le volte che non ho pensato alle conseguenze e di quei momenti in cui ho dovuto fare i conti con me stessa per questo.
Io non sono così, ripeto nella mia testa, a me non piace fare le cose tanto per fare, non è nella mia natura fare sesso per divertimento, uscire con ragazzi che nemmeno mi piacciono per non sentirmi dire "sei una suora", non sono io questa ragazza che ho provato ed essere negli ultimi due anni.
Ho ancora il telefono tra le mani e mando un altro messaggio alla mia amica:
"Ho rivissuto tutti quei momenti, tutte quelle storielle, quei falsi amori, tutte le cose che ho fatto e soprattutto con chi! E non mi è piaciuto. La prossima volta che troverò qualcuno che mi piace non userò il sesso per tenermelo, non farò più cose che non voglio fare, non mi interessa se mi daranno della "suora" o mi diranno "che male c'è, la vita è una sola tanto vale godersela". Perché, alla fine toccherà a me fare i conti con me stessa, ed è su me che ho lavorato per anni, e non su quello che gli altri pensano di me. Moltissime volte quello che ho fatto non lo volevo. Pensa a Davide, ha la ragazza, ed è vero, non mi sono mai fatta questo tipo di problemi, ma non è la cosa giusta. Io sono mentalmente convinta di dover fare la cosa giusta, poi che faccio sempre quella sbagliata è un altro discorso, ma alla fine non devo rendere conto agli altri delle mie scelte, pago io le conseguenze, i sensi di colpa, la vergogna, l'umiliazione, tutto lo schifo me lo porto dentro io.
Così ho deciso di amarmi un po' di più, di non ascoltare gli altri, ma solo il mio cuore."
Mi alzo dal letto e vado verso la cucina, passo davanti al salotto e sono felice nel vedere che la stanza è ancora quella di ieri.
Il telefono squilla, leggo il messaggio e sorrido, mi ci voleva, quel sogno, questo nuovo pensiero e quel "Che bello sentirtelo dire."
Preparo la colazione e me lo dico pure io sorridendo <Che bello sentirmelo dire.>
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