Oggi ho sentito un prete parlare di libero arbitrio, ci ho pensato, ci ho riflettuto, e sono sempre più convinto che ogni concetto religioso di libero arbitrio sia impossibile. Se consideriamo, infatti, il libero arbitrio nella religione cristiana, come il dono divino consegnato agli uomini per determinare, poi, nel giudizio finale, chi avrà scelto Dio e chi l'Inferno, il quadro non regge. Non regge perché se ci fosse, invero, una libertà di scelta atta a determinare chi ha vissuto nel giusto e chi no, questa libertà dovrebbe essere equa e identica per ogni uomo (stando all'idea della ricompensa ultraterrena giusta di un Dio giusto). Dunque non esisterebbe la varietà. Mi spiego: che libertà ha un uomo nato morto? È un uomo, non lo è? E un uomo nato paraplegico, come farà a esercitare il proprio diritto nella vita? E chi vive novant'anni, non sarà più portato a sbagliare di chi ne vive venti? E le differenze fisiologiche? D'intelligenza? Di carattere? E i geni? Degli studi recenti hanno provato che se hai tra i tuoi avi più vicini un criminale, allora ci sarà maggiore possibilità che possa diventare anche tu un criminale. La libertà intesa come libertà di scelta, cioè scegliere tra il Bene e il Male, è, in realtà, contaminata da altri infiniti fattori, che spostano il discorso sul concetto atavico, e ben più verosimile, secondo me (credendo all'esistenza di una qualche possibile deità), di predestinazione. È impensabile, dunque, a mio parere, credere al concetto di libero arbitrio, partendo dall'idea di un Dio giusto e buono, perché è il fato, in realtà (destino, fortuna, dategli il nome che volete), a determinare, in molti casi sin dagli albori, una buona fetta della vita di ogni individuo. Scusate per lo sproloquio, ma c'avevo questo prurito, oggi.