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La luce
Oscar leggeva e mentre leggeva si convinceva sempre di più che stava sprecando il suo tempo. Quello che aveva in mano non era un libro, ma un fascio di carta straccia. Non conteneva dei racconti, ma i deliri di menti malate, gli sproloqui di voci che non avevano niente da dire e da raccontare.
Continuò a far scorrere lo sguardo sulle pagine e considerò che se avesse registrato le idiozie che sparava quando era ubriaco o drogato e le avesse messe nero su bianco con ogni probabilità avrebbe ottenuto un risultato migliore.
Non ne poteva più.
Lesse il nome del tizio che aveva curato l'antologia di racconti, lo insultò silenziosamente, poi distolse gli occhi dal libro e guardò fuori dalla finestra. Dopo settimane di nebbia e maltempo, il sole era tornato ad accarezzare il profilo delle montagne.
Fu allora che accadde.
Oscar scrutò la luce dorata che si espandeva nel cielo terso e la sentì farsi strada lungo gli oscuri corridoi della sua mente. La sentì scacciare le tenebre e colmare ogni spazio di una nuova e confortante consapevolezza.
Mollò il libro e uscì di casa.
Un'ora dopo Oscar era su un treno in partenza per Roma. Sul volto aveva un'espressione ferma ed impassibile, negli occhi una luce viva e sfolgorante che sembrava destinata a non spegnersi mai. Era come rinato. La visione del sole che splendeva nel cielo invernale lo aveva fatto risorgere, liberandolo di colpo dal buio profondo che lo aveva circondato. Anni di lavori occasionali, di espedienti architettati per sopravvivere, di giorni e notti trascorsi a comporre, imbustare e spedire i suoi manoscritti gli avevano ottenebrato la mente e lo spirito senza che nemmeno se ne accorgesse. Ma adesso era finita. Adesso la luce era tornata per illuminare i suoi passi e mostrargli la via. Adesso sapeva quello che doveva fare.
Entrò in uno scompartimento mezzo vuoto e si accomodò accanto ad una ragazza e ad una vecchia che sedevano una di fronte all'altra ed osservavano distrattamente le persone che affollavano il binario. Quando il treno si mosse, la ragazza spostò lo sguardo verso di lui e gli sorrise. Doveva essere in vena di fare conversazione perché quasi subito ruppe il silenzio e gli chiese se era diretto a Roma.
"Si," le disse Oscar.
"Ci vai in vacanza?"
"Non proprio..."
"Allora ci vai per lavoro."
"In un certo senso..."
La ragazza gli sorrise di nuovo. Aveva lunghi capelli lisci che le coprivano le spalle, un volto paffuto da bambina, occhi vispi e scintillanti e labbra sottili che si muovevano rapide. Doveva proprio essere una chiacchierona.
"E che lavoro devi fare a Roma?" chiese ammiccando.
"Devo fare pulizia."
"Pulizia? Che genere di pulizia?"
"Devo liberare la città da chi fa del male."
La ragazza continuò a sorridere, ma aggrottò leggermente la fronte.
"Cosa significa?" cinguettò. "Che sei una specie di giustiziere?"
"Se vuoi metterla così..."
Oscar la vide scoppiare a ridere.
"Ma dai!" la sentì dire. "Tu mi stai solo prendendo in giro!"
"Non ti sto affatto prendendo in giro," le disse con un filo di voce.
"Ah no?"
"Al contrario. Sono perfettamente serio. Mettiamo che qualcuno ti faccia del male. Tu cosa faresti? Come reagiresti?"
A quella domanda, la ragazza smise di colpo di sorridere. Sul suo volto calò un'ombra e l'espressione di gaia spensieratezza che lo aveva illuminato fino ad allora fu sostituita da una smorfia.
"Non lo so," mormorò. "Credo che chiederei aiuto a qualcuno..."
"Davvero?" commentò Oscar. "E credi che questo basterebbe? Credi che questo qualcuno potrebbe davvero difenderti?"
"Certo," rispose la ragazza, guardandolo con occhi improvvisamente scuri e penetranti.
"Allora è meglio fare un altro esempio. Se qualcuno prende una spranga e comincia a menarti colpi sulla testa, tu cosa fai? Chiedi aiuto a qualcun altro?"
A quelle parole, la vecchia, che fino a quel momento era rimasta immobile a guardare fuori da finestrino, ebbe come un sussulto. Scrutò prima Oscar e poi la ragazza, quindi, senza dire una parola, raccolse in fretta le sue cose ed uscì dallo scompartimento.
"Allora?" insistette Oscar. "Cosa faresti per difenderti dalle sprangate?"
La ragazza lo osservò con aria grave, deglutì lentamente come se dovesse mandare giù un boccone di cemento e poi disse:
"Credo che reagirei, che lotterei con tutte le mie forze. Io... Credo che mi incazzerei come una bestia..."
"Adesso ci siamo!" sbraitò Oscar con aria trionfante. "La paura non c'entra un cazzo. Se qualcuno ti fa del male, non serve a niente aver paura, non serve a niente chiedere aiuto, non serve a niente affidarsi agli altri. Quello che conta è la rabbia! La rabbia che ti sale nelle vene e si ingrossa fino a formare un fiume impetuoso! La rabbia che ti inonda la mente e le membra e ti consente di abbattere ogni ostacolo, di cancellare ogni sopruso, di porre fine a ogni ingiustizia!"
Di colpo si interruppe e sorrise calmo alla ragazza che lo fissava sgomenta.
"Capisci?" le chiese in un sussurro. "Il mio lavoro è questo. È arrabbiarmi con chi mi fa del male e farlo smettere con ogni mezzo. Ti è chiaro il concetto?"
La ragazza annuì impercettibilmente.
"Brava," le disse Oscar. "E adesso alzati e vattene, se vuoi. Tanto non sarò certo io a sfondarti la testa a colpi di spranga."
Roma era una città stupenda. Era ricca di storia, di monumenti e vestigia del passato, di opere d'arte, di chiese e palazzi sontuosi che ne impreziosivano le vie. Era abitata da gente allegra e cordiale, cosparsa di punti di svago e di ritrovo e baciata da un sole benefico che di sera affondava dietro i sette colli e dipingeva il cielo di una magica luce purpurea.
Eppure, al tempo stesso, Roma era un inferno. Da quando era arrivato in città, Oscar lo aveva imparato a proprie spese. Aveva vagato per i quartieri più infimi, per le periferie più squallide, consumandosi nel gelo notturno e languendo nel tenue chiarore delle giornate invernali. Aveva dimorato nelle stazioni, dormito sulle panchine e sotto i ponti, banchettato con gli avanzi delle immondizie. Si era abbandonato al crimine ed ai vizi, rubando e borseggiando per poi investire i suoi magri bottini in alcolici e droghe di ogni sorta e qualità. Infine, quando aveva realizzato che la luce nei suoi occhi stava per spegnersi, aveva raccolto un flacone di liquido sturalavandini abbandonato nel bel mezzo di una discarica e lo aveva mandato giù tutto di un fiato.
Ecco, aveva pensato mentre un dolore lancinante cominciava a infiammargli le budella, questa è la fine, la fine dei miei sogni di gloria e di riscatto, la fine dei miei deliri di grandezza e onnipotenza. La luce mi ha ingannato, mi ha condotto fin qui con la promessa della vita tanto agognata e poi si è spenta. Mi ha lasciato... di nuovo solo... dentro il buio...
Si era accasciato tra le immondizie ed aveva atteso la morte nel silenzio.
Ma la morte, inspiegabilmente, non arrivò. Passò accanto a quel corpo disteso nella discarica e lo sfiorò, ma anziché portarlo via con sé, gli lasciò in dono un potere inaspettato e tornò a dimorare nei bui anfratti del suo regno.
Quando Oscar si svegliò, la prima cosa che vide fu la luce abbacinante del sole che splendeva sul suo volto. Spalancò gli occhi e li affondò a lungo in quel bagliore capace di accecare qualsiasi sguardo, poi si scosse, si alzò e rimase immobile a scrutare il suo corpo con aria perplessa.
Non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Aveva ingoiato quasi un litro di liquido sturalavandini eppure, oltre a non essere morto, non avvertiva alcun malessere. Si sentiva solo un tantino appesantito, come se avesse bisogno di smaltire qualcosa di superfluo.
Si guardò intorno e notò che accanto a lui c'era un gabbiano che zampettava tra le immondizie in cerca di cibo. Ecco di cosa aveva bisogno per smaltire quel peso opprimente. Di un bersaglio. Un bersaglio qualsiasi.
Oscar abbassò gli occhi, li puntò sul pennuto e lo vide cominciare a contorcersi in preda a violenti spasmi e poi cadere a terra senza vita.
Sul suo volto fece capolino un sorriso. Si sentiva molto più leggero, adesso, ed aveva scoperto in che modo poteva servirsi del suo nuovo potere.
La luce era tornata. Una luce al tempo stesso vivida e letale che accompagnava i passi di Oscar e gli mostrava la via da percorrere. La luce era nei suoi occhi, ma anche dentro di lui. La sentiva scaturire dalle profondità del suo corpo e fuoriuscire come una cascata di acqua pura, indomita e scrosciante. Era la luce della rabbia che sconfigge la paura e abbatte ogni ostacolo, la luce che lava i soprusi e le ingiustizie. Era la luce del trionfo.
Oscar camminava per le vie di Roma con passo svelto e sicuro. Aveva abbandonato i bassifondi per riappropriarsi di quello che aveva sempre saputo essere il suo ambiente, un mondo fatto di agi, tranquillità e bellezza. Il tempo degli stenti era finito, finito il periodo in cui aveva conteso il cibo a topi e gabbiani e sperato ogni notte che il freddo, l'alcol e le droghe lo uccidessero. La luce e il potere erano con lui e non lo avrebbero mai più abbandonato. Adesso ne era certo. Dal buio e dalla morte era scaturito un nuovo ordine, un ordine di cui Oscar si sentiva ormai padrone assoluto ed indiscusso.
Quando arrivò alla sede della casa editrice, Oscar si fermò, cavò di tasca una piccola boccetta e la vuotò tutta d'un fiato. Poi controllò di avere con sé i documenti ed il coltello e senza indugio varcò la soglia e si avviò su per le scale.
Nell'anticamera del piccolo studio, la segretaria sedeva alla sua scrivania e lavorava al computer. Era lei, la stessa donna che qualche tempo prima, quando Oscar si era presentato per protestare contro l'editore che aveva pubblicato quell'oscena raccolta di racconti, lo aveva mandato via a male parole intimandogli di non farsi più vedere.
Quando lo riconobbe, la donna lo fulminò con lo sguardo ed accennò una smorfia spazientita.
"Ancora lei!" ringhiò. "Pensavo di essere stata abbastanza chiara, l'ultima volta che ci siamo visti!"
"Voglio vedere il suo principale," le disse Oscar con voce pacata. "Glielo chiedo per favore. Gli annunci che sono qui e che devo parlargli."
"Ma certo!" replicò la donna. "Se me lo chiede per favore, posso fare qualunque cosa per lei... Ma cosa crede?" abbaiò poi. "Crede che siamo qui a perdere tempo con gente come lei? Se ne vada una volta per tutte!"
"Senta," insistette Oscar, "glielo sto chiedendo per favore..."
"Per favore un corno!" sbraitò la donna di rimando. "Lei deve andarsene e non farsi più vedere!"
A quelle parole, Oscar, che fino a quel momento aveva tenuto lo sguardo fisso sul pavimento, perse la poca pazienza che gli era rimasta ed alzò gli occhi sulla sua interlocutrice. In quello stesso istante un dolore lancinante invase il ventre della donna, facendola piegare su sé stessa come un ramo spezzato. Oscar la osservò crollare a terra e contorcersi nel vano tentativo di calmare gli spasmi. Poi, proprio mentre la malcapitata perdeva conoscenza, un rombo simile a quello di una piccola eruzione ruppe il silenzio della stanza ed una macchia marrone prese ad espandersi sulla gonna color panna che la segretaria, quel giorno, aveva deciso di indossare.
Oscar la guardò immobilizzarsi sul pavimento ormai priva di sensi e si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto. Non c'era dubbio. Il potente lassativo che aveva scolato prima di varcare la soglia del portone funzionava davvero a meraviglia.
Mezz'ora dopo, Oscar era nel piccolo studio, seduto di fronte all'editore che aveva pubblicato la famigerata raccolta di racconti. L'uomo era visibilmente sconvolto, aveva lo sguardo stralunato e la fronte imperlata di una miriade di minuscole gocce di sudore.
"Allora?" gli chiese Oscar. "Le è piaciuta la mia storia?"
L'editore cominciò a balbettare.
"Io... Mi dispiace... Ma... credo di non aver sentito... si... di non aver sentito bene quello che lei mi ha appena raccontato..."
"Strano," ribattè Oscar. "Eppure è una storia semplice, lineare. Stia a sentire, gliela racconto di nuovo. Ma mi raccomando, questa volta faccia attenzione..."
"A Roma è una notte come tante altre. Sul cavalcavia di una stazione ferroviaria di periferia, tre energumeni hanno appena circondato una ragazza che incautamente si è avventurata da sola in quel luogo buio e deserto. È una ragazza giovane e bella, con un viso innocente da bambina e un corpo florido e flessuoso da donna matura.
I tre energumeni la guardano e si leccano di baffi al pensiero della delizia sopraffina che li attende. Ridono e sghignazzano come iene e poi le si gettano addosso. La immobilizzano, le tappano la bocca ed iniziano a spogliarla e ad appropriarsi del suo corpo come se fosse un cibo succulento in cui affondare le loro luride fauci. Le sfilano il cappotto, i jeans e la camicetta e per un po' la lasciano nuda a congelarsi e tremare. La guardano dimenarsi inutilmente e ridono, si scambiano biechi cenni di assenso, festeggiano. La paura che scaturisce da una creatura tanto tenera e indifesa è come nettare per le loro bocche assetate, quindi non c'è proprio alcuna ragione per affrettare il massacro.
Poi, quando le lacrime incominciano a sgorgare copiose sul volto della ragazza, uno dei tre energumeni si fa avanti ed inizia a leccargliele via dalla faccia e a tastarne il sapore salato. Pochi giorni prima, mentre era seduto sul divano accanto ai suoi genitori, ha appreso dalla televisione che le lacrime hanno un gusto ed una composizione chimica che variano secondo l'emozione che le suscita. Adesso vuole scoprire se è vero, quindi lecca, manda giù avidamente e intanto infila la mano tra le gambe della ragazza ed inizia ad esplorare il suo gelido sesso. Lei cerca invano di urlare, di dimenarsi, ma dopo un attimo capisce che è tutto inutile. I suoi carnefici sono troppo forti, troppo malvagi per lei. Non c'è niente che possa fare per fermarli, quindi non le resta che abbandonarsi al suo destino e sperare di restare viva.
Poi, proprio sul più bello, proprio quando i lettori hanno il corpo e la mente attraversati da un misto di disgusto e eccitazione, proprio in quel momento arrivo io, il protagonista assoluto della storia. Io che non sono un giustiziere, né un difensore dei deboli e degli indifesi, io che voglio solo scoprire se quello che credo di avere vissuto il giorno prima è successo per davvero.
Metto una mano sulla spalla dell'energumeno e lo faccio girare, lo guardo in faccia. È un ragazzo sui vent'anni, bene in carne e ben vestito, con gli occhi resi folli da chissà quale droga. Mi spintona e mi dice di levarmi di torno, che quello che sta succedendo non sono affari miei. Mi chiama barbone, pezzo di merda e mi dice che farei meglio ad andare a lavarmi invece di interrompere la loro festa. Io non dico niente e faccio quello che devo fare. Scavalco la bassa recinzione che circonda il cavalcavia e quando sono dall'altra parte allungo una mano e tocco i fili che danno tensione alla ferrovia. Non sento niente, solo un brivido incandescente che mi attraversa tutto il corpo e poi si perde dentro il flusso della mia energia.
Quando ricompaio davanti a loro, i tre energumeni non ridono più. Si scambiano occhiate sbalordite e parlano concitatamente tra loro. Poi lo faccio. Alzo lo sguardo e lo punto sul ragazzo che poco prima mi ha insultato. Ormai so che non ha scampo e mentre lo vedo folgorato dalla scossa che lo trapassa come una lama incandescente non riesco a trattenere un brivido di puro piacere, perché io non sono morto ma lui si. Gli altri due energumeni mollano la ragazza e mi fissano con occhi gonfi di un terrore senza nome. Non hanno idea di chi io sia, di cosa sia. Sanno solo che se vogliono salvarsi devono scappare subito, senza perdere neanche un istante.
Dopo che si sono dileguati nel buio fitto della notte, mi chino sulla ragazza che non riesce a smettere di piangere e per un attimo mi perdo ad osservare le sue lacrime che adesso, ne sono certo, hanno il sapore intenso della vita che ritorna."
Oscar smise di parlare e rivolse all'editore un sorriso compiaciuto.
"È una bella storia, non trova? Se accettasse di pubblicarla, si potrebbe vendere bene."
L'uomo abbassò lo sguardo, si passò una mano sulla fronte sudata ed annuì lentamente.
"Ma la cosa straordinaria," continuò Oscar, "è che si tratta di una storia vera. Non l'ho inventata. È il resoconto fedele di quanto è successo questa notte. È questo che la rende diversa dai patetici racconti che lei è solito pubblicare. Questa storia, per quanto amara e sconvolgente, è frutto della realtà che ci circonda. Non si tratta del delirio di una mente contorta, ma di una vicenda di vita vissuta."
A quelle parole, l'editore sgranò gli occhi in una smorfia di puro sbigottimento.
"Non è possibile," mormorò. "Non può essere una storia vera..."
"Certo che lo è," ribattè Oscar. "E se vuole glielo posso dimostrare."
Senza distogliere lo sguardo dal suo interlocutore, infilò una mano in tasca e tirò fuori il coltello.
"Mio dio!" blaterò l'editore. "Cosa diavolo ha intenzione di fare?"
"Adesso glielo mostro," disse Oscar, poi sollevò l'arma e con un gesto secco si trapassò il collo da parte a parte. Un fiotto di sangue denso e scuro schizzò zampillando dalla ferita. Ma fu solo un attimo, perché l'emorragia, quasi subito, si fermò.
Oscar, che per alcuni istanti era rimasto senza aria nei polmoni, riprese a respirare normalmente e mollò il manico del coltello, lasciando la lunga lama conficcata nella sua carne.
"Questo le può bastare?" chiese, senza alzare lo sguardo sull'editore. "Perché se non le basta posso mostrarle anche il resto..."
"No! La prego!" gracchiò l'uomo, fissandolo con occhi sbarrati. "Non lo faccia! Adesso le credo! Le credo! Mi dica cosa vuole e se posso la accontenterò. Ma la prego, non mi faccia del male!"
A quelle parole, Oscar tirò fuori il documento che aveva portato con sé e lo porse al suo interlocutore.
"Questo," gli disse, "è il contratto con cui lei mi cede la sua casa editrice ed ogni diritto ad essa connesso. L'ho fatto predisporre da un legale di mia fiducia e posso assicurarle che è perfettamente in regola. Ovviamente il prezzo pattuito nel contratto non le sarà mai corrisposto, ma sono certo che questo per lei rappresenta un particolare trascurabile se paragonato all'immenso privilegio che le faccio lasciandola in vita. Adesso firmi, se ne vada e non si azzardi mai a parlare con nessuno di ciò che ha visto e sentito questa sera. Dal momento che conosce il mio potere, sa benissimo di cosa sono capace..."
Quando l'editore se ne fu andato, Oscar si alzò ed uscì con calma dallo studio. Un insopportabile prurito gli tormentava la gola facendola suonare come una buffa trombetta ad ogni respiro. Ma non se ne preoccupava, sapeva già come risolvere il problema.
La segretaria, ancora in preda agli spasmi della diarrea, si aggirava per l'anticamera come un'anima in pena. Appena lo vide, si voltò verso di lui e gli si avventò contro con il volto incattivito dalla rabbia.
"Maledetto bastardo!" urlò, un attimo prima che il suo collo venisse trafitto da una lama invisibile, poi crollò a terra e rimase immobile con il sangue che sgorgava copioso dalla vena giugulare.
"Peccato," mormorò Oscar, senza staccarle gli occhi di dosso. "Vorrà dire che dovrò cercarmi un'altra segretaria..."
Dopo aver presenziato al lancio de "La luce", il suo nuovo best seller, Oscar si ritirò nel suo studio e si mise ad ammirarne la raffinata copertina. Come tutti i suoi precedenti libri, era una raccolta di racconti dell'orrore, eppure c'era qualcosa che lo rendeva diverso dagli altri. Accanto ad un gran numero di storie ispirate alla realtà, questa volta avevano trovato spazio anche alcune composizioni di pura fantasia.
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