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Il cortile con gli incroci
Da tre anni consecutivi ormai accade che, pure qua, pure nel regno della frescura e delle piogge incessanti, sbarchi un sole extracomunitario, che porta con se un appiccicoso caldo, che si percepisce guardando l'aria che tremola salendo dall'asfalto bollente.
Sono praticamente in mutande su una molle sedia da giardino, incastrata tra il muro e la ringhiera del piccolo balcone di questa casa, che mi ostino di definire "provvisoria" ma che intanto mi ospita ormai da sette anni.
Ho una sigaretta accesa in mano e, come solo un incosciente viziato di tabacco come me può fare, aggiungo al soffoco dell'aria calda, quello del fumo che spedisco con impressionante masochistica dedizione giù per la gola sin dentro i polmoni, che sentitamente ringraziano.
Il cortile tra le case popolari è praticamente deserto.
Solo quattro ragazzotti appoggiati alle proprie moto sfidano la calura, confidando nella rachitica ombra donata loro dall'ancor più rachitico salice, che sta tra la fine del cortile e l'inizio della seconda delle cinque file di case di cui è costituito il rione.
Stanno lì, come in trance, con l'occhio paralizzato, ognuno a scrutare lo schermo del proprio cell, come se l'altro strano essere che sta li accanto non esistesse o... ancor peggio, come se dell'esistenza di quell'altro strano essere che sta li accanto non importasse minimamente
Capo leggermente reclinato, muti, faccia inespressiva... rigidi... pallidi... vuoti.
Almeno a me pare così.
Certo io sono abituato a rovistare nella mia memoria di ultracinquantenne e trovarvi cortili analoghi a questo, dove schiamazzavano decine e decine di ragazzi, tutti figli dell'età dell'oro italiano e del boom demografico, e dove il concetto di gioco solitario era legato unicamente a quello delle carte, che si praticava esclusivamente se venivi colto da qualche malattia infantile o da qualche strale materno che, comminandoti una punizione, ti condannava ad una temporanea solitudine, oppure associato a qualche pratica sessuale autonoma di cui, noi ragazzi degli anni sessanta si era, giocoforza, veri cultori.
Abbastanza chiaro quindi che io non possa comprendere e, conseguentemente, possa dare giudizi solo negativi, che trovano sostegno nella mia inadeguabilità a questo mondo profondamente mutato, ma se il progresso dell'umanità comprende quella roba lì, fatta di ragazzi ammalati di solitudine elettronica e intolleranza ai rapporti umani, mi viene da dire che non è poi un errore di pregiudizio aberrare la strada che la civiltà odierna sta intraprendendo.
Un velocipede improponibile spunta dal lato sinistro del fabbricato.
A bordo un piccolo troll bambino pedala come un forsennato, muovendo le gambette grassocce ad un ritmo pazzesco e che, nonostante l'impegno profuso, non riescono a imprimere alle minuscole ruote un numero di giri sufficiente a determinare una velocità commisurata all'energia sviluppata.
Il troll è una specie di orsacchiotto glabro, sprovvisto totalmente di collo.
Indossa una polo a righe orizzontali ed un paio di pantaloni rosso fragola che fanno a pugni con il giallo e verde della maglietta.
Effettua una curva al limite della stabilità che la risicata velocità del suo mezzo gli consente e, scorgendo in lontananza i tossicomani di hi-phon, ferma all'istante la corsa del suo biciclo, con l'utilizzo dei prodigiosi "freni a sandalo".
Uno dei due "freni" non regge la forza dell'attrito e, sfilandosi dal piede, si infila tra i raggi della ruota posteriore provocando un capitombolo multirotatorio.
Troll... rataplan!!!... bici... rataplan!!!... sandalo... ratataplan!!!... troll e bici... ratatataplan!!!... troll, bici e sandalo... ratataratatataplan!!!
Nessun morto... tossicomani inerti... Troll di nuovo in piedi.
Nascosto alla vista dei morti viventi dai cespugli dell'aiuola al centro del cortile, e ignaro della mia presenza, il Troll scorticato controlla che nessuno abbia notato il capitombolo.
Sa benissimo che, putacaso, uno zombie si dovesse ridestare, egli potrebbe incorrere nelle pratiche vessatorie che, nelle loro rare risalite dal mondo degli inferi virtuale, quegli zombie sono soliti mettere in atto con chi è più piccolo di loro.
Percorrendo raso raso i muri del perimetro del cortile, cosi come fanno i criceti quando li lasci sgattaiolare fuori dalla gabbia e, seguendo gli insegnamenti della memoria di specie, ben si guardano da percorrere in linea retta gli spazii aperti, e cercano invece riparo dalla vista degli ancestrali nemici alati, da qualsiasi asperità che il terreno metta a loro disposizione, il Troll si sposta sul lato opposto del piazzale proprio in coincidenza del''angolo del caseggiato che occulta alla mia vista la restante porzione di cortile.
Lo vedo sporgere la capoccia quadra oltre il bordo della costruzione e trasalire di gioia schietta.
Da oltre quell'angolo si comincia ad udir qualcosa, come un vociare indistinto di grida sovrapposte.
L'unica parola che si distingue è la più classica tra tutte quelle degli incontri.
-Ciao!! Ciao!!... Ciao!! Ciao!! ... CiaoCiao!!!.. CiaoCiaoCiaoCiao!!!-
Troppi ciao.
Il troll è come impazzito... salta come un grillo in festa... come preso nel vortice di una pizzica mista al ballo rimbalzante dei Wasai.
-Amici! Amici!... vinite a ciocare! Vinite, vinite!- urla, incurante delle regole dell'ortografia, il Troll invasato.
"Michele"! ... Ecco chi mi ricordava il piccolo troll!!!
Michele, il mio sgrammaticato amico d'infanzia, piovuto nell'alto Piemonte direttamente da Cerignola di Bari a seguito del padre, insieme a nonni, nonne, zii, cugini, e ad una mezza dozzina di fratelli e sorelle, per ritrovare la dignità del proprio lavoro in una delle numerose, anche se ormai evaporate, realtà industriali di quel Nord che, a quel tempo, prometteva progresso, prosperità e benessere all'altra metà d'Italia un po' meno fortunata e un bel po' meno predisposta a progredire.
Ecco dove già avevo visto quell'energia disarticolata, quella frenesia anatomicamente ignorante, che riusciva a far fare al corpo gesta atletiche percui quello stesso corpo non era stato progettato.
Un ignoranza motoria che non tenendo conto dell'oggettiva inadeguatezza di quel fisico da comodino roccocò, gli aveva poi permesso di giocare a calcio con me per anni, e pure con buoni risultati.
Il vociare dietro l'angolo ha una triplice origine che ora sfocia alla mia vista, riempiendo la desolazione del cortile.
Sono altri tre scoordinati gnomi o subumani con stature e corporature diseguali, quanto e più scombinate dei colori dei loro abiti.
Sono concentrato sul Troll tarantolato e, a malapena, mi accorgo che lo gnomo più alto è molto più scuro di quanto sia più alto rispetto agli altri due.
Tra la caduta multirotatoria e la migrazione stile roditore, ancora non sono riuscito a vedere la faccia del Troll pugliese, ma influenzato dal ricordo di Michele, già me la sono disegnata nella mente.
Fronte bassa, naso curvo, occhi a palla, sovrastati da un monocilio continuo tra orecchio e orecchio, dalle proporzioni di una spazzola per termosifoni... tale e quale a Michele.
E invece no...
Mentre il troll che pensavo pugliese si accoda, chiassoso e festante, ai tre gnomi appena giunti nel assolato cortile, mi rivolge la sua faccia e, anche se la fronte è bassa come predetto, il naso non è certo aquilino e, soprattutto il monocilio, sebbene presente e dell'entità prevista, non sovrasta due occhi a palla ma bensì due occhi a mandorla che con il viso di un troll pugliese non c'entrano assolutamente nulla.
-un Troll puglicinese!!- penso tra me e me, con stupefatta sorpresa - la massima espressione della società multietnica.-
Ora, riavutomi dallo stupore, posso dedicarmi alla contemplazione analitica dei tre nuovi venuti.
Mi accorgo, una volta di più, di come sia palese che io stia invecchiando e, nell'invecchiare aggiunga ormai, oltre alla normale tendenza alla presbiopia da invecchiamento, anche un accrescimento della miopia, per me congenita, che la gradazione delle lenti correttive di cui sono munito non hanno più la capacità di eliminare.
Adesso che però si sono avvicinati ulteriormente, almeno due degli gnomi prendono sembianze e nomi a me già noti.
Uno, quello che spinge una bella bicicletta nuova fiammante, è Pietro, il figlio del mio amico meccanico e l'altro, con il pallone sottobraccio e che cammina un poco ingobbito è Emil, il piccolo Rumeno, discendente diretto della dinastia dei nobili muratori di Bran che si sono occupati, tempo fa, di riassettare le mura perimetrali della mia eternamente provvisoria magione, ma che, secondo me, vanta anche una probabile affinità dinastica con il retaggio del conte Vlad, visto che sin da piccolo è risultato essere di indole abbastanza aggressiva e con una tendenza ad assestare morsi di genetica chiara discendenza.
Lo gnomo gigante, eccessivamente alto ed eccesivamente scuro, per essere propio come uno gnomo che si rispetti dovrebbe essere, non lo conosco, ma, di certo, visto che parla un italiano perfetto, sicuramente migliore sia di quello del troll puglicinese che del mio italianissimo amico Michele, deve essere un figlio di seconda, se non terza generazione, di quei primi ardimentosi navigatori di bagnarole che, come novelli Colombo, traversarono il mare alla scoperta di un nuovo mondo, per accorgersi poi, come peraltro successe anche al nostro celebrato navigante compatriota, di aver probabilmente sbagliato rotta, andando a naufragare sulle sponde e nel caos sociale di un impreparato nuovo terzo mondo.
Certo, non ci aspettavamo che arrivassero, e che colpa ne abbiamo noi se hanno sbagliato rotta e tempo in cui hanno deciso di migrare?
Daltronde si sa che i neri non sono dei gran navigatori, e hanno un senso dello scorrere del tempo un po' naif, ma persino gli gnu che non brillano certo per perspicacia, riescono con esattezza a determinare il periodo corretto per la loro migrazione di massa.
Quando è toccato a noi partire, sapevamo bene dove andare e quando convenisse andarci.
Lasciamo perdere se poi abbiamo avuto i nostri problemi ad inserirci.
Orgogliosamente abbiamo saputo reagire, creando noi stessi problemi, altrettanto grossi, alla nuova patria che ci accoglieva, insomma... non ci siamo fatti mancare propio nulla e, alla fine, in quel nuovo mondo, quello vero, ci siamo sistemati alla grande.
Se questi qua fossero venuti cinquantanni fa, non ce ne saremmo neanche accorti.
Beh... forse ce ne saremmo accorti... forse ho esagerato... noi, al tempo della nostra migrazione, dopo un periodo di assestamento, in cui svelavamo al resto della popolazione la nostra italica provenienza, più che per le caratteristiche fisiche e somatiche, per la pronuncia, diciamo maccheronica, del nostro inglese e, soprattutto, per le nostre inconfondibili abitudini socioalimentari, siamo riusciti a mimetizzarci meglio, ed ora quasi non si nota più la minima differenza, ma "questi"... beh... questi li noti un po' di più... non fosse altro per l'abbronzatura eccessiva, ottenuta senza l'aiuto di creme o lampade solari, e ci sarebbero voluti almeno questi interi ultimi cinquantanni di mescolanza e avvinamento genetico per portare la generazione dello gnomo di cui stiamo parlando ad un grado di tonalità che gli consentisse di non spiccare come una mosca in mezzo al latte degli altri tre.
Però, in quel periodo, non avremmo certo avuto difficoltà a sistemarli.
Che problemi avremmo avuto a trovare qualche decina di migliaia di posti di lavoro, e a fornir loro qualche alloggio popolare in qualche orribile palazzone di qualche rione suburbano, che abbiamo sapientemente e antiesteticamente cementificato, per consentir loro di intraprendere la stessa nostra vita di dignitosa mediocrità, come avremmo dovuto avere il sacrosanto dovere di offrirgli?
Così, a quest'ora, si sarebbero già perfettamente integrati e, insieme a noi, si sarebbero goduti i benefici del nostro progresso sociale di questo ultimo cinquantennio, che ci ha permesso di passare con successo, dall'andarsene in pensione dopo diciasette anni sei mesi e un giorno di lavoro, ad una più socialmente etica e psicofisicamente consona età pensionabile, oltre la soglia dei settantanni.
Altro che gli Gnu... noi italiani si che la sappiamo lunga.
Lo gnomo vampiro pianta una vigorosa pacca sulla spalla del troll puglicinese e gli chiede:
- Ciao, Ciao. Vuoi giocare a pallone, Ciao?... però, Ciao, facciamo che le squadre sono io e Kunta contro te e Pietro, ci stai Ciao?-
Ancora troppi Ciao...
Ho un'illuminazione...-vuoi vedere che il Puglicinese di nome fa Ciao?-
Il dubbio me lo toglie Pietro che, visibilmente alterato, interviene dicendo:
- Col cacchio!... ti piace vincere facile. Facciamo Io e Kunta contro te e Ciao, o me ne vado a fare un giro con la mia nuova bici- li minaccia mentre, per avvalorare il suo spauracchio, monta in sella al velocipede rosso metallizzato.
- Per me va bene- sottoscrive Ciao
Anche Kunta da il suo assenso, annuendo col suo capo ipertricuto che sovrasta di 20 cm buoni quello di tutti gli altri.
Il "si" rassegnato, accompagnato da uno sconsolato movimento ad allargare delle braccia mentre squadra Ciao, con cui Emil avvalla la conclusione delle trattative, decreta la fine del calciomercato e l'inizio della partita.
Il campo delineato è leggermente assimetrico, un po' più largo dalla parte dove si difende la squadra di Ciao, e di ampiezza seccamente ridotta dall'angolo retto di un caseggiato, dalla parte della porta di Kunta.
La definizione della larghezza delle porte lascia un po' a desiderare, perchè una va dalla bicicletta che Pietro ha cavallettato vicino all'aiuola di centrocortile ad un sasso messo più o meno là, mentre l'altra sta tra un sasso messo più o meno lì, a quel che resta della bici di Ciao dopo il capitombolo di sandalesca causale
Il Calcio e Ciao sono due cose differenti... oserei dire agli antipodi.
Eppure, con la sua sconfinata eresia motoria, e con l'applicazione metodica ai compiti assegnati, tipica della razza dei Troll orientali, riesce a dare un sostanzioso contributo per portare dalla parte della sua risicata compagine l'esito del match.
Lo gnomo rumeno ha i piedi quadrati ma è di una ferocia agonistica che, sono pronto a scommettere, lo porterebbe senza esitazione a rifilare qualche calcione anche alla propria madre, se questa scendesse in campo al fianco dei suoi avversari.
Pietro ha qualche conoscienza calcistica in più, ed i piedi abbastanza educati, ma si limita a fare il compitino, badando bene di evitare di prendersi qualsiasi rischio, qualche calcione del pit bull carpatico e, cosa ancor più importante, cercando di allontanare con cura maniacale, l'insostenibile ipotesi di dover fare un po' di fatica, e che questa poi possa indurre il propio corpo a produrre quell'insopportabile sostanza chiamata sudore.
Lo strapotere fisico dello gnomo gigante nero che, per amor di brevità, d'ora in poi chiameremo inrispettosamente Kunta Kinte, potrebbe fare la differenza, anche perchè le capacità tecniche non sono neanche cosi malaccio, peccato che, un po' per indole congenita, un po' per la sopraggiunta assuefazione al modo di vivere dei giovani del bel paese, è pure lui refrattario alla parola impegno e, come una spugna, già per caratteristica genetica predisposta, ha assorbito dai suoi nuovi compatrioti i concetti di "tutto dovuto", " ce l'han tutti con me" e "fatica al minimo sindacale esercibile".
Si sa... si fan prima ad assorbire i vizi che le virtù, è sicuramente molto molto più comodo.
Fatto sta che, almeno per il momento, la squadra Troll puglicinese-gnomo transilvano, a discapito di qualità tecnico-fisiche nettamente inferiori, sta avendo la meglio sulla maleassortita, seppur teoricamente superiore, compagine Italosenegalese.
Dallo stesso angolo del caseggiato che pochi minuti prima aveva vomitato sul cortile tre dei quattro gnomi calciatori, spuntano ora altre due figure, che, sospetto subito, non si uniranno alla partita di calcio multietnico in corso.
Sono due ragazzette, di quell'età anagrafica che sta esattamente in mezzo tra quella dei quattro gnomi calciatori e quella degli zombie videosedati che ancora continuano imperterriti a drogarsi di videogames.
Una è la sorella di Kunta Kinte... o la cugina... la zia... la mamma... Boh??
No... la mamma sicuramente no... ma con gli acrobatici incroci riproduttivi, anche questi un po' naif, degli africani, le somiglianze fisionomiche e l'incapacità di noi europei a desumere l'età certa di queste nuove genti, non mi sentirei di escludere nessun altro legame di parentela, che peraltro, sicuramente c'è.
Fatto sta che la ragazza "merita".
Sia ben inteso... il mio è un giudizio asettico, basato sull'analisi delle caratteristiche oggettive in merito a struttura fisica e bellezza estetica, di una ragazzina che non potrebbe neanche più essere mia figlIa, ma al massimo, mia nipote.
Ma vi assicuro che la ragazza "merita", tanto è vero che persino uno degli zombie si è momentaneamente e parzialmente ridestato, ed è riuscito addirittuta a ruotare il capo per dare un'occhiata alla sorella... o alla zia di Kunta Kinte.
Comunque si chiama Safà, o almeno è così che l'ha chiamata l'altra ragazzina, mentre si accomodavano sulla panchina di legno macilento che sta nell'aiuola di centrocortile.
Lei invece si chiama Jessica, e con Safà centra ancora meno di quello che Ciao centra col calcio.
Biondina, di quel biondo smunto, fatto di capelli sciapi che non hanno vita.
Tarchiatella, con le spalle curve ed una silouette senza forme disegnate, con le caviglie grosse e i piedi troppo lunghi, che spuntano sotto a gambe grassottelle che disegnano una "X" di una tristezza anatomica deprimente.
Però ha un bel sorriso... ed è molto gentile.
Dev'essere anche molto simpatica, perchè tutti l'hanno salutata con piacere sincero.
Persino dalla zona d'oltretomba dove stanno gli zombie è giunto una specie di mugolio, che suonava un po' come un:
- H... iao... ssica...- che io ho interpretatto come un inaspettato sussulto di cortese educazione.
Le due ragazze sulla panchina confabulano tra loro, e quasi quasi riesco a decodificare tutte le singole parole che compongono i loro discorsi.
Sono discorsi da acerbe donnine, fatti di ragazzi che gli piacciono, e che hanno fatto questo, e che hanno detto quello... di quanto sia figo il cantante di quel gruppo, e di quanto sia da "figa" quel vestito, che sta in quella tal vetrina di quel tal negozio del centro città.
Insomma, i classici discorsi vacqui da preadolescenti confuse, che non hanno ancora ben chiaro che razza di donne intendano diventare, ma che, nell'attesa di questa decisione, hanno una fretta bulimica di immagazzinare tutti quei pensieri distorti e quei vizi femminili che le porteranno, prima che se ne accorgano, a divenire esattamente come quelle femmine che sarebbe meglio non diventassero.
Nel frattempo il caldo assassino, che insieme ai parenti di Kunta Kinte, deve aver deciso di trasferirsi dalle savane senegalesi alle prealpi piemontesi, miete le sue prime vittime tra gli sciagurati pedatori.
Pietro è terrorizzato, al punto da non riuscire più a muoversi.
Ha la faccia contratta in una smorfia di quella paura che sfiora il panico.
Ha sentito qualcosa scivolargli giù dalla fronte, e teme possa essere una goccia di sudore.
Così ha deciso di non muovere più un singolo muscolo, sinché qualcuno non si deciderà di venire a salvarlo.
Anche gli altri contendenti stanno agonizzando.
Ciao, ormai, più che giallo è di un bel color vermiglio, e gli occhi a mandorla si sono trasformati in qualcosa di simile alla fessura per le monete dei distributori automatici.
Emil, che non ha ancora perso la voglia di assestare qualche corroborante calcione allo sgusciante Kunta, con la scusante morale un po' stiracchiata che, alla fine del trattamento, all'avversario non rimarrebbero neanche i segni dei lividi, si trova però in quel punto oltre la resistenza fisica, dove ogni atleta perde la coordinazione, e, ormai, verga le sue proditorie scarpate completamente a casaccio nell'aria, senza riuscire nemmeno a sfiorare i polpacci di Kunta Kinte.
Kunta boccheggia... finta e boccheggia... evita un calcione e boccheggia... si innervosisce... e... boccheggia.
Si ricorda di colpo degli insegnamenti che quelli come lui hanno assimilato appena l'altro ieri dal nuovo mondo... e simula un rigore che non esiste, esibendosi in una esternazione dell'italico concetto del "tutto dovuto" e del "ce l'hanno tutti con me" di una perfezione lamentosa così realistica che, se già non l'avesse, gli darebbe istantaneo diritto alla cittadinanza onoraria.
Il lupo rumeno lo guarda in cagnesco e, schiumando rabbia, gli ringhia contro un:
- Non è rigore! Negro di merda.-
Ne nasce una specie di rissa a spintoni e a schizzi di sudore meschiato.
Il Troll vermiglio interviene a sedare lo scontro.
Pietro è ancora immobile, come... Pietrificato... e intende restarci.
La goccia di sudore non si è ancora asciugata e lo tiene sotto scacco.
- È rigore!- urla Kunta - Non l'ho neanche toccato.- replica Emil, mentre entrambi si volgono a implorare il conforto dell'opinione di Ciao.
Allora, il Troll puglicinese, da sfoggio di tutta la miglor filosofia buddista in possesso della sua razza, e conia un neologismo pacificatore.
- secondo me è un "quasi rigore".-
Grande Confucio!
Concettualmente smarriti, ma troppo stanchi per mettersi a discutere, i due rivali accettano il cervellotico giudizio.
Emil ringhia una specie di -OK— Kunta fa "Si" con la capoccia... e boccheggia.
Ciao si affretta a contabilizzare il "quasi rigore", assegnandogli il valore di mezzo goal.
Ora la partita ha il risultato parziale fissato su un punteggio surreale di 6 a 1, 5 a favore della compagine di Ciao.
Però, permalosi come nella peggiore delle idee preconcette che formano gli stereotipi che si hanno sulle loro razze, Emil e Kunta non hanno ancora deposto le armi, e continuano a minacciarsi a vicenda.
Io, allora, dall'alto della mia postazione sul balcone, e da quello dell'esperienza che mi sono fatto dopo trentanni da allenatore di calcio giovanile, so esattamente che quello è il momento giusto per far effettuare una pausa.
Tiro fuori dal frizer sei ghiaccioli che avevo stivato là per combattere la calura che, si sapeva, sarebbe arrivata, e con il mio proverbiale fischio di trapattionana memoria, impongo il time out, distribuendo ai quattro calciatori e alle donzelle in erba, quel che resta dei gelati che hanno già preso a squagliarsi.
Un "grazie" arriva... un poco sotto tono, magari a mezza voce... ma arriva e, oggi come oggi, è già qualcosa.
Le due donzelle hanno in loro qualcosa di strano... qualcosa di atipico.
Non capisco... o mi rifiuto di capire.
Da quando si sono sedute a chiacchierare non hanno ancora dato uno sguardo ai cell, che se ne stanno in inoperosa inerzia, poggiati su un qualcosa che, a sua volta, sta poggiato sulla panca mezza sverniciata.
- Dio mio!!- penso, trasalendo mentalmente - É un libro!... quello è propio un libro!!!-
Come se, con qualche modalità telecinetica a me ignota, lo stupore della mia scoperta fosse stato mentalmente trasmesso dal mio cervello sbigottito a quello di Safà, proprio in quell'istante la ragazza color Wenghé raccatta il tomo dalla panca e, rivolgendosi a Jessica, le dice:
- A proposito, Jessica... bello il libro che mi hai prestato. L'ho letto tutto d'un fiato, così te lo posso restituire prima che tu parta per le vacanze.-
- Ti è piaciuto allora?... tanto anche a me. Ma non c'era bisogno di fare così in fretta, perchè Io l'ho già letto un paio di volte, e potevi tenerlo fin quando non tornavo dalle ferie.- le risponde il gentile Troll femmina
- No no, non ho mica fatto fatica a leggerlo.- replica Safà - Anzi. Mi domandavo se per caso non ne avessi un altro da prestarmi. Però te lo potrei restituire solo a settembre quando rientrerò dal Senegal.-
- Ho giusto qua questo.- risponde Jessica, raccogliendo il libro che stava sotto il suo di cell- Questo è propio propio bello... anche meglio di quell'altro che hai gia letto, ed ho appena finito di leggerlo... se vuoi puoi tenerlo e restituirmelo quando torni.-
Intanto i quattro calciatori si sono un poco calmati, e se ne stanno seduti lì accanto sull'erba rinsecchita dell'aiuola, a sbocconcellare i ghiaccioli multicolori come e più del colore delle loro pelli.
Sembra premeditato:
Ciao, ha un ghiacciolo al limone.
Emil, al lampone, di un bel rosso sangue.
Pietro, all'anice azzurro, come la maglia della nazionale.
E Kunta Kinte?
Coca cola, scuro, color testa di moro...
Giuro... non l'ho fatto apposta.
Un poco scoordinato, come l'eccessiva lunghezza dei suoi arti gli impone, Kunta si volta sgraziatamente urtando la panca su cui stanno le ragazze e, nel cozzo, il suo ghiacciolo stramazza tra la polvere e le stoppie dell'aiuola.
Perduto...
Emil non fa manco una piega, e ci mette neanche un secondo... prende la sua metà del ghiacciolo che ancora gli restava da mangiare e, con il massimo della disinvoltura, lo offre a Kunta a risarcimento di quello andato perso.
Grande Giove!
All'improvviso il cielo sopra di noi si ricorda di essere quello dell'alto Piemonte, e non quello che normalmente se ne sta sopra i tetti di Dakar, così, con un colpo di scena teatrale, ci regala uno di quel'improvvisi temporali estivi tipici della zona, con tanto di vento furioso preannunciatore della bomba d'acqua, che dopo le prime rade goccia da mezzo litro l'una, sicuramente si scatenerà.
Le ragazze sono già in piedi, pronte a fuggire.
Uno zombie, ridestato dalla tregenda imminente, si è avvicinato a loro.
Tra le mani pallide gli è comparso un ombrello...
- Ragazze.- chiede, con una voce cupa e atona, propio propio da zombie.- Volete un passaggio sino a casa?-
Doppio, grande Giove!
- Grazie Marco, se non c'eri tu prendevamo una di quelle lavate. - rispode Jessica, mentre Safà si limita a sorridere senza dimenticarsi di aggiungerci un pizzico di malizia
Ciao e Pietro si sfidano ad una gara in bici per stimolarsi a vicenda a raggiungere casa prima che si scateni il nubifragio.
Persino Pietro non ci sta a farsi battere, e reagisce all'iniziale svantaggio con una pedalata al limite dello sforzo, che lo porta a tagliare per primo il traguardo dell'angolo del caseggiato che mi impedirà di valutare l'esito finale della corsa.
Potenza dell'orgoglio...
Il vento brutale che soffia strappi di polvere e squassa il salice, solleva in un mulinello le carte dei ghiaccioli, e li sparpaglia sull'asfalto che comincia a chiazzarsi in grossi aloni di pioggia.
Kunta solleva con fatica il suo corpo da troll nero gigante... fa due passi con le sue lunghe leve, raccatta le cartacce e le deposita nel cestino dei rifiuti, mentre se ne va chiacchierando con il suo amico arrivato sin lì dalla Romania.
Il cortile ora è veramente vuoto... il mio cuore non più.
Ora un poco di speranza ce la puoi trovare.
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