Chi potrebbe immaginare che nel profondo Veneto, dove l'estate é torrida e umida, malsana quasi, e l'inverno é rigido e nebbioso e la nebbia si cristallizza negli spogli rami degli alberi, ci sia un luogo, certo non notissimo, dove vivono animali in cattività che nulla hanno a spartire con questo territorio. Eppure é così. È quasi nascosto, questo luogo, in mezzo alla campagna e non ci sono case nelle vicinanze se non qualche rudere da anni abbandonato; una strada c'é, secondaria però, e da quella parte si accede a quel luogo, o si passa dritti senza neanche notarlo, a meno che il caso, e il vento, non porti all'orecchio dei rari passanti, gli strani e striduli versi di qualche esotico uccello o magari il ruggito di un leone.
Una specie di zoo vi si trova in questa località, che probabilmente un amico ha suggerito a coloro che vi si sono recati, e che indubbiamente incuriosisce, tanto da invogliare a visitarlo. Così anch'io, stupito, nel ricevere la notizia di questo zoo, e dei molti animali qui rinchiusi, e di tutte le specie, e di paesi lontani, ho pensato che avrei potuto vedere con i miei occhi, e nella realtà, quello che avevo visto stampato in libri e riviste, o nell'inconsistenza di una proiezione; contavo soprattutto di vedere la tigre, quella di certi versi di Borges, che i disegni nelle enciclopedie e quella reale vista dietro le sbarre di uno zoo, avevano ispirato. Non ho, né ho mai avuto, particolare interesse per gli animali, tantomeno per quelli esotici, ma un'impoderabile desiderio mi ha indotto a decidere di recarmi in questo zoo. (L'unica volta, nella mia abbastanza lunga vita)
Somiglia a una piccola fortezza, il davanti, con mura alte e robuste, e l'ampio parcheggio é ombreggiato da un gran numero di alberi che ne mimetizzano anche l'ingresso. Parimenti all'interno, alberi e piante di tutte le specie dominano il paesaggio e, fra di essi, i recinti dove stanno rinchiusi gli animali.
Quelli che ora mi interessano davvero, i felini, feroci e stupendi, sono situati nella zona centrale di quel vasto parco. Tralascio infatti, gettando loro un'occhiata distratta, gli uccelli tutti, le scimmie, due ippopotami in una pozza d'acqua marcia che fatica a contenerli, e altri ancora. Mi soffermo sui leoni, possenti e annoiati, guardano indifferenti gli spettatori che li osservano. Non delle sbarre dividono gli uni dagli altri, ma uno spesso e ampio vetro. Vedo la pantera nera, ha dei gialli occhi che fissano il cammino che incessantemente compie attorno a due alberi. Vedo degli agili leopardi che saettano il loro sguardo ferino intorno, forse a cercare una preda che non c'è, ma il mio di sguardo è la tigre che cerca. Vedo molta gente assieparsi attorno a una lunga e vasta vetrata. Guardano all'interno di un solido e ampio recinto dove degli alberi alti e frondosi oscurano la selva sottostante: immagino sia lì che si aggiri lenta la tigre agognata. Mi avvicino al lucido vetro che separa i nostri mondi, e prima di scorgerla, recito piano i versi di Borges che conosco a memoria:
"... forte, innocente, insanguinata e nuova
lei vagherà per la sua selva e il suo mattino
e traccerà le sue orme sul fangoso
margine di un fiume di cui ignora il nome.
(Nel suo mondo non ci sono nomi né passato
né futuro, solo un istante vero.)..."
Ed ecco, la vedo, sagoma di strisce gialle e nere nella penombra. Accovacciata e immobile, ha lo sguardo fisso davanti a sé, ignora tutto e tutti, né la distolgono dalla sua contemplazione (ma cosa contemplerà?) gli schiamazzi e le urla dei bambini che cercano di attirare la sua attenzione.
È magnifica, appare potente e maestosa, fatale, e non dubito di vedere la stessa tigre che vide Borges. Ora posso andarmene e mi avvio verso l'uscita,
Il destino aveva stabilito che quando gli occhi del vecchio poeta argentino non avrebbero potuto vedere che vaghe ombre, qualcuno, forse lettore dei suoi versi, gli avrebbe portato una tigre in carne e ossa, che lui avrebbe toccata e accarezzato il suo mantello, così infatti avvenne. Io non avrò questo privilegio.