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Nando e Michele
Nando si accese un'altra sigaretta. Tirò una boccata lunga e profonda.
Poi la gettò e la spense subito. Guardò a terra. Spostò i mozziconi con il piede e poi tornò a controllare ancora una volta l'orologio. Le otto e quaranta.
Era in ritardo. Cazzo!
Sentì dei passi sul selciato.
Si voltò e lo vide.
"Credevo che avessi cambiato idea".
"Ti confesso che ci ho pensato".
"Sei ancora in tempo".
"Sono qui".
Ed eccoli uno di fronte all'altro. Ancora una volta.
Nando e Michele. Due amici da sempre, due ragazzotti mai cresciuti che avevano ormai passato le quaranta primavere. Primavere che, a voler ben vedere, potremmo chiamare autunni se non addirittura inverni, spesi attraverso piccole ruberie e furtarelli, dall'infanzia nella periferia milanese fino all'ingresso nella banda di Aristide Nardelli, detto il Cinese, con compiti di bassa manovalanza. Troppo imbranati per impegni degni di fiducia. Troppo umani per scalare i vertici della banda.
Poi basta.
Da cinque anni avevano lasciato quell'ambiente ma, beh, ad una certa età è difficile reinventarsi un lavoro, una vita.
Michele ci aveva anche provato a mettere la testa a posto. Da un paio d'anni conviveva con Susanna, una giovane infermiera che si era inspiegabilmente innamorata di lui e alla quale aveva sempre taciuto i suoi poco rispettabili trascorsi.
Fu Nando il primo a cedere alla tentazione.
Dopo aver perso l'ennesimo lavoretto in nero tornò ad offrire i propri servigi alla corte del Cinese il quale, pur mostrando una sensibile compassione nei confronti dell'ex subalterno, declinò cortesemente l'offerta facendolo allontanare con poco tatto dai propri gorilla in modo da disincentivare qualsiasi ulteriore ripensamento da parte del povero Nando.
Da allora qualche cosina di poco conto. Piccole truffe, furtarelli. Routine.
"Sei sicuro che è tutto a posto?"
"Sì. Non ti preoccupare. Il rischio è minimo. Una passeggiata di salute".
Ma le entrate erano comunque poche ed i vizi molti. Troppi.
Le macchinette al bar. Le corse dei cavalli. Le donne. L'erba. Vizi che non fanno un gran bene né alla salute né al portafoglio.
"Entriamo, ci facciamo dare la cassa, ripuliamo i clienti e ce ne andiamo. In dieci minuti è tutto finito".
"Se lo dici tu".
Ed ecco l'idea. La svolta. Il colpo che ti può far respirare per un po'. Certo, Nando non è il Cinese, non ha una banda organizzata, quindi banche e trasporto valori sono colpi da non prendere neppure in considerazione. Però un negozio sì. E, ancora meglio di un negozio, un ristorante. Un ristorante di livello. Di quelli dalla cassa piena e dai clienti ingioiellati.
"Vigilanza non ne hanno?".
"No. Il Poretti è troppo tirchio per spendere soldi per queste sciocchezze. Si fida solo di se stesso".
Dopo qualche mese di ricerche la scelta cadde sul ristorante "Al Piatto D'Oro" di San Martino nella bassa milanese. Un ristorante classico, di tradizione lombarda, con clientela benestante e cassa sempre piena. Cassa che il signor Augusto Poretti, il proprietario, porta regolarmente in banca ogni lunedì mattina.
"E dici che la cassa è piena"
"Piena? Pienissima! Una settimana di incassi. Mezzogiorno e sera. Ti rendi conto? Come minimo ventimila ce li facciamo, puliti puliti. Senza contare portafogli e gioielli dei clienti. E il sabato sera è sempre pieno come un uovo".
E quindi eccoli qui. Nando. E Michele, che si è fatto convincere.
Non è stato semplice. Michele con il passato aveva chiuso. Definitivamente. La vita con Susanna gli piaceva. Si trovava bene. Non era sicuro di essere innamorato, ma poco importava. Stava bene. Ed era già molto. Un lavoro l'aveva. In un supermercato. Addetto al reintegro scaffali. Soprattutto turni notturni. Non era il massimo ma lo stipendio lo portava a casa. Stava proprio bene. O, almeno, così credeva.
"Allora d'accordo? Arriviamo in macchina fino al parcheggio. È buio, il Poretti risparmia persino sui lampioni. Sono rotti da mesi e non li ha ancora riparati. Nessuno ci vedrà. Lì indosseremo queste".
"Calze di nylon? Dobbiamo andare a ballare?"
"Per nascondere il volto, idiota!"
"Calze di nylon?"
"E cosa volevi? Le maschere degli ex presidenti?"
Perché? Perché accettare la proposta dell'amico Nando? Perché trovarsi ancora una volta invischiato in queste sporche faccende, lì, al freddo, nella vecchia Peugeot color ruggine dell'amico fraterno?
Ancora se lo stava chiedendo quando Nando gli porse una pistola.
"E questa?"
"Non vorrai mica fare una rapina senza una pistola?"
"Ma non ho mai sparato, io!"
"Neppure io. E non ho intenzione di cominciare oggi".
"E allora?".
"Sono finte".
"Finte?"
"Sono pistole giocattolo. Utili per seminare un po' di panico. Un po' di casino è quello che ci vuole".
Sì, giocattolo. Perché i due amici di pistole vere non ne avevano mai maneggiate. Mai sparato. Mai ucciso. Per questo al Cinese non andavano bene. Il Cinese aveva bisogno di gente che le armi le sapesse usare. Gente pronta a sparare. Ad uccidere, se ce ne fosse stato bisogno. E loro di farsi male non ne avevano intenzione.
"Tu sei sicuro che andrà tutto per il verso giusto?"
"Certo. Ma le pistole ci servono. Altrimenti come costringi il Poretti a darti la cassa? Lo stordisci a parole?".
"No, beh. Certo".
Ma allora perché due bamboccioni di questo stampo si trovavano, armi giocattolo in pugno, a rapinare un ristorante di sabato sera invece di essere al cinema con moglie e figli?
Perché, alla fine, a loro piaceva così. Non erano portati per la monotonia domestica. Non erano portati per la vita noiosa. La routine, un lavoro fisso, una famiglia. Sì, ci avevano pensato. A Michele piaceva pure, ma...
Mancava qualcosa. Forse l'adrenalina. L'eccitazione di poter far soldi in fretta, senza troppa fatica. Senza troppa responsabilità.
Due amici mai cresciuti, appunto.
"Andiamo?"
"Andiamo!"
Scesero dall'auto. Il freddo e l'umidità di una lombarda sera di novembre schiacciò ancora di più i collant di nylon che portavano sul volto. Michele si fermò. Nando se ne accorse.
"Cosa succede?"
"I collant"
"I collant, cosa?"
"Mi danno fastidio".
"Preferisci il filo di scozia?"
"Cosa?"
"Sto scherzando. Cos'hanno che non va?"
"Mi pizzicano il naso".
"E tu grattatelo. Andiamo".
"Ma faccio fatica a respirare".
"Vorrà dire che farai la rapina in apnea" e si rimise a camminare.
"Aspettami". Sconsolato Michele lo seguì di buon passo. Era ancora in tempo per tornare indietro.
Pochi metri. Per pochi metri ancora poteva decidere del suo futuro. Poteva abbandonare la rapina, il ristorante. Poteva abbandonare l'amico.
Ma non lo fece.
Arrivarono all'ingresso. Un vecchio portone in legno che dava direttamente sul salone principale. Ora sarebbe bastata un'entrata in grande stile con le pistole puntate, come nei film. Un colpo semplice. Forse troppo.
"Pronto?"
"Senti ma..."
"Pronto?!"
"Pronto!"
"Io li tengo sotto tiro e tu ripulisci tutto per bene".
"Ok!".
"Andiamo!".
Il portone si spalancò. La forte luce dalla sala li colpì accecandoli per qualche istante.
"Mani in alto! Questa è una rapina!" urlò Nando, praticamente ad occhi chiusi.
Quando li riaprì la scena che gli si presentò non era quella che immaginava di trovare.
Proprio al centro del salone, in una grossa tavolata, un folto gruppo di persone stava festeggiando qualcosa. Man mano che gli occhi si abituavano alla luce e l'immagine veniva sempre più nitidamente messa a fuoco, apparve chiaro che quello che il gruppo di persone stava festeggiando era la raggiunta pensione di un loro collega, al centro della tavolata, e che le persone in questione erano delle guardie giurate, alcune delle quali in divisa e completamente armate.
Armate di pistole vere, non giocattolo come le loro.
Ed ora li stavano fissando.
I due amici si guardarono.
Un secondo.
Un solo secondo.
Che parve un'eternità.
Poi una voce.
La voce di Nando.
Secca.
Come uno sparo.
"Via!"
Corsero fuori dal ristorante.
Arrivarono alla macchina.
Volando.
Nando mise in moto, ingranò la prima e partì. Le gomme stridettero sull'asfalto del buio parcheggio.
In lontananza si sentivano urla. E rumori secchi.
Spari? Stavano sparando contro di loro?
"Tieni bassa la testa!" gridò all'amico, sempre con gli occhi incollati alla strada.
L'auto correva lungo le vie di San Martino, prima a destra, poi sinistra, poi ancora sinistra. "Dai che ce la facciamo, dai!"
Nando sembrava un pilota da rally indemoniato. Non era sicuro che lo stessero seguendo però meglio non correre rischi.
"Però che sfiga. Che sfiga". E scoppiò a ridere.
Guidava e rideva. Rideva di gusto.
"Chissà cosa avranno pensato? Due idioti con le calze di nylon in testa" e rideva sempre più forte. Sembrava drogato. Effetto dell'adrenalina. Della paura. Ma ora era finto. Ce l'avevano fatta. E rideva.
"Non lo trovi buffo?" e rise ancora fragorosamente.
"Beh, non dici niente? Ti sei cagato addosso? Non ti viene da ridere?". Si voltò verso l'amico e...
No.
A Michele non veniva da ridere.
Michele non c'era.
Al suo posto un sedile vuoto.
Nando fermò l'auto. Rimase impietrito a fissare l'assenza dell'amico.
Si guardò attorno come se dovesse comparire da un momento all'altro.
Ma non accadde nulla.
Le risate sparirono. Tutto il mondo attorno a lui svanì all'improvviso.
Si ritrovò solo. Al freddo.
Michele non ce l'aveva fatta. Era rimasto a terra.
Non era riuscito a salire in macchina. Eppure a lui sembrava che ci fosse.
Sembrava.
Non aveva controllato. Che idiota. Non aveva controllato.
Era rimasto a terra fuori dal ristorante.
A Nando venne da ridere ripensando alla scena ma cercò di trattenersi.
E ora? Cosa fare?
Tornare indietro? No. Sarebbe folle. Sarebbe come la volpe che si consegna ad una muta di cani affamati.
Rimise in moto la macchina. Lentamente inserì la marcia.
Non rideva più. Non era il momento.
Fissò la strada e se ne andò.
Immerso in un terribile e rumoroso silenzio.
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