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Una riflessione originale sul mondo che cambia
Il professore, un uomo di cinquant'anni che insegnava storia e filosofia al Liceo "A. Diaz,", a Caserta, se ne stava seduto sulla sua poltroncina in plastica nera, lungo il binario della stazione, in attesa del treno che lo avrebbe riportato a casa dai suoi bambini, a Marcianise. Quella mattina di insegnamento era finita prestissimo (aveva fatto confusione con i suoi orari.)
Era una mattinata fredda e leggermente ventosa. Il professore, prima di dedicarsi all'insegnamento, aveva lavorato come manager di una grande azienda.
Sulle poltroncine adiacenti, sedeva una scolaresca del medesimo Liceo ove questi insegnava, in partenza per una gita di classe; essa era accompagnata da un barbuto e torvo professore di matematica, che se ne stava in disparte; in quel momento, i ragazzi non erano particolarmente rumorosi: I più, erano impegnati coi loro dispositivi "touch screen", alcuni con i giochini, altri con le "chat".
Ad un certo punto, il professore di filosofia sollevò lo sguardo dal suo giornale, e, osservando di sottecchi i ragazzi e gettando un'occhiata anche ai passeggeri che transitavano sulla banchina, soggiunse: "eh, come sono cambiati gli uomini..."
"Sarebbe a dire, scusi?" Chiese inaspettatamente il ragazzo, con la barba ben curata e col cappuccio della felpa calato quasi sugli occhi, che gli sedeva accanto. Era l'unico che in quel momento non era impegnato con lo "smartphone"... il professore, piuttosto sorpreso, gli rispose, aggiustandosi il borsalino blu che gli calzava a pennello: "sarebbe a dire, figliolo, che la vita degli uomini è in continua trasformazione. Evoluzione, direi."
"In che senso, scusi?, Si spieghi meglio professore, per favore" disse educatamente il giovane, sollevando il cappuccio della felpa e lasciando scoperta una folta capigliatura castana, liscia e curata. "Nel senso che... beh, gli uomini dell'ottocento erano diversi da quelli del settecento, come quelli del novecento erano diversi da quelli dell'ottocento, e così via...", rispose il professore, lasciando a mezz'aria il completamento del concetto e girandosi leggermente verso il suo interlocutore. Il ragazzo lo incalzò, volgendosi anche lui verso l'uomo: "ma diversi in che senso? È normale: è il progresso! Quelli degli anni duemila saranno diversi da quelli del novecento e via così fino..."
"fino a quando?" lo interruppe il professore aggiustandosi il colletto del cappotto blu e fissandolo dritto nei suoi occhi neri, pieni di vita. Il ragazzo lo fissò a sua volta in modo interrogativo.
"Beh, fino a quando esisterà l'umanità, e questo momento non è dato saperlo a nessuno", riprese il professore. "Tuttavia..."
"tuttavia?" soggiunse il giovane manifestando una sincera curiosità.
"Tuttavia," continuò il signore schiarendosi leggermente la voce, ma il ragazzo approfittò della pausa per interromperlo: "mi scusi prof': diversi, questi uomini dei secoli passati, da quali punti di vista? È ovvio che nessuno si sognerebbe oggi di sfidare a duello un coetaneo per una ragazza o di indossare un'armatura per andare in guerra!"
"Tutti, ovviamente: dai punti di vista della moda a quelli del pensiero politico e scientifico; cambiano nella mentalità, nella sensibilità... cambia la morale e l'etica individuale e soggettiva, soggiunse laconico.
"E allora, scusi?" Chiese lo studente sorridendo "cosa c'è di strano? Mi permetta: dove vuole arrivare?!" Il professore fece una lunga pausa, ravvinadosi i capelli brizzolati sulle tempie.
"Uhm..." borbotto infine: "secondo te, col passare del tempo, l'umanità è cambiata in meglio o in peggio?"
"Bella domanda, professo'!" Esclamò il ragazzo. "E lo chiede a me? È lei, il professore di filosofia."
"Vedi figliolo," riprese il professore, "in meglio per certi versi, in peggio per altri. In qualsiasi epoca della sua storia - ed anche della sua preistoria - l'uomo è stato capace di stupire se stesso ed i suoi discendenti tanto per azioni incredibilmente buone ed utili, pensa alle invenzioni, al progresso tecnico, all'arte, alla medicina, quanto per azioni incredibilmente crudeli ed abiette: pensa alle guerre, ai genocidi... ma voglio giungere alla conclusione. Anche perché..." disse il docente gettando un'enfatica occhiata al Bulova che portava al polso, "non so a che ora avete il treno voi, ma il mio parte tra dici minuti. Anzi, tra un quarto d'ora. Beh, abbiamo ancora un po' di tempo."
"Per me stia tranquillo professore. Io non vado in gita: vado a casa perché mia madre sta poco bene. E il mio treno è tra quasi mezz'ora."
"Ah! Spero che non sia nulla di grave..."
"No... solo un'influenza, ma debbo aiutare in casa perché ci sono i fratelli più piccoli e papà è fuori per lavoro."
"Ah, okay caro. Mi dispiace solo per la tua gita. Dunque: ho la sensazione che l'umanità di oggi si avvii ad essere la peggiore di tutti i tempi, in generale."
"La vede così nera? Siamo così cattivi?"
"No, non tutti perlomeno. Gli uomini..." si interruppe, per una raffica di vento fredda; nel mentre, si rimise il cappello in testa ed invitò con fare paterno lo studente a rinfilare il cappuccio della felpa. "Gli uomini di oggi," riprese l'insegnante, "non sono né più cattivi né più buoni di quelli di qualsiasi altra epoca. Sono, solamente, i più ipocriti di tutti i tempi... e si avviano anche ad essere i più imbranati... incapaci di stabilire un contatto umano che non sia mediato da un "social", incapaci di gestire il movimento ferroviario senza un "sofware" o di tenere una nave in rotta senza un GPS, tanto per fare due o tre esempi."
"Tutto qui?" Squittì il ragazzo con un'ombra di genuina insolenza, ignaro di una ragazza carinissima che lo stava fissando, impaziente di essere ricambiata. Il professore, che se ne era accorto, sorrise e si affrettò: "Ti sembra poco? Le macchine si guidano da sole, e gli uomini, che hanno perso la tecnica e l'anima, non saranno più padroni nemmeno di accendersi una sigaretta o di cuocere quattro braciole sulla carbonella. Andiamo verso la dittatura del digitale e verso il liberticidio dell'"ipernormazione" dettata dal politicamente corretto.
Il giovanotto rimase lievemente turbato... il professore lo congedò con una pacca sulla spalla e si alzò per avviarsi alla sua carrozza di prima classe, impaziente di lasciare il suo posto alla ragazzina, e pensando a quanto era stato fortunato nel vivere la sua giovinezza al tramonto del XX secolo. Nel frattempo, il ragazzo aveva ripreso in mano il suo "Iphone". La ragazza carinissima, che era ancora in attesa della sua attenzione, si corrucciò... in quella, il professore tornò sui suoi passi e interpose delicatamente la sua mano tra lo schermo del telefono dello studente e lo sguardo di questi. Questi guardò il professore con aria interrogativa e leggiermente seccata, al che il professore, con un sorriso ed un cenno del capo, gli fece notare la fanciulla, la quale, scambiato un sorriso col professore, arrossì e scoppiò a ridere. Lo studente arrossì e sorrise a sua volta, e la ragazza si sedette accanto a lui, come una farfalla può leggiadramente posarsi vicino al fiore prescelto.
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