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Gli Operatori di Polizia sono ormai privi di tutele
La drammatica vicenda dei due poliziotti recentemente trucidati nella Questura di Trieste, oltre ad avermi profondamente scosso, mi ha fatto gridare: "basta!"
Indipendentemente dal fatto che un paio di manette avrebbero potuto evitare la tragedia (ma col senno di poi, siamo tutti bravi) é veramente ora di dire "basta" con l'indignazione di facciata, "basta" con la retorica vacua e "basta" con i piagnistei ipocriti. Questo grido, "basta!" È rivolto a quelle "personalità" che alternano indignazione, retorica e lacrime a strizzatine d'occhio ai seminatori di odio in S. P. E.. Alludo a certi politici, ad alcuni giornalisti e mi riferisco anche ad una particolare risma di scrittori e opinionisti vari (attori, cantanti e financo cuochi da strapazzo) .
Questi "signori", quando un operatore di Polizia viene ferito o ci lascia le penne, pontificano su presunte carenze nell'addestramento e supposte inadeguatezze di equipaggiamento (che pure ci sono, ma sono in misura diversa inevitabili in tutte le polizie del mondo).
Essi sono i fiancheggiatori dei "signori" autori degli slogan orrifici tipo "10-100-1000 Nassirya", o "uno di meno", o... "due di meno". Si. Rabbrividite: hanno osato scriverlo nel caso dei due agenti trucidati a Trieste con modalità da film dell'orrore. Questi simpatizzano velatamente per gentaglia che si rifà a sigle tipo A. C. A. B., per meschini che intonano coretti odiosi come " La disoccupazione vi ha dato un bel mestiere..." ma non voglio nemmeno sprecarmi a parlare di questi ultimi soggetti, perché sono dei delinquenti conclamati. Si, dei delinquenti; perché si delinque anche con le parole. E sono tanto più odiosi di altre specie di criminali, come ladri e truffatori, quanto più è palese la gratuità di questa delittuosa cattiveria. Vigliacchi. Parole come pietre. Come le pietre che lanciano ai Poliziotti in ordine pubblico. A volto coperto ovviamente. Pronti a fuggire come conigli.
Ma se ci mettiamo ad inseguire la meschinità degli slogan vomitevoli che dobbiamo sopportare stoicamente da decenni, prima scritti sui muri, poi urlati nelle piazze e negli stadi, e poi diffusi sui "social network", perdiamo tempo prezioso da dedicare ad un'azione più urgente, perché ne va della nostra vita: la ridefinizione dei cosiddetti "protocolli operativi", che regolano l'"Uso Legittimo delle Armi e degli altri mezzi di Coercizione."
Ma che dico, "ridefinizione"?! Questi "protocolli operativi", o "regole di ingaggio", non sono mai stati ufficialmente definiti, credo, se non in modo disorganico, con una serie di Circolari interne alle varie Forze dell'Ordine ed una serie di Sentenze della Suprema Corte.
Qualunque Ufficiale che si sia occupato di addestramento nelle Scuole di Operatori di Polizia, sa bene che, in merito al come e al quando ricorrere "alle maniere forti" nell'adempimento del Servizio, ufficialmente, esistono solo gli articoli 52 e 53 del Codice Penale, che regolano rispettivamente la Legittima Difesa e L'Uso Legittimo della Armi. E forse, vista l'imprevedibilità delle mille diverse situazioni contingenti in cui un p. u. si trova costretto, suo malgrado, a ricorrere, in ordine crescente: ad uno strattone, ad un pugno, ad uno storditore elettrico, ad un paio di manette o ad un paio di pallottole, non sarebbe possibile codificare le diverse modalità operative che di volta in volta possono/debbono essere attuate, nel caso in cui sia necessario l'uso della forza fisica a fini coercitivi.
Sono valutazioni che l'operatore si trova a formulare caso per caso e di volta in volta, e deve decidere il da farsi in pochi secondi. Per questo occorre sangue freddo e discernimento. Ma anche una certa -per quanto possibile- tranquillità psicologica. Che discende -dovrebbe discendere- dalla consapevolezza, interiorizzata "a monte", in primis durante il Corso alle Scuole di formazione, di essere tutelati, nell'esercizio delle proprie funzioni, dai dettati dei suddetti articoli (52 e 53 C. P.). Che, di fatto, non sono più osservati. Questo, se è vero (come è vero) che viviamo in una nazione in cui le parti si sono invertite polarmente, per cui, chi si mette consapevolmente al di fuori della Legge, è più tutelato di chi essa è chiamato a rappresentare e a difendere concretamente sul campo.
In Ordine Pubblico, sembra che le disposizioni (ricevute dall'alto) dei responsabili del servizio impartite ai sottoposti, sono abbastanza nette: non reagire alle provocazioni, lasciare che i manifestanti spacchino tutto, (tanto poi ci sono i filmati e si procederà ad identificare i responsabili, grazie alla Digos...) il che può sembrare sensato (lasciamoli sfogare e conteniamo i danni) se non fosse che dovrebbe essere un preciso obbligo di Legge del P. U. "impedire che i reati vengano portati ad ulteriori conseguenze." Meglio vetrine sfasciate e auto date alle fiamme che vittime e feriti? Questa è la "ratio", apparentemente giusta: ma chi rimane ferito e vittima è la personalità e l'autorevolezza dello Stato. È un danno trascurabile? No. E ce ne stiamo accorgendo. È un pericoloso scivolamento verso l'anarchia.
I deprecabili (ma isolati) casi di abusi ed eccessi nell'uso della forza da parte di Pubblici Ufficiali, poco o affatto degni di indossare una divisa, sono diventati il pretesto per screditare (quando non criminalizzare) l'intera categoria degli appartenenti alle Forze dell'Ordine, con odiose generalizzazioni. E questo è profondamente ingiusto e pericoloso.
Si sente tuonare sovente contro chi "delegittima la Magistratura e lede la sua credibilità", non appena qualcuno si azzardi ad abbozzare una critica rivolta alle toghe; invece, della evidente, quotidiana, pervicace azione di danno alla credibilità delle Forze dell'Ordine, e della loro delegittimazione ad opera degli "odiatori in S. P. E." e dei loro fiancheggiatori, non ne parla nessuno.
È assurdo che, di fatto, la totalità dei colleghi di tutte le forze dell'Ordine (ed anche delle Forze Armate, in Ordine Pubblico), nella denegata ipotesi che essi debbano usare la Forza per ragioni connesse al proprio Ufficio, questi siano costretti a scegliere tra il mettere a repentaglio il proprio posto di lavoro (e la propria carriera, e l'integrità della propria fedina penale) usando un manganello o una pistola, e il mettere a repentaglio la propria vita. Bisogna scegliere in pochi secondi se è meglio finire per certo al Pronto Soccorso o per certo sotto procedimento disciplinare o penale. E non c'è il tempo di riflettere abbastanza per capire che subito dopo il Pronto Soccorso ci può essere un'invalidità, o, Dio non voglia, un "cappotto di legno" sul quale verrà collocato il tuo berretto. Ma io questa riflessione la propongo.
Ecco che vediamo oggi Poliziotti e Carabinieri (per non parlare degli Agenti delle Polizie Locali) sempre più cauti ed intimiditi al cospetto anche di un qualsiasi esagitato. Parliamoci chiaro: quello che è accaduto ai due poveri Poliziotti Pierluigi Riotta e Matteo Demenego, sarebbe potuto succedere a qualunque altro collega: sei nel tuo ufficio, hai davanti a te un soggetto apparentemente calmo e collaborativo, che di punto in bianco ti aggredisce selvaggiamente. Ma non è questa la sede per approfondire la tragedia in sé. Qui io voglio riflettere sugli aspetti tecnico-operativi attuali del nostro lavoro, che sono ormai ridotti a pure istruzioni scolastiche ormai svuotate di ogni effettività reale: qual è oggigiorno quel Carabiniere capopattuglia che, nel corso di un posto di controllo stradale, dispone che il militare di supporto tenga sotto tiro gli occupanti del veicolo con l'arma lunga? Eppure la "libretta" prescriverebbe questo. Siamo matti?! "Abbassi quel mitra, per favore: mica sono un terrorista!"
Cauti, gentili, bonari. Così ci vogliono. Come se chi ti trovi davanti a bordo di un'autovettura - il cittadino - fosse sempre un padre di famiglia collaborativo e sereno che, al massimo, tira giù "due moccoli" perché gli appioppi una contravvenzione, e non - Dio non voglia- un criminale che apre il bagagliaio, acchiappa un bastone e ti massacra, come il povero appuntato Antonio Santarelli.
Roma: quindici dicembre 2018. Un Carabiniere viene insultato e aggredito da 50 ultras scatenati. Nel filmato lo si vede indietreggiare terrorizzato mostrando la pistola. Ma non la punta ai suoi aggressori: la fa vedere... come a dire: "in ultima analisi la posso usare." È un miracolo che nessuno " si sia fatto male" (come va di moda dire oggi). Il collega comunque è stato eroico: è riuscito nella missione di riportare a casa sani e salvi la pellaccia, il foglio matricolare e la fedina penale. Ma chi indietreggiava terrorizzato e incerto non era quel Carabiniere, signori. Era lo Stato. Ed è proprio l'Onore ed il prestigio dello Stato che è stato calpestato in quel pomeriggio di dicembre del 2018.
50 delinquenti hanno fatto fuggire ed indietreggiare lo Stato. Lo Stato che è diventato molle e arrendevole. Ed è solo un caso dei tanti.
Clamoroso questo episodio del settembre 2014 (Roma), protagonista un senza-tetto tedesco, cito da un articolo de " Il Fatto quotidiano: "
... intorno alle 17. 30, ha iniziato a minacciare i passanti, per questo motivo è stato chiamato il 112. A quel punto, l'uomo si sarebbe scagliato contro la prima pattuglia armato di martello e coltello. I 4 ufficiali (?! Da dove sono spuntati? N. d. a.) sarebbero intervenuti successivamente, in aiuto dei loro colleghi, e, a quel punto, lo squilibrato li ha feriti. I tre militari, uno colpito a un fianco, il più grave, uno alla gamba e l'altro al braccio, sono stati trasportati all'ospedale Santo Spirito e al San Carlo di Nancy, ma nessuno di loro è in pericolo di vita. "Siamo tranquilli e sereni", hanno detto al comandante provinciale di Roma, colonnello Salvatore Luongo, che gli ha fatto visita assieme al comandante generale dell'Arma, Leonardo Gallitelli. L'aggressore è stato arrestato con l'accusa di tentato omicidio.
Ma vi è dell'altro: "Nessuno ha usato armi. I colleghi hanno cercato di tutelare le numerose persone presenti in strada per evitare ogni allarmismo. Per fortuna nessuno dei carabinieri è rimasto ferito in modo grave", ha commentato Luongo. Anche il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha voluto esprimere solidarietà nei confronti dei 4 militari feriti, durante la registrazione del programma di Rai1, Porta a Porta, e ha aggiunto "attenzione a non far montare un clima d'odio contro le Forze dell'ordine", in riferimento all'episodio di Davide Bifolco. (ucciso da un carabiniere con un colpo di pistola, in circostanze drammatiche)
C'è poco da aggiungere: vedete bene che oramai è prassi accettata e quasi codificata che si debba disarmare un criminale a mani nude: la "taser", al tempo dei fatti succitati, era ancora in fase sperimentale, ed anche adesso se ne vedono poche o niente. Ma i colleghi accoltellati, dal loro letto di ospedale, si sono dichiarati "tranquilli e sereni". No comment. Insomma: la taser rimane confinata nelle fiction americane, e nel frattempo la vecchia Beretta non si può usare quasi più nemmeno a scopo intimidatorio. Non se ne parli di sparare per (Dio non voglia, ovviamente) ferire o per uccidere. Salvo casi di solare chiarezza, la carriera rovinata, ed anni di cause e migliaia di euro di spese legali (che probabilmente nessuno ti restituirà) prima di venirne fuori, sono la prassi.
Un poliziotto o un carabiniere, o un vigile urbano, non è addestrato come Chuck Norris, e la realtà non è una fiction, dove si può facilmente disarmare a mani nude un esagitato che brandisce un'arma bianca, senza rimanere feriti o uccisi. E perché un pubblico ufficiale deve rischiare di rimanere invalido o di morire, più di quanto non accada in situazioni "normali" (già un uomo in divisa è un bersaglio mobile) ? Per salvaguardare l'incolumità di un pazzo criminale? Hanno forse essi pari dignità?
Forse è quello che ci vogliono inculcare, in un ottica distorta relativista ed egualitarista, che si rifà alla dottrina del "politically correct", quel cancro mondiale che sta svilendo ogni valore e sta distruggendo dalle fondamenta le conquiste della Civiltà occidentale, basata su movimenti come l'Umanesimo e il Risorgimento, e prima ancora sulla civiltà greco-romana, sovvertendone i principii basilari.
Il Pubblico Ufficiale rappresenta lo Stato. Egli è perciò titolare di gravosi doveri e di grandi responsabilità, prima ancora che di quelle tutele e di quei poteri, superiori a quelli garantiti al privato cittadino, che caratterizzano la sua figura giuridica: ma se togliamo ad un Operatore di Polizia, o al comandante di una nave, il potere di usare la Forza e la certezza di potersi avvalere della tutela delle scriminanti del Codice Penale (Uso Legittimo delle Armi, Legittima Difesa, Adempimento di un Dovere) cosa ne sarà della sua efficienza nell'espletamento dei suoi doveri d'Ufficio? Sapete cosa mi sento dire da alcuni colleghi ancora in servizio? "Andrea, non vedo l'ora di andare in pensione". Oppure: "Io ormai mi faccio gli affari miei, e se vedo qualcosa di illegale, a meno che non ci sia qualcuno in pericolo mi giro dall'altra parte."
Allora ecco che il "dovere d'Ufficio" lascia il posto al dovere di tutelare la propria salute e la propria dignità! Perché mentre tu finisci di sistemare le carte di un arrestato quello è già al bar che ti aspetta per il caffè!
Soprattutto, è venuto meno il diritto di Poliziotti, Carabinieri, Finanzieri e di tutti gli altri operatori di Polizia, di espletare il proprio servizio sapendo di poter intervenire efficacemente anche con le armi, se necessario, per adempiere efficacemente al proprio dovere e per onorare il dovere sacrosanto, nei confronti dei propri cari, di difendersi in modo adeguato per poter tornare a casa, magari stanco e stressato, ma vivo.
Concludo: tra i metodi brutali della Polizia Americana e quelli ormai troppo delicati della Polizia Italiana, bisogna trovare un sano compromesso.
E bisogna formalizzarlo. Non si può lasciare che metodi e consuetudini si formino in base a sentenze inaudite, prive di ogni logica di giustizia ed estranee a quanto dettato dalla Legge Penale.
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