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Coma profondo
COMA PROFONDO
Una sera di quel novembre triste e uggioso, senza un perchè, smettesti di rispondermi al telefono e non mi scrivesti più. Allora capii due cose... quanto forte era il nostro amore e che quel dolore immenso che in quel momento stavo provando, era talmente devastante che mi avrebbe cambiato per sempre... Da quell'attimo, per tanti giorni, guardando di continuo il mio vuoto telefonino, cercai con tutte le mie forze di combattere e ricominciare... di ritrovare me stesso, di prosciugare il sangue di quella ferita che scavava fino alla mia anima.
Ma sapevo che ci sarebbe voluto tanto tempo e che, per quanto non volessi pensare a nulla, era impossibile cancellare gli album della nostra vita e tutti quei momenti semplici ma speciali, vissuti insieme.
Ogni giorno che passava, credevo di riuscirci, tiravo fuori il mio coraggio da leone e impegnavo i miei buchi di giornata, correndo al percorso benessere, sul lungomare o al parco.
Non importa dove, l'importante era stare a contatto con la natura, respirarne il profumo soffice e in silenzio vivere quella pace esteriore che doveva entrarmi come flebo coi pensieri.
Ogni giorno nuovo, però, capivo che quella ferita, invece di rimarginarsi, si apriva sempre di più.
Ti trovavo in ogni angolo della città, in ogni vicolo della mente, dappertutto.
Sempre con la tua semplicità, con il tuo sorriso e con la tua capacità di acquietare la mia irruenza, la mia voglia di conquistare il Mondo.
Quanti giorni mi sono chiesto come sarei riuscito a sopravvivere senza di te... senza di noi, senza la gioia dei tuoi figli che mi avevano "adottato" con la stessa semplicità e gioia con cui mi avevi sempre guardata tu.
Mi chiedevo se era giusto desiderare di chiudere per sempre con le mie passioni e se fosse mai stato possibile poter cominciare una nuova avventura, tralasciando i ricordi del passato. Alla mia età ogni dolore al cuore può essere fatale, pensavo... ma non era tanto questo il problema.
Il mio cuore indomito ha sopportato in tutta la vita dei trambusti dell'anima più violenti del più devastante terremoto.
Da dove era lecito ricominciare senza cercare in un'altra quella dolcezza e quella semplicità che mi coccolavano?
Sapevo, anche se negavo mentendo a me stesso, che non c' era più quella forza di chiudere e tirare una nuova linea, perché in realtà quella strada vecchia, abbandonata per forza, non era conclusa.
Io camminavo ancora... camminavo e sognavo... solo illusione forse ma non ero ancora fermo.
Per tanti giorni solo perché, tu... tu non c' eri più... aspettando ogni attimo del giorno, una tua telefonata o un messaggio che non arrivava mai...
Dio sa quanto ho odiato quello stupido telefonino per i suoi assurdi ed egoistici silenzi.
E quella disperazione per non sentire più quella semplice ma infinita frase che si tuffava repentina nel cuore, ogni qualvolta la pronunciavi: "AMORE MIO... TI AMO TANTO"
Non credo che ci sia una malattia o un evento peggiore della fine di un amore.
Il dolore lancinante e senza ristoro che si prova quando vedi indifferenza nella tua vita e quando attendi vanamente anche il più piccolo gesto.
E resti in attesa per infiniti attimi che non cambiano mai e ti lasciano solo nella disperazione, dove nessuno ti può consolare, nemmeno gli affetti più veri. Si dice che le persone più forti sono quelle che resistono e risorgono da una prova così dura.
Ma io, per tanti giorni, non ho chiesto a nessuno di essere forte.
E mi facevo tante domande che non avevano mai una risposta.
Quell'assurda normalità era incomprensibile.
Come facevo a vivere la quotidianità dei giorni mentre dentro di me si perpetrava la più sanguinosa guerra dei sentimenti in contrasto?
Anche i tuoi rari messaggi, classici da donna che mi discolpavano, non bastavano più.
Si può perdere la propria vita da innocenti?
Non potevo accettare queste affermazioni.
Io avevo perso una battaglia però mi si diceva: "Hai vinto tu!"
Non sono più uscito da quella spirale, nonostante avessi fatto di tutto per risalire dal baratro.
La notte uscivo solo e andavo sulla scogliera del mare a cercare un consiglio tra il cielo e il mare.
Spesso uscivo anche con la bufera ma quelle tempeste di pioggia e di mare in burrasca, al cospetto della mia rivolta interiore, erano il respiro sonnecchioso di un leone.
Durante la notte cominciai a vomitare, anche quando ero quasi a digiuno, ma il dolore che avevo dentro, era minimo al confronto di ciò che usciva.
In certi momenti credevo che volesse uscire anche l'anima, tanto è vero che dopo quei violenti rigurgiti, non mi sentivo più nulla dentro, ero solo un corpo svuotato e distrutto.
Quelle mattine che seguirono, al lavoro, furono allucinanti.
Mi svegliavo praticamente senza forze,
era un'impresa alzarsi solo dal letto.
E si sa... quando si fa un lavoro dipendente, non si può rinunciare ad alzarsi e gli impegni diventano una necessità.
Soprattutto non potevo mostrare il mio lato debole, mio padre era una persona molto forte, che anche se aveva dovuto arrendersi da giovane a un terribile male, non aveva mai cancellato in me la sua presenza e la sua indole.
L'orgoglio del maschio che non deve chiedere mai, ma deve esserci sempre.
E così, tante volte, violentai la mia testa e il mio fisico per andare contro tutto e tutti, accettando gli sfoghi delle persone con cui, per necessità lavorativa, ero a contatto. A casa mi chiedevano se ero sicuro di andare ed io con stizza e con il filo di forza che mi era rimasto, rispondevo: "Non c' è nessun problema, il lavoro ha bisogno di me"
Certo, forse non avrebbe mai avuto bisogno di quell'avanzo d'uomo ma, per fortuna, col passare delle ore riuscivo a riprendermi e a farmi narcotizzare dal caotico traffico cittadino che mi addormentava con i suoi rumori e con le esalazioni massicce di monossido di carbonio.
Non avrei mai smesso di combattere ancora, anche se il corpo si ribellava allo sconquasso dell'anima.
Come in tutti i posti e in tutti i momenti, anche al lavoro, davanti agli occhi, vedevo sempre e solo te, sempre col sorriso e con la calma di chi riesce a sopportare tutto.
Una notte crollai e mi addormentai di sasso, come preso da una paralisi e sognai cose brutte.
I presentimenti che avevo taciuto da sveglio, penetrarono violentemente la mia testa nei sogni.
Ti vidi con il tuo ex marito e con i tuoi amici, con tanti bambini e ragazzi di ogni età.
Eri felice, almeno così apparivi forse era un sorriso forzato.
Ma era un grande tavolata dove non si parlava minimamente di me.
Io non c' ero in nessun modo, neanche come un ricordo.
Poi sentii delle voci lontane che mi chiamavano, come se provenissero da una grotta profonda. Immagini di mia sorella che con il terrore in viso mi chiamava forte, in realtà era cosi vicina, ma sembrava che la sua voce provenisse da molto lontano.
Improvvisamente una luce accecante, poi di nuovo un buio infinito, mi sembrava di essere caduto in un sonno ancora più profondo.
Qundi una pace improvvisa, un silenzio strapiombante, molto sinistro ma che finalmente, mi regalava quella quiete interiore che da troppo desideravo.
Ad un certo punto udii anche la voce di mia madre, ma la udivo ancora più lontana.
Io cercavo di cancellare la sua preoccupazione, dicendo che andava tutto bene e che ero sereno.
Ma non riuscivo a farmi sentire.
Sentivo il cuore battere ma non potevo parlare, non riuscivo a muovere neanche un dito.
Gli occhi non avevano voglia di riaprirsi,
vedevo intorno a me un magnifico paesaggio tutto da esplorare, dove speravo di trovare ancora te.
Era tutto meraviglioso, tanto verde, quella magnifica e profonda grotta, il mare che sussurrava un dolce e tenue respiro.
Camminavo lentamente, guardando con ammirazione tutto intorno.
Sentivo ancora voci lontane, che adesso non riconoscevo più.
Da lontano il suono di una sirena, che procedeva a forte velocità.
Poi questo suono si tramutò in canto, un irresistibile e dolce canto.
Su un isolotto, al largo del mare, c' era una bellissima ragazza bionda dal corpo bellissimo, i capelli lunghi e leggermente mossi che coprivano due seni non troppo grandi ma meravigliosi, alti che sembravano due occhi che fissavano con i loro capezzoli.
Sentii qualcuno che mi rapiva, mi prendeva con decisione, poi venni buttato da qualche parte, forse un altro letto, molto più scomodo del mio.
Adesso le mie sensazioni furono diverse da prima.
Anche se non potevo ancora muovermi, mi sembrava di volare, di correre a 4 zampe sul cielo.
Sentivo una persona che parlava al telefono, poi ancora un volo accanito ma leggero.
Sentii pronunciare il mio nome, il mio luogo di nascita, il mio indirizzo.
Poi non sentii più nulla e vidi di nuovo buio.
Mi ritrovai in quella grotta profonda, ero talmente dentro che non vedevo più l'ingresso, anzi, non vedevo quasi più nulla.
. Sentivo l'acqua che sbatteva contro le rocce, poi un odore di mare, di pesci e di flora marina.
Cominciavo a capire ciò che stava avvenendo...
Io ero in coma, un coma avvenuto nel sonno, non so come.
E in quel momento mi trovavo tra la vita e la morte, tra la realtà e il sogno, tra la voglia di proseguire e il desiderio di tornare indietro.
Ero giunto ad un momento che era molto difficile abbinare tutto quello che desideravo.
La vita è un dono prezioso... già... questo l'avevo sempre pensato.
Ma mi chiedevo di continuo quante volte avevo tentato di ricominciare, dopo aver perso la speranza di te.
E tante volte vivevo ancora l'illusione di risentirti, di sentir squillare quel telefonino, di sentire te proferire quelle parole magiche: "AMORE MIO, STAI TRANQUILLO... MI MANCHI ANCHE TU... NON TI LASCERO' MAI..."
Non riuscivo più a sopportare quel vuoto, quella sensazione priva di tutto, quello stato di inutilità e d'impotenza dei miei pensieri.
Tante volte ti avevo ripresa con me, tante volte mi eri sfuggita.
Ma era terribile stare... senza di noi, quell'"io" solo e inconsolabile.
Io, con mille affanni avevo cercato di sopravvivere, di cicatrizzare quella ferita dilaniante che si apriva sempre di più nella mia anima.
In alcuni momenti sentivo di poter aprire aprire il mio cuore ad un altra, che riusciva a farmi sorridere di nuovo, forse solo questo avrebbe potuto curare il mio "male".
Poi ecco il black-out. Capii che ero in coma e che, corpo e anima erano su due emisferi diversi, ognuno cercando la sua vita ideale.
Quando mi riposavo da quel sogno interminabile immerso nella natura a cercare una nuova vita, o a ritrovare la stessa di nuovo piena d'amore, sentivo un grande silenzio nella penombra di una stanza.
Ma non mi vedevo su quel letto.
Io ero all'altro capo della stanza e scorgevo un uomo immobile, attaccato a una macchina che non si muove ma mai, nemmeno per un attimo.
Provavo pena per quel corpo sterile, vinto dalle battaglie e ora arrendevole.
Non potevo pensare di essere io, perché mi trovavo nella parte opposta di quella stanza.
Anzi, cercavo di prendere la sua mano e dirgli: "Vieni con me... conosco un posto meraviglioso dove non devi più stancarti per vivere.
Niente lavoro odioso, tanto verde per inebriare il nostro olfatto, cibo a volontà e luoghi da esplorare per soddisfare la nostra voglia di conoscenza.
Era un sabato sera, mi sentivo chiamare... avevano chiesto tutti di esserci. Erano le 22 di sera.
Ero dimagrito, quasi non mi riconoscevo... e, lo stesso sentivo dire vicino a me, da voci femminili che mi sembrava di conoscere...
Ma si... erano mia madre, mia sorella, i miei zii. Tutti parlavano in modo flebile, mentre qualcuno con voce commossa diceva: "Mi sembra impossibile! Fa tenerezza per quanto è magro.."
Sentivo dire di me, qualcuno nella stanza ricordava con affetto la mia grande capacità di stare sempre dappertutto, la voglia di organizzare serate tra amici, per far baldoria e ricordare le nostre gesta eroiche e i nostri atti di derisione quando incontravamo gente bizzarra o burbera, che non condivideva i nostri scherzi.
Sentii mia madre dire, prima che la voce gli si strozzasse in un pianto: "Non ha più luce negli occhi, né calore, né sorriso, la sua espressione in volto è vuota da troppo tempo...".
Cercai di muovermi, per dissuaderla da quella affermazione.
Avrei voluto aprire i miei vispi occhi, sorridere e dirle ciò che avevo sempre detto da ragazzo: "Mamma, io sono indistruttibile! Nessuno e niente mi può fermare, sono la tua forza estrema!"
Già... quelle parole... ma non ci riuscivo.
Ero fermo e non sapevo dove mi trovavo. Mi arrivavano sulla punta delle orecchie, vampate di calore ma solo per un attimo. Qualcosa dentro di me era morto, sembrava che il corpo avesse ceduto di schianto, mentre l'anima era dappertutto.
E chiedeva il diritto alla vita.
Ma solo a determinate condizioni.
Ad un certo punto... un lampo nel buio.
Dalla porta di quella stanza entrò una figura bionda, una bella donna con cappotto color beige, lungo fino alle ginocchia.
Entrò timidamente.
Eri tu! Mi guardavi, in silenzio, quasi se ti aspettassi qualcosa, appena entrata.
Ti vidi piangere, toccare la mia mano fredda e nuda, martoriata dagli aghi delle flebo.
Io ero sempre in fondo alla stanza, volevo avvicinarmi e dirti: "Perché piangi? Non c' è colpa nella fine di un amore, le cose non vanno sempre come devono andare.
Anche se il destino ha fatto tutto per benedire l'incontro.
Ma poi avrei voluto gridare la mia disperazione e implorare di tornare da me, di salvarmi.
Solo tu potevi farlo. Non potevo tornare in vita senza di te.
Volevo baciarti, abbracciarti, restare avvolto su di te come quelle tantissime e meravigliose volte.
Da quella sera, non m' importava più di vederti come due amanti, o come conviventi.
Non m' importava più arrivare a ora di cena a casa tua, mangiare, guardare la televisione, dormire un paio d'ore o fare l'amore e ripartire prima dell'alba. Solo per qualche ora per tre anni e mezzo, o anche in piena notte, briciole di vita al massimo delle emozioni.
Era quello che volevo, eri tu che desideravo.
Per me non c' era più nulla oltre, nessuna avrebbe potuto regalarmi il sole e la luna nello stesso tempo, nell'abbraccio perpetuo delle stelle.
Nessuno, solo io e te, sapevamo ascoltare e parlare con il mare.
E poi con te avevo visto sempre il sole di mezzanotte, cioè quella luce mistica di una donna felice dopo aver fatto l'amore che riflette nello sguardo del proprio uomo.
Lo avevo chiamato così quel sublime attimo di massimo piacere di noi due, innamorati e persi.
Avevamo passato le pene dell'inferno e del paradiso insieme, sempre uniti, lottando contro il nostro passato.
Notai che non avevi nessun anello, portavi solo quel braccialetto che ti avevo vista indossare sempre e che era il simbolo della nostra eternità.
Adesso trattenevi a stento le lacrime, nessuna parola usciva da quelle labbra umide e lucide.
Io ero inerme, quasi che sadicamente volevo infierire sulla mia anima.
In realtà non capivo dov' ero, o forse ero troppo stanco per tornare indietro.
Volevo abbracciarti, correre da te e baciarti, inginocchiarmi e dire di non andare più via.
Ma rimasi a guardare mentre la mia anima era in quella grotta, tra le meraviglie della natura.
Mi ripresi da quell'attimo di confusione e di commozione estrema mentre tu continuavi a trattenere le lacrime a labbra serrate, come altre volte ti avevo visto, quando dovevo lasciarti e ripartire.
"AMORE... HO FATTO UNA CAZZATA. PERDONAMI... IO TI AMO E TI AMERO' SEMPRE..."
Provai una forte commozione... avevo bisogno di fare qualcosa.
Tornai nel sogno, cercando il posto dove stavo ancora camminando, per cercare una vita nuova.
Provavo dolore, non riuscivo a pensare cosa fosse meglio e se nelle tue parole non c' erano come altre volte un seguito dal retrogusto amaro.
Provai a prenderti la mano, per cercare di unirla all'altra parte di me che in questo momento si era persa altrove, disdegnando quella realtà per rifugiarsi in un sogno perpetuo.
Ma nulla...
Quella sera non riuscii a prenderti e a stringere la tua delicata mano che tante volte avevo sfiorato con le labbra per tingermi d'immenso.
Non era così facile, il mio corpo era buttato lì e abbandonato da tutto quello che avevo dentro.
Sentivo il gelo, avevo il timore che la persona che per 4 anni aveva detto infinite volte "TI AMO", era diventata solo un amante e questo status non potevo accettarlo, anche se la tentazione di riprenderti in qualche modo era fortissima.
Ricordai l'ultima volta che venni... tu per me eri l amore della mia vita. L'UNICO.
Per sempre doveva essere così.
E tu eri felice, ma non riuscivi a lasciarti andare.
C' era qualcosa che non riuscivo a capire, qualcosa che frenava l'impeto delle nostre passioni.
Cercavo di convincere me stesso, di riprendermi la vita, per tornare ad abbracciarti, anche riprendendo qualcosa di te, un po' alla volta.
Ero cosi felice,... ti avevo ritrovata...
Amore mio... eri qui con me...
All'improvviso un suono... la macchina impazzita... la pressione che scende, il battito cardiaco diventa flebile... lento...
"TI PREGO! TI PREGO NON ANDARE VIA!
Il pianto disperato di mia madre, mia sorella, di altra gente, di te che non riuscivi a capacitarti.
"CHISSA' QUANDO DECIDERAI DI TENERLO CON TE, QUESTO RAGAZZO... CE NE SONO POCHI COME LUI... PRENDILO... NON LASCIARLO ANDARE VIA..."
Questo pensai guardandoti disperatamente negli occhi, ma tu non poteva sentirmi.
Improvvisamente avvertii qualcosa che pressò con violenza il mio petto, quasi volesse rubare il cuore... e una volta... e due... e tre... colpi forti senza provocare il dolore, ma che mi facevano sobbalzare dal letto.
Il mio cuore, non solo era andato via dalla mia anima, adesso voleva lasciare anche quel corpo stanco.
Lei mi guardò atterrita, ingoiando il dolore provocatogli da quella scena e disse.. "IO NON CREDO PROPRIO CHE TU MI VOGLIA SPOSARE, abbozzando una smorfia di disperazione.
Non capivo nulla di ciò che accadeva, ma mi meravigliai che senza che avessi aperto la bocca, lei avesse sentito le mie parole...
"HO PAURA... HO PAURA, PERCHÈ ADESSO... SOLO ADESSO MI RENDO CONTO DI QUANTO TI AMO, QUANTO SEI IMPORTANTE PER ME, HO PAURA E NON VOGLIO PERDERTI, NON POSSO VIVERE PIU' SENZA DI TE, VOGLIO FARE UN GIORNO, ANCORA LE STESSE COSE CHE ABBIAMO VISSUTO... NON ANDARE AMORE... NON ANDARE VIA, TI PREGO..."
Il mio cuore tornò a battere, la confusione che c' era in quella stanza sparì e vidi tante facce dietro un vetro che cercavano certezze.
Trovai la mia anima in fondo alla grotta, cercai di usare parole di conforto, di convincerla a tornare indietro.
Il magone che avevo in gola in quel momento,
mi impediva di respira re.. cosi come mi impediva di parlare.
Riuscii a dire: "MA CHE DICI VECCHIO MIO!"
Non penso sia possibile tutto ciò, lei è andata via da un bel pezzo.
"Torna indietro, vieni con me in quel posto che ti ho detto... guarda un po', c' è ancora lei, non è andata via e nell'occasione di vederti ha messo su un bel vestitino... e sapessi quanto è corto e che belle gambe che ha!!!
Tornai indietro, saltando nel buio delle risposte ancora non avute.
La sentii di nuovo in qualche modo vicina a me, mi scrisse tante lettere che ascoltai nella stanza, dormendo e sognando ancora.
Sono ancora in viaggio... il mio corpo è ancora altrove... distante dalla mia anima.
Il viaggio continua ancora, cercando delle risposte dalla vita.
Se un giorno mi sveglierò... voglio farlo sicuro di poter sorridere e baciare ancora...
Vorrei uscire dal coma delle mie incertezze ma non ci riesco...
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