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L'invasione dei Cervi Volanti

Odiavo i safari di due giorni.
Troppa fatica.
Troppa strada.
Troppa terra rossa negli occhi e nel naso, troppo poco tempo perfino per individuare una tipa da rimorchiare... anche perchè all'ora della partenza è buio e le facce dei partecipanti sono buste di carta talmente accartocciate che resta difficile poter distinguerne la fisionomia.
L'abbigliamento per un safari alza al massimo il coefficiente di fallibilità nel riconoscerne il sesso e in qualche caso, addirittura la specie di appartenenza.

Adriana mi disse che io ero il più indicato per questa delicata missione che mi sembrò subito assolutamente priva di apprezzabili probabilità di successo.
Mi fornì delle motivazioni vagamente "mistiche" legate alle raccomandazioni di un certo pezzo grosso dell'industria farmaceutica di assecondare, in tutto e per tutto, quel manipolo di sfigatissimi amministrativi pugliesi in vacanza premio.

Mi raccomandò anche di indossare l'uniforme, cosa che come tutte le altre volte puntualmente non feci.

La mattina seguente Nicodemo mi strombazzò al telefono il suo buongiorno, con un tono imbevuto di un sospetto e ingiustificato buonumore, considerata l'ora.
Aveva sicuramente fumato.
Lo detestai.
- Mr Gabriel, it's 4:30 am!... the guests is coming…the drivers are waiting for you! And your breakfast is ready! - proclamò quasi cantando -
-si siiii... I'm on my way! ?" risposi con un lamento, e chiamando a raccolta insieme alle mie energie una dozzina di imprecazioni in swahili che avrei usato sicuramente durante il viaggio.
Mi informai sul numero dei partecipanti, dei mezzi e sugli autisti direttamente sotto la pagoda in makuti che fungeva da punto di accoglienza davanti alla reception.
In tutto 33 persone.
Era buio e l'aria era umida come l'alito di uno gnu con la gotta.
C'erano quattro minibus e il solito scomodissimo vecchio Land Rover che avrebbe guidato il convoglio e sul quale avrei lasciato i classici due ettolitri di sudore e qualche brandello di pelle bruciacchiata.
Lui, dal canto suo, mi avrebbe ripagato, affettuosamente, come sempre, con dei bei lividi sugli stinchi e dei poetici dolorini spinali che si sarebbero presentati possibilmente di notte e poi acutizzati sistematicamente qualora fossi stato in dolce compagnia.
Una nota positiva c'era: John guidava.
Avevamo due autisti di nome John. Questo era quello che preferivo.
Parlava poco con tutti ma aveva una faccia simpatica e l'espressione di chi fosse capitato lì per caso. Guidava umanamente per essere un giriama e aveva una vista eccezionale che surclassava di gran lunga il mio binocolo super professionale della marina kenyota, che lasciai nello zaino soprattutto perché pesava più del Land Rover.

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3 commenti:

  • simona bertocchi il 01/11/2007 19:25
    Adoro la tua ironia, lo stile che si srotola bene per tutta la trama.
    Dai, scrivi dell'altro.
    Simona
  • Margherita Ghirardi il 17/05/2007 21:26
    Bello, asciutto e pulito. Nessun fronzolo o parola di troppo. Divertente e a volte cinico, mi ha fatto sorridere e tanto in alcuni punti.
    L'unico appunto, quello di una donna romantica, almeno il nome di lei potevi ricordatelo!!!!
    Comunque complimenti...

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