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La ragazzina
Sul lago regna il silenzio; lo specchio d'acqua è immerso in un'atmosfera di assoluta serenità. Incastonato tra la superstrada - da cui solo molto raramente si ferma qualche macchina - e le cave di marmo, a un'altitudine abbastanza elevata, ci si può semplicemente sedere su una panchina e pensare che il tempo si sia fermato. Tutto scorre lentamente, è un piacere avere l'impressione che ogni cosa o ogni persona rallentano il loro movimento consueto, perché le si possa osservare con calma, attentamente, profondamente.
Anche Franco era dovuto uscire dalla superstrada, per entrare nello stretto parcheggio e scendere le scale di legno adagiate sul poggio, fino a raggiungere il prato che avvolge nel suo fresco e incontaminato abbraccio il grande specchio d'acqua. Chi lo aveva chiamato per dargli appuntamento in quel luogo voleva la certezza di non essere visto. La voce di quella strana telefonata, durante cui gli era stato solamente detto che avrebbe dovuto trovarsi lì alle quindici in punto, a Franco era sembrata appartenere a una donna - questa era la ragione essenziale che lo aveva spinto ad accettare -, una voce con un suono falso, come se chi stava parlando cercasse di alterare il tono.
Ormai era fatta. Franco era giunto fin lì, a oltre mille metri di altitudine, di giugno, appena terminate le scuole, proprio nel momento in cui iniziava il suo riposo estivo, in anticipo rispetto al mondo dei miseri mortali. Infatti nel suo lavoro di docente non deve ma fare mai la maturità, avendo solo il biennio termina il suo lavoro con gli scrutini di metà giugno e si concede al lungo riposo, dicano quello che vogliono i benpensanti del popolo. Una telefonata da una donna è l'ideale per dare il via nel miglior modo possibile alle vacanze estive, per un uomo senza legami amorosi, attaccato a una madre anziana, senza alcun obbligo con nessun'altra persona.
Da molti anni ormai la sua vita aveva preso una svolta verso la solitudine. I passati fidanzamenti erano risultati solo prove fallite, concluse con una fuga per l'incapacità di accettare il matrimonio con i suoi ritmi e le sue necessità, e con la paura di abbandonare una madre sola, debole, ma che in fondo all'animo Franco sapeva benissimo di non apprezzare. Con le sue donne che si rassegnavano ad aver avuto tra le braccia un bambino, nemmeno la parvenza di un uomo. La sua vita era stata ed era questo, ormai non avrebbe più potuto cambiarla.
Forse di opportunità in passato ne aveva avute, durante gli studi universitari, quando ancora poteva contare sul supporto del padre, un uomo tradizionale, che in realtà con i suoi limiti gli aveva impedito in modo definitivo di crescere. Ma adesso, a quarantaquattro anni, non si poteva più cambiare, non esisteva un'ultima svolta per tornare indietro.
"Ecco il mio professore preferito, quello di letteratura."
Di chi era quella voce alle sue spalle, l'unico segno di vita oltre al giardiniere del comune che stava curando le aiole. Era una voce di donna; allora non era stato uno scherzo, c'era veramente una donna che lo aspettava. Ma dove si era nascosta, per poi sbucare all'improvviso dietro alle sue spalle.
"Chi sei, io non ti..." Non potette terminare la frase. Appena si girò non poteva dire di non conoscere Caterina.
"Sorpresa!!! Sei contento che ti ho dato appuntamento qui?"
"È uno scherzo? Se è uno scherzo smettiamola subito, non ho tempo da perdere".
Franco si alzò di scatto dalla panchina con sguardo arrabbiato, con gli occhi che si stavano infuocando, ma lei lo trattenne con tutta la sua forza. In realtà di forza la piccola Caterina ne aveva davvero poca, ma si aggrappò al braccio robusto dell'uomo con una tale determinazione, che lui dovette evitare di liberarsi dalla presa della ragazzina, per non farla cadere.
"Uno scherzo? E secondo te se avessi voluto farti uno scherzo te lo avrei fatto a oltre mille metri di quota, dove al di là di un vecchio giardiniere e delle macchine che passano ad alta velocità sulla superstrada, ci siamo solo noi? E avrei preso un treno di due ore, ancora solo per farti uno stupido scherzo?"
In effetti quanto sosteneva la bimba aveva un senso. Le giuste considerazioni di Caterina calmarono l'impeto di Franco.
"E allora perché mi hai fatto venire fin quassù?"
"Così, solo perché volevo stare un po' con te, perché mi sei simpatico, perché... sei carino."
Quell'ultima parola fece girare la testa a Franco. Carino? Cosa intendeva dire questa ragazzina. Caterina lo guardava dal suo metro e cinquanta, piccolina eppure così graziosa, con lunghissimi capelli che toccavano i fianchi raccolti in una coda. Anche se lui non era molto alto, lei doveva lo stesso allungare un po' il collo per guardarlo negli occhi, insistente.
"E come vorresti che trascorressimo il pomeriggio?"
Franco ormai era curioso di quello che voleva fare la ragazzina. Sapeva che poteva essere pericoloso farsi vedere in compagnia di una minorenne, ma voleva andare fino in fondo. E poi, d'altronde, correva il pericolo di farsi vedere da chi? Dal vecchio giardiniere del comune? Tanto quello chi lo conosceva; per il resto erano solo loro due i turisti del lago.
"C'è una capanna abbandonata dove d'inverno vanno i cacciatori, potremmo andare un po' là a sederci e a parlare."
"Come vuoi. Ma è un posto comodo questa capanna?" chiese Franco mentre si erano già incamminati lungo la riva del lago, delimitata da uno steccato simile a quello dei ranch dei vecchi film western, in effetti una decorazione che rendeva il paesaggio ancora più suggestivo.
"Che vuoi, è un posto come tanti, non ti basta?"
"Per me, mi adatto a tutto. E poi sei stata tu ad invitarmi, no?"
"E non ti diverti con me; sono forse troppo stupida per stare in tua compagnia."
"No, quello no assolutamente. Anzi, in realtà sei molto simpatica."
"Almeno quello, dato che non sono alta e bella."
"Perché dici così, sei molto bellina invece."
"Guarda che volevo fartelo dire, che sono bellina, per questo ho detto che non lo sono."
E iniziò a correre come una bambina, e veramente sembrava essere solo poco più di una bambina; i suoi sedici anni li portava davvero bene. Attendeva che lui la inseguisse. Le gambe di Franco scattarono come mosse da una volontà inconscia; le correva dietro come se fosse anche lui un adolescente, stava abbandonando ogni precauzione e sentiva che di lì a poco avrebbe perso anche i freni inibitori.
Quando il suo corpicino iniziò a stringersi sensuale intorno a lui, seduta sulle sue gambe, tanto piccola da occupare solo lo spazio indispensabile, allora Franco si rese conto di quanto era veramente bella. I lunghi capelli ormai abbandonati sulle spalle scendevano giù accarezzando le forme, scolpite come se l'artista avesse voluto rifinire ogni particolare, fino al piccolo seno perfetto; la "bambina" si era spogliata come se avesse voluto fargli un omaggio e lui non aveva potuto resisterle.
"Stai tranquillo, non ti voglio ingannare. Voglio solo... Voglio solo che tu... Hai capito, ti prego, hai capito!!!"
E consumarono tutte le loro passioni più profonde dentro quella capanna abbandonata, dove restavano le lattine di birra e i sacchetti dimenticati lo scorso inverno dai cacciatori. Un luogo umido, squallido, ma agli occhi di Franco e Caterina suggestivo e luminoso, che raccoglieva i loro corpi che adesso si abbandonano senza riserve, rigirandosi, stendendosi, sperimentando, esprimendo tutto il furore erotico di cui erano capaci.
Fu un'estate calda quella durante cui Caterina e Franco consumarono la loro inusuale storia d'amore. Sempre nascosti al mondo lassù, a oltre mille metri di altitudine, allietati dalla frescura del lago ed eccitati dai loro corpi lontani nell'età, ma vicini nella passione. Lei a volte ripensava a quando lui faceva lunghe spiegazioni e chiamava le allieve alla lavagna per scrivere schemi, adatti a favorire la memorizzazione almeno dei concetti basilari. Lei non capiva mai, se non le nozioni più elementari.
"Non spieghi male, lo intuisco, ma io non capisco lo stesso."
Franco rideva chiassosamente, si lasciava andare e le confessava: "Non ti preoccupare, te ne sarai resa conto che a giugno finisce sempre che sono promosse quasi tutte."
Caterina faceva spallucce, come se questo concetto basilare per lei e le sue amiche non la riguardasse.
"Tu a cosa pensi quando sei come me? Non quando facciamo l'amore, in quei momenti spero che tu pensi a me come una donna e non come una ragazzina. In generale. Sai, quando passiamo lungo il lago per venire qui, quando abbiamo concluso il nostro rapporto, quando mi aspetti sulla panchina."
"Non so, rivedo quella bambina carina che mi guarda dal suo banco, che adesso mi appare una donna così grande."
"Una donnina così grande, non credo che diventerò mai qualcosa di più."
Con il trascorrere di quella pazza estate e il moltiplicarsi degli incontri - Caterina voleva vedere Franco quasi tutti i giorni, tanto che lui dovette impegnarsi a fondo per essere certo di poterla accontentare - la ragazzina si aprì sempre di più al suo amante. Franco iniziava a capire che in quella testolina carina, ma che a lui era sempre sembrata abbastanza vuota di contenuti, in realtà si nascondevano pensieri nemmeno tanto facili da capire.
Il rapporto sofferto con la madre, che dopo la morte del padre aveva provato a rifarsi una vita con altri uomini.
"Non la capisco, dice di non aver superato la morte di papà, ma poi è sempre alla ricerca del piacere. Non la sopporto quando fa così."
Le amiche, quelle compagne di classe che lui credeva di conoscere bene, che adesso nei racconti di Caterina apparivano crudeli con lei senza alcuna ragione, almeno per quanto poteva essere il modo di vedere la vita di un'adolescente.
"Sembrano gelose e curiose di tutto quello che faccio, a volte su WhatsApp hanno spifferato di avermi vista baciare dei ragazzi in discoteca; insomma, sparlano di me e non lo sopporto."
Il suo futuro incerto, che adesso sembrava essersi fermato. La sua vita sembrava essersi presa una sosta, per consumare al meglio quell'attesa storia d'amore.
"Cosa potrei fare in futuro. Ogni cosa che deciderò di fare, dovrò affrontare la reazione e forse la cattiveria delle altre persone. Questo mi spaventa. Ma adesso sono qui con te. Sento che questo nostro amore clandestino è una cosa buona, voglio viverlo al meglio, tu no?"
E lui non poteva evitare di dirle sì.
Quando vedeva gli amici - sempre più raramente - Franco non sapeva come giustificare le sue assenze. Erano ormai uomini maturi come lui e avevano perso ogni speranza nel futuro, legati come lui a madri anziane che, dopo aver dato loro la vita, con la scomparsa dei mariti avevano deciso di fagocitare proprio quelle stesse esistenze che avevano donato.
"Cosa farai di tutto questo tempo libero che ti rimane? Potresti passarlo un po' con noi; che fai, ti sei reso casalingo tutto d'un tratto?"
Giovani sempre meno giovani, mai cresciuti, rimasti nel limbo di una vita mai sbocciata, ma che in realtà erano felici della loro condizione, della possibilità di vivere serenamente non per il piacere degli affetti conquistati, ma proprio per la mancanza di ogni vincolo costrittivo con un qualsiasi altro essere vivente. Tranne una madre a cui attendere, che li avrebbe liberati con la sua morte, ma che una volta persa, adesso non ci pensavano, sarebbe mancata loro come l'affetto più prezioso.
No. Franco a queste persone non poteva spiegare la tenerezza del suo amore per la piccola Caterina; e allora mentiva, non poteva fare altro per difendere la sua felicità.
Era l'ultimo giorno delle vacanze scolastiche. Come nella nota poesia di Sandro Penna, ventiquattr'ore dopo i ragazzi di tutti gli ordini e di tutte le età sarebbero tornati tristemente sui loro banchi a studiare, e anche Franco avrebbe ripreso il suo lavoro, pronto ad affrontare le difficoltà e le evoluzioni di un nuovo anno di scuola. Con Caterina si era dato appuntamento come sempre sul lago. Non l'avrebbe riavuta in classe, perché promossa al triennio. Destinata a un'aula posta nel lato opposto dell'istituto rispetto a dove lavorava Franco, questi probabilmente non l'avrebbe incontra nemmeno la mattina all'ingresso e, se anche si fossero incrociati, avevano deciso di non parlarsi, nemmeno di salutarsi. Anzi, avrebbero fatto finta di conservare un pessimo ricordo l'uno dell'altro, il tutto per difendere questo loro amore clandestino così dolce e così appagante, ripromettendosi di ritrovarsi al loro lago una volta sperimentato il rientro dalle vacanze, che ad ambedue appariva un pericolo. Non volevano tradirsi e rischiare di rendere pubblico il loro segreto.
Quell'ultimo giorno di piacere e di amore, Franco si presentò puntuale alla loro panchina, ma Caterina non c'era. Era la prima volta che la ragazza non rispettava i loro impegni. Franco attese per quasi due ore, pensando a cosa poteva esserle successo. Adesso che Caterina sembrava avergli dato buca, cominciava a capire il terribile errore che aveva commesso. Non doveva assolutamente soddisfare i capricci di un'adolescente. Lei si era sempre detta animata dalle migliori intenzioni, ma i giovani sono volubili. Se l'inevitabile separazione, che sembrava giunta anche prima del tempo, avesse comportato solo di rinunciare ai loro incontri, Franco non avrebbe avuto problemi. Certo, sentiva un sentimento sincero nei confronti di Caterina, ma sapeva anche che il loro amore era impossibile. Era inevitabile che prima o poi gli incontri finissero. Se ne doveva fare una ragione.
Purtroppo adesso iniziava a temere da lei un brusco cambiamento. Sospettava che volesse vantarsi della conquista estiva assai inusitata, finendo per sporcare in modo irrimediabile il suo buon nome, rendendo inutili gli sforzi compiuti in tanti anni di lavoro per avere una buona valutazione a scuola da parte di tutti, colleghi, preside, collaboratori e anche studenti. Cosa poteva fare per evitarlo? Cosa lo aspettava la mattina seguente al rientro sul posto di lavoro? Davvero Caterina era tutto sommato più intelligente di quanto gli era sembrata in passato, oppure era talmente stupida da fare un danno irreparabile?
Mentre nella sua testa si affollavano le domande, come in una stanza troppo piccola per poter accogliere una moltitudine, Franco vide la ragazza sulla riva del lago seduta su una sorta di piccolo scoglio piantato nella rena, con il corpo voltato verso di lui per non finire con le scarpe nell'acqua, ma con la testa ruotata di novanta gradi e lo sguardo perso in lontananza, verso il centro del lago. Da quanto tempo era lì? Il professore avrebbe giurato che Caterina non c'era pochi minuti prima.
Lui non voleva andarsene, adesso desiderava sapere a tutti i costi cosa passava in quella testolina.
"Non dovevamo vederci per un'ultima volta?"
"Non voglio rivederti." Rispose lei, con una chiara nota di risentimento nel tono della voce.
"Se non sono stato corretto o, in generale, se è successo qualcosa di spiacevole dimmelo pure." Sostenne Franco, mettendosi a sedere sullo scoglio accanto alla ragazzina, dando le spalle al mare, come se rifiutasse di guardare in faccia uno degli spettacoli più belli della natura.
"Non hai fatto niente e non è successo niente, solo che adesso non voglio davvero più vederti."
Adesso Caterina appariva a Franco di nuovo quella ragazzina un po' stupida, che in classe capiva poco o nulla e che era sempre stata promossa per compassione. Pensava di essersi umiliato a perdere il tempo con una bambina ridicola e sentiva anche di essere stato offeso dal suo voltafaccia. Che rimanesse con lo sguardo perso lungo la distesa dell'acqua, e che facesse e dicesse quello che voleva. Non gli importava più niente. Franco decise di andare via senza aggiungere una parola.
Ma mentre si incamminava, lei lo chiamò con voce supplicante: "Aspetta non andare."
"Dovrei rimanere a sentirti dire che non vuoi più vedermi?"
Adesso il volto di Caterina trasmetteva una disperazione profonda, i suoi occhi si riempirono di lacrime che non potevano ancora uscire liberamente.
"Io ti amo, ma tutto questo non è possibile."
Franco si stava calmando. Dentro di sé provava dispiacere e rimorso per quello che stava accadendo.
"Dovevi saperlo fin dall'inizio che tutto questo non è possibile, è solo un gioco, ma io credevo tu fossi felice."
"No, non sono felice, ma non per la ragione che credi tu."
Adesso la ragazzina piangeva liberamente, le lacrime solcavano il suo volto dolce e carino e lei appariva in attesa di liberarsi di ogni peso.
"Non per la ragione che credi tu. Cosa mi importa se sei più grande di me. Nulla. Ma tu non sai."
"Cosa dovrei sapere." Franco si sentiva sempre più confuso e in colpa. Si avvicinò a Caterina e le prese una mano, per cercare di farle coraggio. "Cosa è successo?"
"Tu non leggi mai i giornali, vero. - le ricordò lei - In classe lo dicevi spesso che non leggi i giornali e guardi poco la televisione, tanto l'informazione è tutta manipolata. Ecco perché non hai saputo, eppure per un po' il giornale locale ne ha parlato."
"Di cosa?"
"Sono morta Franco, sono morta tre messi fa, il giorno dopo la fine della scuola. È stato un tipo su una moto di grossa cilindrata, andava a forte velocità, mi è venuto addosso e mi ha investita sul marciapiede. Sono morta Franco, non tornerò più a scuola, non rivedrò più le amiche, non ti saluterò più nel corridoio. Allora prima di lasciarmi andare ho ripensato a te, a quanto mi piacevi quando ti vedevo alla cattedra a spiegare, a quanto mi eri simpatico quando venivi al mio banco per aiutarmi a fare gli esercizi o a scrivere il tema. Ho capito di averti amato, tanto amato, e ho sognato di poterti avere accanto a me. Per un po' di tempo il mio desiderio si è avverato. Il mio ultimo desiderio era esserti vicina non come una bambina, non come un'allieva, ma come una donna."
E la sua immagine si dissolse, a Franco sembrò che si confondesse nell'immensa distesa d'acqua.
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