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Esami e portafortuna
Passo accanto a una ragazza che indossa una maglietta bordò a mani-che corte con il logo dell'università stampato sulla pancia.
Svolto l'angolo del corridoio.
Virginia è seduta a uno dei tavoli studio accostati alla parete bianca, con lo sguardo rivolto verso una pila di fogli, e si sventola il viso con un A4, scuo-tendo il bracciale di perle intorno al polso.
Punto il dito contro di lei. "Ce l'hai tu."
Mi guarda con gli occhi incorniciati dall'eyeliner, inarca un sopracciglio. "Ciao anche a te, Alex." Posa l'A4 sugli altri fogli.
Gli spallacci dello zaino mi premono la maglietta contro le ascelle suda-te. Mi sfilo la borsa che cade con un tonfo sul pavimento. "Te l'ho prestata a lezione di linguistica tedesca."
Una porta si chiude dietro di me. Un paio di scarpe strusciano sul suolo.
Virginia batte le lunghe dita sulla fronte ampia. "Ah la tua penna!" Si morde il labbro inferiore. "L'ho gettata nella spazzatura."
Serro i denti. "Tu cosa?"
Qualcosa mi schiaccia il piede. È l'Eastpak turchese di Virginia. Se ho una possibilità di recuperare la mia penna, mi conviene evitare di prenderlo a cal-ci, anche se vorrei tanto farlo. Sposto la gamba e lo zaino cade a terra.
Virginia inclina il busto all'indietro fino a toccare lo schienale di legno della sedia. "Che te ne fai di una penna che non scrive più?"
"È un portafortuna."
Dall'altra parte del corridoio echeggiano una risata falsa e una voce stri-dula.
Virginia punta il gomito nudo sul tavolo, appoggia il mento aguzzo sul palmo e mi guarda sbattendo le lunghe ciglia.
Mi prende in giro perché crede che io sia superstizioso. "Ho superato venti esami con lode grazie a..."
"... a una biro con il tappetto masticato, certo." Sorride scuotendo il ca-po.
"Domani ho l'esame della Roccaforti."
Passettini rapidi risuonano nel corridoio.
"Ah, fai l'esame con Satana, tanti auguri" dice una voce maschile alle mie spalle.
Un ragazzo dai capelli neri e unti mi passa accanto con un bicchiere di caffè in mano. "Prima di bocciarmi mi ha chiesto gli ingredienti della pasta al forno." Avevo proprio bisogno che uno sconosciuto mi ricordasse di quanto cinica potesse essere la Roccaforti.
Il buon samaritano si dirige verso il posto libero vicino a Virginia che, con una smorfia, afferra i bordi della sedia e si trascina lontano dal tipo, graf-fiando le mattonelle con le gambe metalliche della seggiola. Con i soldi delle nostre tasse il rettore potrebbe anche degnarsi di comprare dei gommini.
Poggio una mano sul legno freddo e liscio del tavolo. "Mi gioco la bor-sa di studio."
Virginia si sposta il bracciale di perle verso il gomito. "Hai una media al-tissima, potresti accontentarti anche di un diciotto."
Scuoto il capo. "Jessica ha la mia stessa media."
Delle pagine frusciano. È il tipo di prima che sta sfogliando un manuale.
Virginia grugnisce. "Nessuno mi chiede gli appunti da quando quella fi-ga di legno sottutto spaccia registrazioni a tutto il dipartimento." Mi addita con l'unghia smaltata di azzurro. "Quanto godo se vinci tu la borsa di studio."
Prendo i lembi della scollatura e muovo la maglietta per farmi aria. "Sa-rebbe più semplice se avessi la mia penna."
Virginia fa girare gli occhi. "È nei cassonetti del mio palazzo."
Il cuore mi pulsa in gola. "Non dirmi che è già passato il netturbino."
Virginia raccoglie i fogli sul tavolo e li impila. "Il giorno dell'indifferenziato è domani."
Che sollievo! "Mi accompagni?"
Virginia si alza in piedi. "Andiamo." Raccoglie il suo zaino azzurro dal pavimento. Prende i fogli dal tavolo, li infila nella borsa e fa scorrere la zip lungo i denti di plastica della cerniera. "Spero che quel vecchio pazzo non sal-ti fuori mentre rovistiamo nella spazzatura."
Spingo la sedia contro lo spigolo del tavolo. "Di chi stai parlando?"
"Uno svitato che porta la coppola a giugno." Virginia sposta il suo Eastpak vicino alla mia borsa. "Lasciamoli qui: non camminerò sotto il sole con lo zaino carico di libri."
Mi avvio lungo il corridoio.
"In bocca al lupo per il tuo esame" dice il tipo con i capelli unti.
Un brivido mi attraversa il tronco. Spero di riuscire a trovare quella pen-na prima di stasera. Devo ancora finire di ripassare la seconda mutazione con-sonantica.
*
Cammino a grandi falcate sull'asfalto bollente, tra un palazzo color se-nape con il cornicione bianco e un condominio rosso con lenzuola viola, ma-gliette nere, calzini e boxer che penzolano dai balconi. Se non ricordo male, Virginia vive nell'edificio color senape.
Inspiro. Il profumo di Dixan mi riempie i polmoni. Sarà meglio farne una buona scorta, visto che sto per cercare la mia penna in mezzo ai rifiuti.
Virginia ansima dietro di me. "Correre a giugno inoltrato dovrebbe es-sere illegale." Calpesta l'asfalto finché il suo respiro mi entra nell'orecchio. "Se non vinci la borsa giuro che strangolo sia te sia Jessica."
Giro l'angolo del vicolo e mi dirigo verso la porta a vetri lungo il muro.
Sul marciapiede, vicino all'uscio, ci sono due secchi gialli con la scritta nera Plastica, uno marrone con la scritta bianca Organico, uno bianco con la scritta nera Carta e cartone, uno blu con la scritta bianca Vetro e uno verde scuro con la scritta nera Indifferenziato. Dove sarà la mia penna?
Qualcosa mi preme la spalla. Le unghie azzurre di Virginia tamburellano sulla mia clavicola.
Allunga l'altro braccio, scuotendo le perle del bracciale, e indica il cas-sonetto verde scuro. "è lì dentro."
Mi avvicino al marciapiede. Afferro i manici di plastica del tappo e apro il secchio. La puzza di petto di pollo avariato, uova marce e pesce mi stupra il naso.
Virginia tossisce. "Bleah! Quella del quinto piano e le sue maledette uo-va."
Mi turo le narici. La mia povera biro è in mezzo a questo lerciume.
Virginia infila la testa nel contenitore e arriccia le labbra. "Il sacco è ver-de."
Nel cassonetto ci sono dei sacchi neri e azzurri uno sopra all'altro. Devo spostarli per trovare quello verde.
Un sacco azzurro enorme è in cima al cumulo. Forse quello di Virginia si trova sotto. Premo sulla pellicola comprimendo i rifiuti al suo interno, e faccio scivolare le dita verso il basso, lungo la superficie liscia, finché non compare una sfera nera striata di riflessi bianchi. Ci avevo sperato.
"L'hai trovato?" la voce di Virginia rimbomba all'interno del secchio.
Scuoto il capo.
L'odore di petto di pollo avariato è talmente forte che tiro fuori il naso da quella fogna per prendere una boccata di Dixan. Chiunque abbia steso ad asciugare la sua biancheria proprio oggi merita una statua.
Virginia lascia andare il tappo del cassonetto che si chiude con un tonfo e rilascia una zaffata di uova marce.
Starnutisco. "Dobbiamo rovesciarlo."
Virginia fa scorrere il bracciale lungo l'avambraccio. "Beh, sbrighiamoci, prima che arrivi il vecchio."
Afferro i bordi del secchio e tiro finché il contenitore non si ribalta vomi-tando sacchi neri e azzurri che rotolano sull'asfalto uno dietro l'altro, urtando-si e rimbalzando.
"Alex, che ti passa per la testa!" grida Virginia.
Se tu non avessi preso la mia penna, non sarei costretto a rovistare in mezzo alla tua spazzatura e alle uova marce della tua vicina.
Un sacco nero esce dalla bocca del cassonetto. Ci siamo: ora dovrebbe uscire quello verde.
Virginia mi passa davanti e insegue un sacco che rotola verso il bordo del marciapiede dall'altra parte della strada. "Dobbiamo rimettere tutto in or-dine."
Lo faremo quando avrò trovato la mia penna.
Ma il secchio dell'indifferenziato giace sull'asfalto con il coperchio spa-lancato. Non esce niente.
Mi accoscio. Una poltiglia giallastra e densa imbratta le pareti all'interno del secchio e, sul fondo, c'è il sacco verde chiaro di Virginia. "Trovato!"
"Bene, prendilo, rimettiamo tutto in ordine e andiamocene" dice Virgi-nia.
Allungo la mano per afferrare il ciuffo di pellicola che spunta dal laccio di plastica. Tiro verso di me quell'ammasso di rifiuti che striscia lungo le pareti del cassonetto portandosi dietro la melma giallastra.
Mi alzo stringedo il sacco. Il profumo di Dixan mi disinfesta i polmoni.
Virginia raccoglie il cassonetto dal pavimento e lo allinea con i suoi compagni mangiamonnezza sul marciapiede.
Slego il nodo e apro il sacco. Una ventata di tabacco mi morde gli al-veoli. Sposto con le dita mozziconi di sigarette, una spugna e degli spazzolini con le setole sfilacciate. La mia penna non c'è. Sbuffo.
Qualcosa di trasparente luccica sopra un assorbente bianco imbrattato di sangue scuro. Raccolgo con l'indice e il pollice la mia penna. Finalmente l'ho trovata!
"Delinquenti!" tuona una voce maschile rauca.
Un vecchietto con una coppola color vomito sulla testa zoppica verso di noi brandendo un bastone da passeggio. Deve essere il pazzo di cui parlava Virginia.
Virginia getta un sacco dentro il cassonetto. "Se prova a toccarci chia-mo i carabinieri."
Il vecchietto punta il dito contro di lei. "E gli racconterai che rubi dalla mia spazzatura insieme al tuo amico?"
Virginia si mette le mani sui fianchi. "Gli dirò che lei getta le dentiere nel vetro."
Il vecchietto si sistema la coppola sul capo. "Mascalzoni! Andatevene." Allarga il braccio tremolante e molla un fendente con il bastone.
Mi abbasso per schivare il colpo, giravolto e corro via. Ma la biro mi sci-vola dalle mani, cade sull'asfalto e rotola verso un tombino. No!
"A lavorare dovete andare!" grida quel vecchio rincoglionito.
"Poteva colpirci, si rende conto?" tuona Virginia.
Spingo con tanta forza sulle gambe da far scricchiolare ginocchia e ca-viglie.
La penna rotola sui bordi metallici del tombino.
Allungo gambe, braccia e dita verso il tappetto nero della biro. L'asfalto mi divora le cosce, la pancia, i gomiti. Il mio portafortuna cade all'interno del-le fessure, inghiottito dalla strada.
*
Il libretto universitario mi scivola dalle mani e cade sul pavimento gri-gio. Lo raccolgo e procedo per il corridoio deserto. Lo studio della professo-ressa dovrebbe trovarsi qui.
Estraggo l'Iphone dalla tasca dei jeans, sblocco lo schermo. Mancano ancora due minuti al mio turno.
Un brusio di voci proviene da una porta socchiusa lungo il muro di sini-stra.
Metto a fuoco: sulla targhetta di plastica trasparente c'è scritto in nero professoressa Eugenia Roccaforti.
Due spalle larghe e robuste escono dall'ufficio. Un ragazzo si copre il vi-so con il grosso braccio. I singhiozzi echeggiano per il corridoio.
Chissà che cosa gli ha detto per farlo scoppiare a piangere: c'è un moti-vo se la chiamano Satana, dopotutto.
Stringo il pugno intorno al vuoto. Non ho nemmeno la mia penna.
Distendo le dita e varco la soglia della stanza. I raggi del sole si infilano tra le bande verticali della tenda sulla parete di fronte.
La Roccaforti è seduta dietro la scrivania sulla mia destra. Mi lancia un'occhiata e indica con il palmo rivolto verso l'alto la sedia davanti a lei.
L'ansia mi morde lo stomaco. Mi siedo e poso il libretto universitario sul tavolo, vicino a una tesi con la copertina rosso sangue. Chi è il masochista che ha scelto Satana come relatrice?
Le unghie lunghe e smaltate di rosso della Roccaforti tamburellano sul legno. "Spero che lei non scoppi a piangere come le altre tre studentesse e lo studente di prima."
Ho un groppo alla gola: deglutisco. Ce la posso fare.
Satana incrocia le mani. "Mi parli della seconda mutazione consonanti-ca."
Il viso roseo della docente e i muri bianchi si opacizzano. La scrivania di faggio si spegne. La copertina della tesi si scurisce fino ad annerirsi. Deve es-sere una nuvola passeggera.
La Roccaforti si schiarisce la gola. "Seconda mutazione consonantica, prego."
Un brivido mi attraversa il petto. Avrei dovuto ripassarla ieri invece di perdere tempo con la penna. Ma ora non è il momento di lamentarsi. Dunque, la seconda mutazione consonantica, sì, ehm... "è un fenomeno linguistico che avviene intorno al settimo secolo."
La professoressa assottiglia le labbra rosse. "Ne è sicuro?"
"Ehm..." L'ultima volta che ho letto quel paragrafo c'era scritto settimo secolo. No! La frase successiva diceva che non tutti i fenomeni sono avvenuti nel settimo secolo. "Alcuni fenomeni si sono verificati nell'ottavo secolo."
Una ruga percorre la fronte della Roccaforti. "Ottavo secolo, è sicuro?"
Deglutisco. Forse era il sesto, oppure ho sbagliato sin dal principio e non era neanche il settimo. "Q-quarto e q-quinto s-secolo."
Satana scuote il capo, i capelli neri e crespi rimangono immobili. "Non ci siamo proprio con le periodizzazioni."
Mi scoppia il cervello: mi massaggio le tempie con i polsi. Adesso mi chiederà gli ingredienti della pizzaiola, che mi fa anche schifo, mi dirà di tor-nare al prossimo appello e Jessica vincerà la borsa di studio.
La professoressa schiocca le labbra. "Mi descriva i singoli fenomeni del-la seconda mutazione consonantica."
Respiro. Questi li so. "Allora, i singoli fenomeni, sì, c'è innanzitutto il passaggio delle occlusive sorde a fricative sorde o affricate."
"In quali contesti diventano delle affricate?"
Schiarisco la gola. Oh no! Queste cose stavano sul quaderno degli ap-punti e avevo in programma di farlo ieri, ma ho passato tutto il pomeriggio a cercare la penna e la notte a deprimermi per non averla trovata.
La Roccaforti mi fissa con i suoi occhi verdi.
Struscio il palmo sui jeans intorno alla coscia. "Ehm... non me lo ricordo, mi scusi."
Con un artiglio rosso la professoressa tocca il libretto e lo fa scivolare verso di me sulla superficie del tavolo. "Le suggerisco di presentarsi al pros-simo appello, preparato."
Sono stato bocciato. Virginia aveva ragione: quella era solo una stupida penna con il tappetto masticato. Ho passato mesi a studiare per quest'esame.
Prendo il libretto, mi alzo ed esco.
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1 recensioni:
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- Sì, è una bella storia, ma hai scritto male una parola: hai scritto "bordò", ma si scrive "bordeaux".