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La bottega del nulla

Enrico attraversò la Provinciale con un passo deciso, desideroso di liberarsi dall'afa della stalla di Maro il vaccaro. L'odore di sterco che l'aveva soffocato sembrava ormai un lontano ricordo.
Mentre camminava davanti alla pizzeria "La Fiorita," un sorriso si dipinse sul suo volto. Ricordò la bravata estiva con gli amici, quando avevano inghiottito antipasti abbondanti, gustato pizze succulente e bevuto birra a fiumi. Alla fine, avevano interpretato una recita strappalacrime, fingendosi poveri sfortunati senza lavoro né casa. Avevano ottenuto clemenza dal proprietario, promettendo di lavare piatti e lavorare per ripagare il conto. Era stata una performance memorabile.
Ora, davanti al cancello chiuso e al cartello che annunciava la chiusura a causa della crisi economica, provò un senso di soddisfazione. Quel gestore aveva avuto il suo destino segnato dalla sua ingenuità, da quella stessa ingenuità che spesso portava le persone alla povertà.
Con il percorso di campagna che si estendeva davanti a lui e anticipava le Terreforti, Enrico rifletteva sull'ironia del nome. La zona era prevalentemente cretosa, inadatta per la costruzione.
L'unico edificio in costruzione era stato posto sotto sequestro dal Comune, lasciato incompiuto. Era diventato un rifugio per uccelli e innamorati clandestini. Un giorno, Enrico si divertì a contare le aperture nel muro, cinquantadue in totale, ognuna rappresentante una porta o una finestra mai realizzata.
Ma quando voltò il curvone, rimase sbalordito. Al posto dell'albergo c'era un vecchio casolare di campagna con un'insegna in legno sopra le due porte, recante la scritta "La Bottega del Nulla." Si chiese cosa significasse quel nome e cosa fosse accaduto all'albergo.
Una coppia di anziani si fermò in auto davanti a lui e l'uomo alla guida chiese cosa fosse successo all'albergo. Enrico, credendo che l'albergo fosse stato demolito, rispose con un'aria di sufficienza. Ma la donna nella macchina urlò quando vide l'insegna, e l'uomo alla guida ripartì di gran carriera.
Enrico si aggrappò al biglietto che Carmine il chiromante gli aveva dato in segreto. Doveva incontrare Carmine lì, a mezzogiorno, subito dopo il curvone. Gli avrebbe rivelato il suo destino. Ma ora aveva molti dubbi sull'onestà di Carmine e sull'accuratezza delle sue previsioni.
Sospettando di essere stato ingannato, Enrico si avventurò nella Bottega del Nulla, scettico ma curioso. Dentro, trovò l'oscurità rotta solo da una lampadina tenue che illuminava un tavolo dove sedeva Carmine. Vestito di nero, Carmine aveva un braccio disteso sul tavolo accanto a un cappellaccio dalla tesa larga e un grosso libro.
Quando Carmine lo vide, sorrise in modo enigmatico. Enrico notò un corvo nero sotto il tavolo, bendato sugli occhi e cercava di bere da una coppa riempita di un liquido rosso che sembrava vino. La stranezza della scena lo turbò.
Chiese a Carmine cosa stesse facendo il corvo, ma la risposta di Carmine fu sconcertante. Gli disse che il corvo stava cercando di bere la sua anima, e che ormai mancava poco per riuscirci. In un momento di puro terrore, Enrico fu colto alle spalle da Carmine, che gli inflisse una ferita mortale alla gola.
Mentre il sangue nero e denso sgorgava dalla sua ferita, Enrico cadde a terra. Il corvo ribaltò la coppa, il liquido rosso si mescolò al sangue, rivelando una verità inquietante: il liquido nella coppa non era vino, ma sangue!
La Bottega del Nulla aveva rivelato un orrore oscuro e Enrico si era avventurato in un mondo di tenebre e mistero da cui non sarebbe mai più uscito.

 

l'autore Domenico ha riportato queste note sull'opera

Scritto nel 2015, ispirato a un albergo posto sotto sequestroin zona abusiva. "Terreforti" è una specie di ossimoro, dato che il terreno è in massima parte di argilla. Ci andavo a giocare da piccolo.


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