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Può succedere

Può succedere a tutti. Può succedere a te.
Ti arriva all'improvviso quel pugno nello stomaco che per giorni immaginavi, temevi, ma non ti auguravi.
Più allontanavi quel pensiero, e più ti tornava addosso, come un boomerang maledetto, e ti si posava sul cuore, sullo stomaco, sulla pancia, ovunque tu potessi provare dolore.
L'attesa sfinisce, logora, consuma, ti spacca sempre il cuore in mille pezzi e l'ansia prende il posto della tua anima.
E arriva il giorno maledetto, quando un anonimo qualcuno prende in mano la tua vita e la fa in mille pezzi, davanti a te, come carta straccia.
Tu, che per un eterno momento, non sai più dove ti trovi, il corpo di ghiaccio, immobile. Una disperata paura ti veste la pelle. Il pugno ti scuote, fissi gli occhi su un punto imprecisato, davanti a te ci sono segni di vita, un quadro, dei fiori, una matita, un cappotto buttato su una sedia. Ma tu non vedi niente di tutto questo, gli occhi spalancati solo sulla tua vita. Su tutto quello che hai fatto da quando sei venuta al mondo, su tutto quello che hai avuto, che hai dato, che ti hanno tolto.
E adesso... cosa avresti fatto adesso?
All'improvviso ti viene in mente una canzone... meraviglioso, quella che dice ma guarda intorno a te, che doni ti hanno fatto, ti hanno inventato il mare, il sole, la vita. Per farne cosa? Per camminarci sopra come su un tappeto di chiodi, questa è stata per te la vita. A cosa serve meravigliarsi d'amore davanti al sole, al cielo, al mare, quando dentro non li hai? Quando dentro forse non li hai mai avuti? E adesso, allora, di cosa hai paura? Di lasciare tutto il dolore che hai sempre provato vivendo? E amando? Perchè piangi? Cosa puoi lasciare qui di così importante da piangere? Hai percorso chilometri di anni bui, qua e là piccole luci che si sono spente al primo alito di vento e non sei riuscita mai a riaccenderne nessuna. Hai amato, si... tanto. Sei stata amata, anche. Ed è stato bello, ti sentivi forte.
E quando poi hai amato da sola ti sentivi coraggiosa. Ma sei sfinita. Non hai lasciato niente di te, neanche un abbraccio o un ricordo. Sei stata sempre un attimo... un fiore reciso, una porta sbattuta, un lampo nella notte, un treno che partiva, la furia di un temporale, un giorno rubato, un libro chiuso di colpo sull'ultima pagina.
Sei sempre stata una fine.
Quel qualcuno ti guarda, forse a disagio, non vorrebbe essere lì neanche lui... è in silenzio. Come te.
Ti alzi, prendi il tuo cappotto rosso... chissà perchè ti viene in mente il giorno che l'hai comprato... eri così contenta.
Le mani tremano, mentre cerchi le chiavi nella borsa. Le afferri come fossero la risposta alle tue domande. Ti cadono per terra. Le osservi come se non ti appartenessero, sembra che niente ti appartenga più adesso, guardi le cose come fossero lontane da te anni luce. Estranee, tutto è diventato estraneo, sconosciuto... le cose, le persone, gli affetti. Ma anche prima, era così... forse non ci avevi mai pensato, ma era già così. La differenza è che ci soffrivi, non accettavi che le persone con le quali avevi diviso le più profonde intimità potessero diventare all'improvviso degli estranei. Non era naturale. Perdere le persone non può essere come dimenticare un ombrello in un bar o non trovare più un mazzo di chiavi. Non è naturale.
Ti chiedi se lo è adesso. Non lo sai. No che non lo sai.
Finalmente esci da lì. Inizi a camminare per strada, lentamente. Non sai cosa fare, adesso. Non sai niente.
Il mondo intorno già non ti appartiene più, neanche lo vedi, forse neanche esiste.
Ci sei solo tu e il cielo.
E tra te e il cielo quel pugno nello stomaco.

 

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