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IL GIOCATTOLAIO
Ci sono posti, luoghi, negozi, palazzi nelle nostre città che non sapremmo mai dire quando sono stati costruiti, o aperti, o chiusi. Ci sono posti, luoghi, negozi, palazzi nelle nostre città che non sappiamo neanche che esistono eppure sono.
A Milano, in corso di porta Romana vicino all’antichissima chiesa di San Nazaro, c’è un piccolissimo negozio che vende giocattoli vecchi. Nessuno degli abitanti della zona se interrogato può dire quando quel piccolo negozio è stato aperto. I giovani giurano di ricordarselo da sempre, gli anziani sostengono che è nato insieme a Milano e che il suo proprietario è il tempo. Fatto sta che nessuno ha mai fatto caso più di tanto a quel piccolo negozietto.
In effetti a ben guardarlo passa piuttosto inosservato. Una piccola vetrina ordinata e pulita con carillon, trottole, soldatini, bambole, trenini, macchinine di latta ed altro ancora. Il proprietario è un signore dall’età indefinita. Non molto alto, i capelli neri corvini tirati indietro e laccati sulla testa dalla brillantina, un paio di occhiali piccoli e rotondi che nascondono due piccoli occhietti, e due baffi lunghi, sottili e ben curati. Il suo nome Amos Zoma. Ogni mattina puntuale alle nove tira su la saracinesca per abbassarla ogni sera alle ore otto in punto. Le sue giornate le trascorre dietro al bancone a pulire, aggiustare, studiare i nuovi vecchi giocattoli che gli arrivano ed ad aspettare il prossimo cliente. Ad entrare sembra di essere in un paese del balocchi di collodiana memoria; un luogo dove il tempo sembra essersi fermato.
Era il periodo di Natale e Milano come ogni anno venne vestita a festa. Le luminarie rendevano ancor più evanescente e particolare quell’aria umida e un po’ nebbiosa che ogni sera scendeva per le strade, tutto assumeva uno spettrale color giallino. Le persone camminavano di fretta strette nei cappotti, vuoi per la premura, tipica dei milanesi, o per il freddo, o ancora per l’ora tarda. Tutti andavano di fretta, entravano ed uscivano dai negozi, si fermavano velocemente davanti alle vetrine, guardavano, osservavano e proseguivano. I lunghi tram scivolavano lungo le rotaie di corso di porta Romana accompagnati dal loro tipico rumore di ferro vecchio. Gente che saliva, gente che scendeva alle fermate, sempre di corsa, sempre di fretta, e mai in ritardo. Anche Amos Zoma aveva addobbato a festa la vetrina del suo negozio. Delle semplici lucine bianche per attirare l’attenzione, al centro appoggiato su dell’ovatta un grande carillon rotondo con delle damine del ‘700, vicino dei piccoli cavalli di legno, delle bambole, i trenini più belli appoggiati alle mensole sui lati, insieme alle macchinine ed ai soldatini di pasta.
La gente si fermava incuriosita e guardava con occhi bambini. Qualcuno entrava, e chiedeva informazioni ricordando improvvisamente quella bambola che stava in soffitta dentro il baule e che era appartenuta alla bisnonna.
“Buonasera” così accoglieva il signor Amos Zoma i possibili clienti “posso fare qualcosa per lei?”
“Buonasera” rispose l’uomo appena entrato “sono stato attirato dagli oggetti della sua vetrina, bellissimi!”
“Già” rispose Amos Zoma, mentre strofinandosi le mani si allontanava dal bancone per avvicinarsi alla vetrina “già. Sono tutti veri. Alcuni hanno anche più di cent’anni”.
“Se solo sapessero parlare, quanta storia potrebbero raccontare” riprese l’uomo.
“Sta cercando qualcosa in particolare?” chiese Amos Zoma
“No. Si. No, non saprei” continuò incerto il cliente “a dire la verità stavo scendendo dal tram quando ho notato la sua vetrina. È da anni che abito in questa zona, poco più avanti in via dei Pellegrini, e non avevo mai fatto caso a questo negozio. È una vera perla”.
“Grazie” replicò compiaciuto Amos Zoma mentre con la mano destra si lisciava i sottili baffi “ho sempre collezionato giocattoli e rarità. Sa, sono oggetti rari e preziosi, sono quasi tutti per bambini, ma alcuni sono per adulti. Tutti comunque hanno avuto in comune il desiderio di essere posseduti da qualcuno.”
“Già, ricordo ancora un capriccio che ho fatto da bambino quando volevo il capo indiano a cavallo in pasta della Elastolin” disse ridendo l’uomo
“Ne ho alcuni se l’interessa” rispose Amos Zoma “altrimenti posso permetermi di mostrarle qualcosa di più curioso.”
Nel dire questo voltò le spalle e velocemente sparì dietro una porta nascosta da una tenda. “mi scusi, ma vado un’attimo nel retro bottega, nella stanza dei segreti!” disse ridendo sotto i baffi e sempre strofinandosi le mani Amos Zoma.
L’uomo rimase da solo nel negozio. Allungò la mano e prese in mano un piccolo soldatino della Lineol, rappresentava una indiano con l’arco in mano. Era perfetto, non un segno del tempo, sembrava quasi un vero sioux rimpicciolito e pietrificato.
“Eccomi!” si annunciò improvvisamente Amos Zoma “eccomi di nuovo qui.” L’uomo ripose immediatamente il piccolo indiano e si avvicinò al bancone dove era stata appoggiata una grande scatola.
Amos Zoma si tolse gli occhiali per pulirli e l’uomo potè vedere bene quei suoi piccoli occhietti dal guizzo luciferino e inquietante. Improvvisamente avvertì del disagio. Il piccolo omino aprì la scatola e ne mostrò il contenuto: “È un carillon. Come vede è perfetto o quasi.” Il carillon era a forma di disco su cui erano incastrate cinque coppie di ballerini. L’omino girò la chiavetta, mise in moto il meccanismo e tutto improvvisamente prese vita.
“Vede. La perfezione di piccoli e semplici ingranaggi di metallo. Amati e curati da me…sembra una magia” commentò Amos Zoma “È completo in ogni sua parte, manca soltanto il cavaliere di quella signorina lì” e con il dito indice indicò una piccola bambolina. Tutte le figure avevano la testa, le braccia e le gambe di porcellana ed erano vestite di seta. Le donne indossavano degli abiti con delle perline e dei diademi in testa con delle piccole piumette tipici degli anni ’20, mentre gli uomini erano rigorosamente in nero.
“Guardi la cura dei particolari. Ormai non se ne vedono più così. Gli abiti sono in seta, i capelli sono veri e così le perline di vetro.”
La musica del carillon continuava a suonare metallica e fredda, sembrava un valzer, mentre le figurine abbracciate giravano contemporaneamente intorno al disco e su loro stesse. L’uomo ne rimase affascinato e turbato allo stesso tempo. Erano così reali da sembrare dei piccoli uomini. Poi improvvisamente la musica finì e le piccole figure smisero di girare.
“Manca un personaggio” ruppe il silenzio Amos Zoma “non riesco a trovarne altri di simili per sostituirlo. Non lo trova però perfetto?”
“Già. Girano e girano su loro stessi in continuo. ” disse l’uomo mentre si chinava per guardarlo meglio, poi riprese “i loro volti…le loro espressioni…così vere i loro sguardi sembrano così tristi. Ma che origine ha questo carillon?”
“Non saprei esattamente. L’ho comprato da una anziana nobildonna russa che era fuggita a Parigi dopo lo scoppio della rivoluzione. Sa ho vissuto anche a Parigi. Comunque l’ho acquistato che era tutto rotto e l’ho ricostruito pezzo a pezzo, ora mi manca solo una figurina. Spero di trovarla presto” e nel dire queste parole Amos Zoma fissò il suo cliente. Nonostante nascosti dagli occhiali i suoi occhi piccoli e scuri improvvisamente divennero grandi, enormi, giganteschi, di un nero mai visto, sembravano volessero inghiottirlo. L’uomo per un attimo ebbe quasi la sensazione di non riuscire a muoversi, gli sembrava di vedere dentro quelle enormi palle nere il terribile vuoto del nulla, del non tempo, del non spazio, del non essere. Poi improvvisamente si riprese, scosse la testa e disse: “Si, si, interessante la storia. Ora si è fatto tardi è meglio che vada. Grazie per il tempo dedicatomi. Buonasera”
Fece per voltarsi quando si sentì afferrare per il braccio “grazie per il tempo dedicatomi? Ma io caro signore non le ho dedicato nessun tempo. Guardi pure l’orologio, vede non è passato neanche un minuto da quando è entrato” rispose Amos Zoma
L’uomo guardò l’ora, erano sempre le 19. 55, la stessa ora di quando era entrato, poi guardò fuori, il tram da cui era sceso stava ora chiudendo le porte per ripartire e sul marciapiede vedeva camminare la stessa bella ragazza che lo aveva inavvertitamente urtato quando stava per scendere.
“Come può essere…?” chiese spaventato
“Come può essere…può essere e basta. Questo è un posto senza tempo, passato e futuro si uniscono in un unico presente. Io creo tutto questo. Vede voi avete l’impressione di vivere, di crescere, di invecchiare, ma in realtà ciò che voi percepite del passare del tempo è solo un fatto relativo. Il tempo non esiste, o per lo meno non esiste come lo pensate voi. Il tempo lo faccio io che non ho tempo, voi vivete e basta. In realtà le vostre esistenze sono così brevi…per questo avete il senso del passare del tempo relativo. Non ci ha mai fatto caso? Il tempo passa in fretta ed allo stesso modo a volte sembra non passare mai?”
L’uomo sempre più spaventato iniziò ad indietreggiare verso la porta
“È troppo tardi ormai, e su questo aveva ragione lei, signor mio” disse Amos Zoma mentre si toglieva gli occhialini “vede io sono l’artefice del vostro tempo, l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega. Voi mi appartenete, io vi ho creato e pensato, io sono il vostro caso, o come lo chiamate voi destino, fato coincidenza e quant’altro. Sono io, io soltanto.” L’uomo indietreggiò ancora con occhi terrorizzati “Spaventato? E perché mai? In fondo è stato lei ad entrare nel mio spazio, nel mio non tempo nel mio nulla senza fine, già perché io il tempo non ce l’ho. Io la stavo aspettando, è per non annoiarmi che vi ho inventato. Passo la mia vita a girare di paese in paese e posso essere nel passato nel presente e nel futuro allo stesso modo in posti diversi. Gliel’ho detto vero? Il carillon l’ho comprato a Parigi per lei negli anni ’20, ma a me è bastato andare nel nulla del retrobottega per andare ad acquistarlo. Spazio e tempo che si confondono…”
Amos Zoma si fece sempre più vicino all’uomo, i suoi occhi erano di nuovo grandi e neri e sembravano voler inghiottire tutto ciò che guardavano
“Vede questi giocattoli, signor mio? Li ho fatti tutti io. Quando le raccontavo che sono veri, non scherzavo, sa? Questo piccolo soldatino in pasta, per esempio…” e aprì la mano per mostrare il piccolo indiano sioux con l’arco “lo vede bene? Vede l’espressione del suo viso? È di stupore, è stata la sua ultima espressione prima che io interrompessi il suo tempo. O ancora questa bambola a forma di damina del ‘700, guardi bene gli occhi, non ne legge la tristezza cristallizata? Ebbene anche lei è opera mia. Ora le faccio vedere uno dei miei capolavori…vede questo autobus di latta? Lo guardi attentamente, anzi lo prenda in mano” e nel dire ciò glielo porse. L’uomo lo prese e lo avvicinò al viso. Dentro si poteva distinguere chiaramente l’autista con la divisa e il cappello, e tutti i passeggeri seduti ognuno al loro posto ordinatamente, una madre con in braccio il figlioletto, una bambina con i codini, e la cartella affianco, un signore con il giornale aperto, una vecchina con la borsa della spesa, una coppia di fidanzatini che si teneva la mano. L’uomo alzò lo sguardo appoggiò il piccolo autobus non più lungo di una decina di centimetri e fissò incredulo Amos Zoma che riappropiandosi del giocattolo lo rimise al suo posto nella vetrina. “questo è il mio capolavoro. Anni ed anni…. dico per lei che scandisce il tempo in minuti, ore giorni mesi ed anni, di lavoro a cercare le persone giuste da mettere dentro. Sa non è facile. Non tutti quelli che incontro e che entrano nel mio negozio vanno bene. Vede lei sarebbe perfetto” disse alzando gli occhi che ora avevano assunto un’espressione particolarmente seria. L’uomo ormai senza più riuscire neanche a parlare indietreggiò verso la porta che dava sul buoi del retrobottega “già lei è perfetto, l’altezza giusta, il corpo longilineo, i capelli scuri, i lineamenti nobili e i movimenti eleganti. Già lei è perfetto per quell’oggetto.” E indicò il carillon che stava sul tavolo “si ricorda, ne manca un personaggio. Una donna è senza cavaliere e lei è perfetto.” Nel dire questo Amos Zoma si fece sempre più vicino all’uomo, i sui occhi ormai erano diventati interamente neri e piano piano stavano inghiottendo nel loro vuoto infinito l’uomo.
Le feste di Natale passarono. Milano ritornò buia senza le luminarie e la gente sembrava meno di fretta. La vita riprese a scorrere normalmente, come sempre. Il piccolo negozio di giocattoli in Corso di Porta Romana c’era sempre. Il suo proprietario aveva tolto anche lui le piccole luci bianche natalizie e aveva cambiato i giocattoli in vetrina. Ai lati sempre i soliti trenini, autobus, macchini e soldatini, al centro le solite bambole facevano da contorno ad un nuovo carillon. Cinque coppie di ballerini vestiti con abiti elegantissimi erano pronti per cominciare a muoversi non appena la musica avesse iniziato a suonare. Era perfetto in ogni sua parte, le figure sembravano vere e a guardar bene uno di loro sembrava quasi avere le lacrime agli occhi.
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- Secondo me la poesia di cui è pervaso il racconto è il suo punto forte!
- Grazie...
- ,, molto bello... titty
- bellissimo! mi sono divertito ed emozionato a leggerlo... grazie mergherita. ciao, duccio.
- è lungo forse... ma - non perchè sia mio - l'idea è molto carina. DAVVERO!
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