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JORGE
Jorge
Os Senhores da Guerra (Madredeus)
Jorge aveva il suo sogno, un sogno abbastanza ambizioso da tenere occupata la mente sia durante i lunghi mesi sul mare che nei brevi soggiorni a terra: Jorge voleva mettere da parte abbastanza denaro per tornare definitivamente a casa e comprarsi un bar.
Aveva solo ventun'anni ma era già stanco di quella vita sulle navi da crociera, imbarcato come cameriere, ogni tre mesi con una Compagnia diversa. Gli restavano ancora poche ore di quel giorno e la notte intera da passare in Portogallo, poi avrebbe preso servizio sulla Danska Maru: armatore nipponico, itinerario scandinavo e clientela mista, zeppa di crocieristi generosi. Ma non era sicuro che, tra stipendio e mance, avrebbe raccolto la somma che gli serviva.
Quanta acqua doveva ancora navigare prima di poter comprare il suo bar? Il Cafe Oceano di Afife, che era già nei sogni di suo padre., che aveva passato tutta la vita a desiderare il bar, a procreare e a bucare i biglietti dell'Elevador di Santa Luzia, a Viana do Castelo, proprio a dieci minuti da quel bar (se viaggi in auto).
Jorge aveva cominciato a diciassette anni a lavorare a bordo delle navi. Dopo tutto questo tempo speso a preparare cocktail e servire tramezzini, dietro il bancone del ponte principale, sarebbe stato un barman eccezionale, anche se dalle sue parti avrebbero tranquillamente tollerato perfino il peggior sguattero. Ma se un giorno fosse arrivato il turismo internazionale anche nell'alto Minho, lui sarebbe stato pronto. Del resto il suo lavoro l'aveva obbligato ad imparare quattro lingue.
Jorge stava facendo la corte al Sogno anche sulla corriera che in quel momento lo stava portando a Lisbona per l'ennesimo imbarco (comoda, la corriera, comoda ed economica: seicentotrenta escudos per la tratta Porto-Lisboa sono davvero pochi).
Erano trascorse in un baleno le due settimane passate a casa per la festa più importante del nord: la Romaria de Nossa Senhora da Agonìa, che culmina nella processione del 15 agosto, troppo tardi per lui, accidenti!
Cullato dal Sogno e dalla strada sconnessa, Jorge si accorse dopo qualche tempo della bella ragazza bruna che gli sorrideva dal posto accanto.
«Isabela, Dio mio, Isabela...»
«Ciao, Jorge» salutò la ragazza, sorridendo.
Lo stupore inteneriva l'espressione di Jorge. Aveva già fatto quel viaggio almeno dodici volte e non aveva mai incontrato alcun conoscente. Ora proprio Isabela, la più bella ragazza del paese, la compagna di scuola dal grembiule candido, quella che parlava piano, quella che tanto tempo fa si era sposata con uno del sud, la figlia di zia Aldara. I pensieri ribollirono nella testa di Jorge esattamente in quest'ordine.
«Tuo... tuo figlio?», mormorò il ragazzo, mentre indicava il bimbo che sedeva sulle belle gambe di Isabela, sperando che lei rispondesse "No, mio cugino, mio fratello, mio nipote, il figlio di mio cognato... quale figlio?"
«Sì, mio figlio... ha tre anni!» confermò invece, involontariamente crudele, la ragazza, con la pacatezza che Jorge ben conosceva.
Il nostro prode marinero era un chiacchieratore valoroso, ai limiti della logorrea, eppure la presenza di Isabela lo intimidiva talmente che a un bel momento, d'un fiato, disse:
«Dio, il tempo che è passato! Dobbiamo raccontarci molte cose...» Già, questo biascicò Jorge, sempre più confuso. Del resto non le aveva mai parlato prima, se escludiamo i saluti all'entrata e all'uscita da scuola e i convenevoli a Natale, dai nonni.
«È della tua vita che dobbiamo parlare, Jorginho. Viaggi, sei sempre in città diverse, incontri tanta gente... io non faccio niente di speciale, lavoro nella pasticceria di mio marito» minimizzò la ragazza.
Allora lui si adattò alla situazione: «Non ho molto da raccontare, Isa... solo mare. È bellissimo tuo figlio, come si chiama?»
«Manuel»
La corriera si fermò a raccogliere i passeggeri di Vilanova de Gaya.
Jorge intanto aveva cominciato a giocare con il bambino. Era molto dolce con lui. Chissà se fu solo per il comportamento affettuoso che Jorge teneva con il figlio che Isabela, in silenzio, prese a fissarlo, con un'intensità che lo accendeva di passione. Lui rispondeva a quegli sguardi con altrettanto ardore. Per una decina di minuti continuarono a conversare di frivolezze, della loro vita da bambini e di quella attuale, finché Isabela mormorò: «Sai, Jorge, è strano incontrare... qui... proprio te... quasi avevo smesso di sperare… ti penserò molto, a casa, è inevitabile»
La ragazza parlava lentamente, quasi cercasse con fatica altra aria per le sue parole. Jorge, accortosi dell’emozione di Isabela, tentava di ricordare se fosse mai stato così innamorato. Non poteva e non voleva più tornare ad una conversazione meno profonda.
«Stai bene, ora, Isabela?»
«Ora sì, Jorge…ti penserò molto, a casa…»
Non si dissero altro.
Si guardarono a lungo, complici, in silenzio.
Si sfiorarono spesso le mani nei momenti in cui il bambino era distratto, in un gioco sottile e tagliente. Jorge si beveva con lentezza quegli istanti che per qualche motivo il destino gli stava regalando.
Sperò che il piccolo si addormentasse.
Ma non dormì.
A Jorge non restava altro che perdersi dietro i suoi pensieri:
“Dio, proprio Isabela, proprio quando credevo di essermi rassegnato… di essermi scordato quanto sia facile per me fantasticare. E adesso mi dice che mi penserà a casa… Isabela, voglio parlarti, voglio raccontarti la mia vita, i miei progetti, voglio dirti perché me ne sono andato… o sei andata via prima tu? Già, io sono partito dopo di te… ma come potevamo sapere? Ora però ho la certezza che sono sempre stato innamorato di te. E anche tu… tu… mi hai detto che adesso stai bene, e adesso ci sono io: allora ti rivelo tutto, Isa, non ti perdo un’altra volta, la sfrutto bene questa coincidenza. Appena il bambino si addormenta… tanto abbiamo tempo, siamo solo a…”
La corriera attraversò l’abitato di Espinho.
Poco dopo il piccolo Manuel, che fino ad allora sembrava non avere la minima intenzione di prendere sonno, crollò improvvisamente nel limbo dei dormienti.
A questo punto Jorge aveva campo libero. Di fianco a lui Isabela carezzava la testa di suo figlio. Aveva mani bellissime. Stonava solo quella fede all’anulare sinistro, pensò Jorge:
“Un anello diverso, meriteresti, Isa. Magari un bel rubino, che stia bene con le tue labbra. Io te lo regalerei, sai? E ti regalerei anche un ciondolo d’ambra che faccia il paio con gli occhi… invece che comprare il bar…”
Jorge stava rimandando la sua confessione, cercando con fatica le parole che avrebbero toccato più profondamente possibile Isabela. Comunque c’era tempo: la corriera, lasciando la superstrada, si diresse verso Figueira da Foz. Non erano neanche a metà del percorso. Jorge poteva permettersi di meditare:
“Voglio cambiare tutto! Basta mare, basta bar, basta solitudine. C’è un’altra vita che mi aspetta, se Isabela è d’accordo… già… ma se non lo fosse? Se, per caso, le bastasse la vita che conduce, se si trovasse bene con suo marito? Innamorata non è, questo l’ho capito… però sembra… rassegnata… e poi c’è il bambino… oh, quante idiozie, adesso le parlo… chiariamo tutto… le dico: Isabela, sono disposto a rivoluzionare la mia vita, per te, pensa un po’!… sì, ma per lei non sarà uno scherzo accettare tutto questo. Eppure dopo che le avrò parlato non avrà dubbi! Passeremo la vita insieme! Giorni, mesi, anni insieme… ma… ma saranno tutti momenti dolci come questo? Non sarà che trovo tutto meraviglioso proprio perché si tratta solo di un attimo? E se tutta questa bellezza poi naufragasse nella banalità? Al momento è così facile trovarsi affascinanti… al momento… Bah… io mi butto, poi vedremo…”
All’altezza di Nazarè, Jorge si decise, finalmente, a parlare. Isabela gli voltava la schiena, sdraiata su un fianco, una guancia appoggiata allo schienale. Jorge le infilò una mano sotto il braccio chiamandola:
«Isabela»
La ragazza rispose con un verso assonnato, prendendo la mano di Jorge fra le sue e continuando beatamente a dormire.
Jorge avrebbe dovuto svegliarla, ma era così bello restarle accanto con la mano mollemente appoggiata sul suo grembo…
Fu un tempo infinito, strano e piacevolissimo, dal gusto agrodolce.
Arrivarono a Lisbona al tramonto.
Isabela doveva tornare a casa, da suo marito. Jorge, confuso, avrebbe cercato una sistemazione per la notte, avendo l'imbarco fissato per l'indomani.
«Isabela, non scordarmi, ti prego...», azzardò Jorge.
«No...»
«Domani mattina passo a prenderti in negozio e facciamo colazione insieme» disse Jorge, che il tempo agli sgoccioli rendeva più audace.
«No...»
«Allora posso telefonarti, quando torno, per sapere come stai… fra tre mesi... sarà tardi?»
«Ciao, Jorge...»
«Addio, Isabela»
Due taxi presero, inopinatamente, strade diverse.
Quello di Jorge si fermò al Rossìo, dovendo egli trovare un albergo. Ma ad agosto, a Lisbona, non è facile scovare camere libere.
Cercando ricovero per la notte Jorge mi incontrò, sulle scale di una qualche pensione, ed ero nelle sue condizioni: stanco, con il cuore gonfio e con la prospettiva di dormire sopra una panchina, zavorrato dal bagaglio. Dalla bandierina cucita sul mio zaino, ché a venticinque anni amavo esibire icone che mi identificassero agli sconosciuti, e dalle Superga d'ordinanza dedusse la mia provenienza.
«Italiano?» si presentò Jorge, la cui voglia di parlare era evidente.
«Sì» - risposi, un po' sospettoso - «Parli italiano?»
«Sìm, sì, ho lavorato per tre mesi su una nave italiana, l'anno scorso. Cercavi una camera, vero? Anch'io, ma qui è tutto completo, prendiamo un taxi e proviamo da qualche altra parte… in periferia... o piuttosto a Benfica, va bene?»
«Sì, ma... io non ho escudos, solo lire italiane e pesetas, perché sono appena arrivato da Madrid in treno e l'ufficio del cambio è chiuso». La luminosità del viso del mio nuovo amico aveva dissipato ogni diffidenza.
«Non preoccuparti, pago io il taxi, tu domattina offrirai la colazione. Come ti chiami?»
«Giorgio.»
«Perfetto, io mi chiamo Jorge...»
Trovammo, grazie al tassista, un modestissimo quarto com duas camas sin banheiro.
Prima di prendere sonno scambiammo due parole. Cominciai io:
«Jorge, cosa fai per sopravvivere?»
«Ho un sogno...»
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0 recensioni:
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- Grazie ancora Marghe...
- questa volta 10.
Ha una grande dote, quella di far sognare le persone con i tuoi racconti.
Ancora una volta le tue parole mi hanno rpeso per mano e fatta salire sulla corriera. Ero proprio dietro Jorge e Isabela, li vedemo, li ascoltavo, ne percepivo gli sguardi dolorosamente innamorati e sentivo il rumore dei pensieri di Jorge e il peso del suo sogno.
BRAVO!
bravo...
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