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12, 36
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Sono rilassato…. non ricordo l’ultima volta in cui lo sono stato così tanto, non avverto nemmeno la solita tensione muscolare, specialmente alle gambe ed alle mascelle normalmente così continua che ormai il dolore è quasi una compagnia.
Sto camminando lentamente, ed anche se non riesco esattamente a stabilire rapporti e proporzioni tra le distanze, la cosa non solo non mi preoccupa, ma sembra costituire la mia condizione naturale.
In effetti, a pensarci, questo procedere irresponsabilmente a vista, stabilendo di passo in passo la direzione da seguire, gli appoggi da usare, cercando di non disturbare troppo col rumore prodotto dal mio spostamento, è sempre stato il mio modo preferito di navigare in questa distesa lattiginosa, perché è chiaro che, anche se dapprincipio non si distinguono, dei rami urticanti devono annidarsi un po’ ovunque, camminare sfiorando il terreno può essere un buon metodo per limitare i danni.
In ogni caso sono calmo e continuo ad avanzare.
C’è una specie di portale davanti a me ora, (o qualcosa che interpreto come tale), ed anche se incongruo con la realtà circostante, (non si distingue nulla attorno ad esso, ed in una frazione di secondo il mio cervello ha già elaborato le informazioni disponibili, e concludo che dal momento che a parte la caligine che costituisce tutto il visibile, i cardini del portale non poggiano a niente, ed attorno allo stesso non c’è niente. Esso costituisce quindi una anomalia, ma dato che ho già deciso di accettare la situazione, respingo l’informazione in un circuito neurale secondario), apro:
La giornata è calda, e seduto accanto a me al tavolo di un caffè che dà sul corso c’è un uomo con un viso inquietante, sembro io in tutto e per tutto, solo alcuni particolari differiscono; la montatura degli occhiali, il taglio dei capelli, il vestito dall’uomo indossato con disinvoltura e sicuramente più consono alla mia/nostra età rispetto alla mia consueta divisa T-shirt + Jeans, e qualcos’altro che però mi sfugge.
È più basso di me di almeno dieci centimetri, anche se da seduti è difficile valutarlo, ma non è solo quello… anche il tavolo, le sedie e tutto l’ambiente circostante sono, come dire….. sproporzionati.
Poi mi rendo conto, non è l’ambiente ad essere sproporzionato, sono io.
La verità mi colpisce come da lontano, forte, ma attenta a non farmi male; quell’uomo che sembra me è mio padre, e le proporzioni sono falsate perché quello che osserva la scena è un bambino di quattro anni che guarda il mondo da meno di un metro di altezza.
Ricordo bene il giorno, è domenica mattina, una delle rare con la famiglia riunita, senza che gli impegni di lavoro di mio padre lascino mia madre a badare a noi tre fratelli.
Talvolta in questi casi prendiamo la macchina, e mentre mia madre prepara il pranzo, facciamo lunghi giri insieme.
Ci sono due bicchieri davanti a noi, nel suo c’è della birra scura, anche nel mio dovrebbe esserci, in realtà è Coca-Cola, ma a quattro anni non conosco ancora la differenza e stare lì seduto con l’illusione di sorseggiare una Guinness con mio padre mi fa stare bene.
Non ricordavo più il suo sguardo in queste circostanze, apparentemente quasi fieramente distaccato, obliquo, ma pieno, (lo so), di orgoglio e cieca sicurezza che quel figlio è destinato a grandi cose…a grandi cose….
Quasi sono contento che tu sia morto così giovane, così da non vedere che quelle grandi cose non sono mai state realizzate, sono rimaste solo embrionici progetti mai concretizzati, potenzialità mai messe a frutto, archi gotici poggianti su colonne troppo friabili per reggerne il peso.
Mentre penso tutto questo il regista di questa rappresentazione, forse usando quegli effetti digitali che oggi vanno tanto di moda, ha cambiato scenografia ed attori.
Le proporzioni adesso sono esatte, sono in una stanza, squallida a dire il vero, c’è uno specchio, (sono di nuovo adulto, ecco perché tutto mi sembra della giusta misura), un comodino, un letto.
Su quel letto c’è mia moglie, bellissima nonostante i capillari del viso le siano tutti esplosi per lo sforzo immane ed inconoscibile per me, e non riescono a toglierle quella espressione da bambina che nella maggior parte degli uomini accende quelle pulsioni arcaiche che giacciono sotto lo strato sottile di coscienza moderna che le avvolge, e risvegliano quel desiderio di possesso e protezione al tempo stesso che ci accompagna da sempre.
C’è una minuscola testa che spunta da un fagotto che tiene in braccio, (come può essere così piccola?), ed il fluire dell’inesprimibile pura energia che scorre tra voi occupa quasi fisicamente lo spazio circostante, sembra respirare con voi, tetragona agli stimoli esterni. So che se mi avvicinassi sarei assorbito anch’io all’interno di quest’ovulo pieno di liquido amniotico cerebrale, ma preferisco osservarvi.
Mio figlio…. mentre il concetto si adagia nella mia mente sono già andato avanti di anni col pensiero, e mi accorgo che sto facendo come mio padre, e sto assaporando gli stessi sentimenti.
Chissà se anche lui, come me, pensava che anche se quel figlio, quella parte di me che vive fuori da me, dovesse restare fermo ai blocchi di partenza di questa corsa, se non dovesse essere in grado di scattare come un proiettile verso un traguardo che continuerà a spostarsi ed a rendersi sempre più difficile da raggiungere, egli non potrà comunque deludermi, perché nulla vive al di fuori di questa stanza, e nulla potrà mutare il nostro essere uno per sempre, chissà….
Adesso la realtà si è fatta solida, ma troppo inebriante per soli cinque sensi, non riesco a decifrarla tutta e so di non potercela fare.
Sono seduto su una sedia di caldo legno scuro, (venature rossastre, mogano di cuba), davanti a me un mare innaturalmente calmo.
La sedia è posta su un rettangolo pietroso blu elettrico, perfettamente squadrato, ed accanto a me ve ne sono molti altri, di vari colori, sicuramente disposti ad arte per ottenere un effetto studiato con cura mediante l’accostamento cromatico, mi ricordano le composizioni di D’Orazio.
Sopra di me, e accanto a me, e dentro di me, vibrando in maniera dissonante, si mischiano e si sovrappongono infiniti pianeti, infiniti universi, infinite possibilità, infinite dimensioni, è come se le teorie quantiche delle stringhe e dei multiversi abbiano assunto qui connotazioni fisiche, e mi invitino a scegliere una direzione tra le innumerevoli a disposizione, ma non ho fretta, mi sistemo ancor più rannicchiato sulla mia sedia, non bado a questa luce troppo forte sulla mia testa, a questo suono lontano eoni che mi ricorda delle voci, e contemplo gli infiniti che mi fluiscono dentro.
“Cristo, è inutile! basta così, non c’è altro da fare maledizione. Infermiera scriva…. ora del decesso 12, 36”
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0 recensioni:
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- Bellissimo, sia per il contenuto che per la grande efficacia rappresentativa, sembra di vederle queste scene tra sogno e realtà
- Giuliana è unica grazie ancora.
- D'accordo con Giuliana, bravissima in tutto, anche nei commenti. Bel racconto, davvero bello.
- Si legge volentieri, scorrevole e ben scritto. Ciao.
- Giuliana riesce a fare (quasi) arrossire un quarantenne. Non è facile.
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