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Un sorriso non fa mai male
Scena 1 settembre 1943
Piazza principale del quartiere.
Presidio 2° reggimento motorizzato SS-Panzer-Grenadier-Division "Reichsführer-SS"
Il portone di legno massiccio si schiuse. Ne uscirono otto soldati che si disposero su due file dandosi le spalle gli uni con gli altri e imbracciando fucili mitragliatori MP-40 si guardarono intorno. Il loro sguardo feroce celava la paura di un imminente attacco delle brigate partigiane che circondavano il paese. Una Mercedes nera con gli interni in pelle rossa frenò bruscamente davanti ai soldati e solo allora uscì dalla porta con passo deciso e cadenzato l’SS-Untersturmführer e i suoi due attendenti.
Non fecero in tempo a salire sull’auto. Da più balconi in un caos frenetico i cecchini cominciarono a sparare in un convulso cielo di piombo. Il loro fuoco era devastante e gli uomini delle SS colti di sorpresa caddero in breve tempo. L’SS-Untersturmführer venne colpito alla testa, un proiettile gli bucò il suo impeccabile berretto facendogli saltare il lucente distintivo che finì in un tombino li vicino. Il proiettile proseguì il suo viaggio e andò oltre la calotta cranica, nella sua materia cerebrale e poi su una panchina di granito. Era morto. Gli altri colpi su quell’elegante divisa nera furono soltanto la conseguenza di un’ira che avrebbe voluto uccidere quel cadavere una volta di più. Era morto e la vendetta era compiuta. Era morto e se n’andarono via come fantasmi.
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Scena 2 settembre 1993
Piazza principale del quartiere.
Andrea, 16 anni ascoltava nel lettore cd una suite strumentale di Mike Oldfield forse troppo rilassante per accorgersi di ciò che intorno si muoveva e viveva. Gli studenti scocciati alla fermata del bus, ansiosi di arrivare in tempo per la puntata dei Simpson, l’edicola con le ultime su Lady D, il cinema con l’ultimo film su Twin Peaks di David Lynch… tutto questo era soffuso dalle note eteree di quel crescendo di campane tubolari. Quel quartiere stava vivendo intorno a lui, ma non ne fece caso. Non fece caso all’istintivo movimento delle sue chiavi attorno al suo dito indice come un novello secondino… non fece caso al pavè dissestato e fu così che le chiavi finirono in un tombino, subito dopo una rovinosa caduta. Disperato per l’accaduto chiamò degli amici per riuscire ad aprire quel tombino in disuso, dopotutto era da una sola settimana che il padre gli aveva affidato “le chiavi di casa” e non si discuteva sul fatto che erano da recuperare. Sembrava fosse stato chiuso per un secolo, ma una volta aperto fu facile recuperarle grazie a un idea del suo amico Gigi, un manico e una potente calamita… ne venne fuori un ricco bottino monete da 500 e 100 lire, pezzi di ferro, linguette di lattine, una spilla a forma di teschietto, chiodi! Andò alla mitica fontanella della piazza che l’aveva salvato più volte nell’arida estate appena passata e sciacquò alla meglio le chiavi e tutto il resto, per se si tenne solo quella curiosa spilletta da pirati. La esaminò attratto dal sogghigno che aveva quel teschio e istintivamente se l’appuntò al bavero destro della sua giacchetta di velluto blu. La sera andò a mangiare dai nonni che abitavano dall’altra parte della piazza in un palazzo dell’inizio secolo. Quando arrivò alla porta dei nonni, maledì tutti quei piani a piedi e il padre che lo accompagnava gli diceva che lui da piccolo le faceva in un lampo! Andrea bussò alla porta, quando il nonno aprì e vide il nipote, sul suo volto si dipinse l’angoscia e sembrò svenire, quasi gli venne un infarto. Per figlio e nipote furono momenti di panico, ma tutto ritornò poi alla normalità. Suo nonno non fu più lo stesso e non volle mai raccontare cosa l’aveva sconvolto. Da quel giorno perse il suo proverbiale sorriso.
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Scena 3 settembre 1943
Dal balcone di casa Piombis sulla piazza principale del quartiere.
Il partigiano 25enne Enzo, aveva regolato il mirino del suo fucile di precisione russo e aspettava solo il momento. Aspettò che uscissero gli otto soldati. Aspettò che uscisse il sottotenente delle SS responsabile della morte di suo fratello e di alcuni suoi compagni. Guardò quel suo viso impassibile e freddo attraverso il mirino e vide il teschio del suo berretto da ufficiale che gli sorrideva, che si divertiva a guardarlo, gli ricordava quando ridendo quell’uomo gli aveva ucciso il fratello maggiore. Il suo indice premette il grilletto con odio e mirò quel sogghigno. Gli altri colpi vennero da soli, meccanicamente e istintivi. Si stupì, era contento, non avrebbe più dovuto rivedere quel sogghigno, avrebbe pensato al figlio che stava per nascere e che non poté conoscere mai lo zio. In quel momento si sentiva svuotato, soddisfatto. Dovette dimenticare gli orrori di quegli anni, era un uomo che odiava e che aveva fatto una cosa orribile anche se allora aveva il dolce sapore della vendetta. Stava per avere un figlio e aveva appena ucciso un uomo o quello che era. Non avrebbe più voluto ricordare quel sorriso, ma il destino è strano, e la coscienza forse domani o forse fra cinquant’anni gli avrebbe bussato alla porta ricordandogli ciò che aveva fatto. E quando fosse avvenuto, sarebbe sparito il sorriso che con fatica aveva conquistato, con la nascita di suo figlio, poi di suo nipote e di tutte le intense emozioni che la vita gli aveva dato. E c’è da chiedersi se davvero un sorriso non fa mai male.
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