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Cacciando via la luna
Se ne stava lì. Sotto le bianche lenzuola di cotone del suo letto.
La testa schiacciata contro il cuscino ed i lunghi capelli corvini a coprirle il viso triste e umido di lacrime, solleticandole il naso leggermente aquilino.
Quella notte non aveva dormito. La luna aveva bussato cosi tante volte contro la finestra di quella camera da letto da rubarle il sonno ogni qual volta, aveva avvertito i suoi occhi venirne sommersi.
Che bastarda che era stata la luna quella sera! Lei l'aveva guardata un unica volta, una sola timida sbirciatina, dandole il permesso di essere ospitata nella sua iride azzurra ed essa si era arrogata il diritto di entrare nella stanza senza averne avuto il permesso.
I vetri della finestra, troppo sottili, non le avevano impedito di rimanere fuori e dopo tanto picchiare contro le imposte chiuse per farsi aprire, aveva fatto violentemente irruzione tra quelle quattro strette pareti pitturate di rosa, penetrando da una piccola fessura della tapparella socchiusa, infilandosi subdolamente nel letto accanto a lei.
Aveva dormito abbracciata a quel corpo di donna nudo dalla testa ai piedi, per tutta la notte, ma lei, al contrario non era riuscita a chiudere occhio.
Era troppa la luce che amava quell'astro splendente. Troppo il bagliore che le feriva gli occhi traditi dal pianto. Pesante il bagaglio di dolore e spine che aveva posato sul cuscino accanto al suo volto.
Bugiarda quella luna! Menzognera e falsa come colui che gliela aveva promessa.
Lui, stupido uomo insipido che l'aveva ingannata con le sue bugie infami.
Lei fragile farfalla che gli aveva creduto ciecamente e si era lasciata acciuffare per la punta delle labili ali, senza sapere di venire aggiunta ad una collezione di giovani vittime, schiacciate dal peso di una colpa che non avevano mai commesso.
La luna. Avrebbe voluto strapparla in mille pezzi, ridurla in tanti coriandoli e rispedirla nel cielo a fare compagnia alle invidiose stelle.
Frantumata e defraudata. Dentro e fuori. Sulla pelle e sotto le costole. Cosi si sentiva lei al di sotto di quelle leggeri coperte che non la proteggevano dal male, mentre le mani aperte sfioravano la pancia e le natiche nude, cercando di cancellare via le traccie di quel sudicio uomo che le aveva insozzate con lo sporco liquido di un amore falso e bugiardo.
Quella notte aveva perso la parte più preziosa del suo corpo. Ciò che la rendeva pura e vergine. L'aveva data via come fosse stata acqua fresca, ingannata da vane illusioni d'amore ormai tradite.
Certo, era stato bello. Lui l'aveva fatta sentire donna per la prima volta. Lui le aveva fatto scoprire cosa fosse il piacere. Lui l'aveva presa con se sbattendola violentemente contro il suo corpo muscoloso e strappata via a quel mondo di favole dove aveva vissuto fino a poco prima di cozzare contro la durezza della realtà.
Lui.. sorrido bastardo che si era preso il gioco della sua età e della sua inesperienza.
Lei, piccola signorina che aveva appena soffiato sulle candeline dei suoi 15 anni, non capiva... non sapeva... non immaginava...
Credere a chi ti promette la luna? Forse si o forse no. Dipende da quello che desidera in cambio e lei gliela aveva dato senza sapere, senza ragionare. Ma in fondo cosa era? Cosa aveva significato dare via la sua adolescenza?
Aveva sentito dolore. Si, tanto. Ma poi era stato inebriante e la sua lingua aveva assaporato il miele della sua pelle ed il fiele del suo sudore.
Via. Nuda. Cruda. Spoglia. Senza pelle. Senza anima. Lui si era preso tutto. Anche il suo male più intimo. Anche la sua vergogna.
Strappata. Stropicciata. Schioccata. Sbattuta. Scarnificata. Quante S aveva disegnato sul suo corpo immaturo quel figlio di puttana!
Eppure lei l'aveva lasciato fare senza opporre nessuna resistenza.
Era stato cosi gentile e delicato, quando, in quella stessa tiepida sera di fine d'estate, l'aveva portata a passeggiare con se, tenendola a braccetto, tra le giostre e le luci colorate del piccolo luna-park della città, che si trovava a pochi passi dal mare.
Un giro sulla ruota panoramica, quasi a sfiorare il cielo gonfio di stelle e la luna argentea e paffuta, che giocava a nascondersi tra le fronde rigogliose degli alberi.
Era stata quella stessa luna bastarda, che ora tanto odiava, a fare da testimone ai loro baci appassionati, suggellando quell'amore, nato tra i banchi di scuola.
Lui, il suo nuovo professore d'italiano e lei la giovane e procace alunna che aveva perso la testa per quella sua aria giovanile e leggermente dandy.
Nonostante li separassero ben 20 anni di differenza, lei non si era fermata a pensare a ciò e si era fatta avanti palesando le sue avance, al fascinoso professore.
Ma che importava poi? Che importanza poteva avere l'età se tra due persone sbocciava l'amore? L'amore vero. Quello Con la A maiuscola. Quello che non guarda in faccia a niente e nessuno, figuriamoci a quelle due cifrette, non perfettamente combacianti che contrassegnavano l'età ... o almeno questo era stato ciò che aveva voluto fargli credere lui.
Che ingenua che era stata! Come aveva potuto cadere in quella ragnatela da lui intessuta, come la più inesperta delle farfalle? Come aveva fatto a non accorgersi che tutto quello che desiderava da lei era solo possedere il suo giovane e plasmabile corpo ancora da istruire alle gioie dell'amore.
No. Non bisogna mai credere a chi dice di poter afferrare la luna dal cielo e depositartela tra le mani, cosi come lui le aveva promesso durante quel breve giro di ruota che li aveva condotti a sfiorare il cielo con un dito, tanto da rimanerci impigliati con le unghie.
Era stato solo quando era scesi da essa che lui si era fatto avanti domandandole se, quella sera aveva voglia e si sentiva pronta per fare l'amore.
Aveva avvicinato la bocca al suo orecchio arrossato dal vento e dalla salsedine del mare, solleticandoglielo e stuzzicandoglielo con il suo respiro caldo, avanzando la sua peccaminosa proposta.
Lei aveva avvertito il cuore salirle in gola per l'imbarazzo del momento e per poco non si era strozzata con la sua stessa saliva, finendo per tossire e arrossire violentemente in volto.
Le parole non erano riuscite ad uscirle dalla bocca prontamente, rimanendo bloccate all'interno del suo corpo incastrate tra il respiro dei polmoni e il gorgoglio dello stomaco.
Le era bastato uno sguardo ed il cenno affermativo della testa a comunicargli il suo timido assenso.
Cosi si erano diretti, a bordo della sua macchina, in casa di lui.
Quella sera lei aveva mentito ai suoi genitori, facendogli credere che, quella notte, l avrebbe trascorso dormendo a casa di un amica di scuola, con la quale avrebbe ripassato la lezione di storia del giorno successivo.
Si. Altro che lezione di storia. Quella sera aveva intenzione d'imparare ben altra cosa, per la quale non occorrevano ne libri e ne quaderni per apprenderla.
Una notte. Un intera notte a sua disposizione ed un letto scomodo, scomposto e sconosciuto, dove lui le aveva strappato subito i vestiti, le mutandine ed il reggiseno nero di dosso, mettendole a nudo i piccoli seni immaturi e le curve del suo corpo adolescente ancora spigolose e dritte, appena accennate a trasformarsi in quelle di una fascinosa donna.
In quell'istante aveva avuto paura. Tanta paura. Non aveva immaginato che lui avesse potuto essere capace di una tale irruenza.
Solo allora le erano tornate alla mente le parole della sua compagna di banco, a cui aveva confidato la sua passione amorosa per il professore, la quale le aveva consigliato d'interrompere la loro relazione perché si stava infilando in un brutto guaio.
Ma lei non aveva voluto ascoltarla. Aveva creduto che fosse stata tutta invidia la sua e che quelle accuse fossero infondate, ingiuste e senza senso... ed invece...
Dolore. Graffi. Morsi. Il suo corpo era stato torturato dal suo impeto animale, dalla forza bruta con la quale le aveva bloccato le braccia impedendole di reagire alla volontà delle sue azioni ferine.
Aveva creduto di morire quando una chiazza rosso sangue si era sparsa sotto il suo bacino macchiando di scarlatto le lenzuola bianche del letto.
Non ricordava quando era durata quella sorta di accoppiamento animalesco. Ore. Minuti. Non lo sapeva. Non aveva con se l'orologio. Il tempo si era fermato e dilato e lei si era trasformata in un elastico sul punto di spezzarsi da un momento all'altro, oscillando tra terrore e piacere.
Piacere. Si. Piacere.
Perché nonostante tutto l'aveva inebriata ed eccitata fare l'amore con lui ed anche se quella era stata la sua prima volta si era sentita già come una donnina matura, pronta a soddisfare ogni sua richiesta amorosa... anche la più spinta.
Tutto si sarebbe aspettato da lui.. tutto. Tranne quella risata amara e puzzolente di tabacco e birra, che le aveva rivolto staccandosi dal suo corpo ferito, dicendole che era ancora una ragazzina incapace d'amare e che fare l'amore con lei era stato come essere stati assieme ad una fredda ed inutile bambola gonfiabile.
Le aveva riso in faccia con una tale sfacciataggine, che lei si era sentita assalire da un violento conato di vomito e per poco non aveva vomitato lo zucchero filato sul suo cuscino.
Ancora una risata e lui le aveva voltato crudelmente le spalle larghe, gettandole i suoi vestiti stropicciati contro il viso rosso di delusione, ordinandole di rivestirsi in fretta e tornarsene da dove era venuta, perché, ormai da lei aveva ottenuto tutto quello che desiderava e non sapeva che farsene del resto che ne rimaneva, perché in fondo non le era mai piaciuta, ma era sempre stato stuzzicato dall'idea di fare l'amore con lei, come era già successo in precedenza con le altre sue giovani alunne.
Allora non aveva resistito. Lo stomaco le si era rivoltato tutto di botto, rovesciando il suo contenuto sulla moquette grigia e puzzolente, con la quale era tappezzato l'intero pavimento della stanza.
A quel punto lui non ci aveva su pensato due volte. L'aveva sollevata di peso tra le braccia e senza nemmeno darle il tempo di pulirsi e rivestirsi, l'aveva buttata fuori dalla porta del suo appartamento.
Barcollando. Zoppicando. Strisciando. Camminando a carponi.
Era cosi che aveva fatto ritorno a casa, rischiando di essere messa sotto da una decina di macchine.
Quando era giunta vicino alla porta della sua casa, aveva raschiato contro di essa, come un animale ferito, cercando d'infilare la chiave nella toppa, riuscendosi solo al quinto tentativo.
Si era spogliata di nuovo, infilandosi sotto le lenzuola senza nemmeno farsi una doccia, anche se la sua pelle emanava uno sgradevole fetore di acido e sudore.
Era rimasta lì. La testa rivolta verso la finestra semichiusa, premuta sul cuscino bagnato di lacrime, mentre quella luna bastarda aveva cominciato a bussare contro le imposte verdi, insistendo per tenerle compagnia, solleticandola con quella luce sfacciata e mantenendo i suoi occhi aperti.
Era rimasta lì. Attendo che il finire della notte, la liberasse dalla presenza indesiderata di quella luna senza pietà,.
Era rimasta lì. Soffocando nella luce di una nuova alba che da innocente bambina l'aveva tramutata in una triste donna, intrappolandola e aggrovigliandola in un rovo di spine affilate, privo di rose pronte a sbocciare...
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