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Ma cosa ne sai
Dice: ma quando l'hai conosciuto? Mi fa con quella faccia inquisitoria, che solo quando si mette in testa di rompere veramente, le viene proprio bene. Le faccio, quest'inverno a febbraio. Anzi a dire il vero due anni prima l'avevo incontrato già una volta. Mi fa, con la solita faccia da cazzo, le facce che non sopporto e prenderei a schiaffi, se non fosse che lei aspetta solo quello per correre dall'avvocato a tramare contro di me, dice, mi fa: e come si chiama 'st'amico scrittore? Riccardo, faccio io, perché, che c'è che non va? Lei mi guarda qualche secondo. Non parla. Sembra alimentare il disprezzo, coltivando il disamore che si accresce istante dopo istante in quello spazio di silenzio che separa la risposta dalla domanda precedente e che si dilata nel silenzio. Tace ancora qualche momento. Cinque, sei, non un'eternità, una manciata di cazzo di secondi che mi permettono di annusare nell'aria l'olezzo degli ormoni che la preparano alla lotta. Poi finalmente, quando orami disperavo una risposta dice: Riccardo chi? Riccardo Merli faccio io. Contenta adesso? Dovresti vederla, cazzo! Dovresti vedere quella faccia. Dio come la odio! Ti sta davanti, sembra che ti guarda ma non lo fa, calcola solo il momento per affondare la zampata. Si siede sulla poltrona di alcantara fingendosi rilassata. Io non la sopporto quando vuole far vedere di essere calma. Si sente superiore, ne è convinta. Distilla gocce di sapienza miscelate col veleno. Pensa di dominare la sua ira, in realtà la lascia espandere nella sua mente, ne fa una cosa enorme, un ribollir di fiele che lascia scendere nelle viscere e spruzza improvviso quando coglie il tuo rilassamento. Ma non me la fai. Stavolta non lo permetto. Ah, quello, dice. Si. Quello, faccio io. Mi risuona ancora il tono con cui ha sputato quelle sillabe. Ci sono frasi che devi sentir suonare direttamente per comprenderne il reale intendimento. Si fa presto a dire quello. È quell'aria di sapienza e superiorità, quella spocchiosa essenza di disprezzo che rendeva unica la sua frase. Ah, quello! E dietro, tutto un mondo non espresso di invidia e di ignoranza, di risentimento e pura gelosia. Poi mi fa: ti sei chiesto il perché di questa strana amicizia? Non ci ho visto più. Ma che cazzo ne sai tu di me per intrometterti nei miei affetti? Che diritto hai di dubitare su fatti che non ti riguardano? Solo perché siamo costretti ad incontrarci ogni tanto in un luogo comune per pure esigenze logistiche ti senti autorizzata a disquisire su di me e sulla mia vita?
Sentivo il sangue fluire su per il collo e l'ira prendermi improvvisa incapace di essere frenata. Mi sono spaventato delle mie stesse reazioni, ma senza prender fiato, la faccia di fronte la sua, continuavo ad urlare: non pensi che una persona possa esser interessata ad un altra per motivi del tutto estranei alla tua logica perversa? Credi che ci debba sempre essere un motivo sull'empatia che puoi trovare tuo malgrado? E la guardavo, e urlavo, con gli occhi sgranati e il cuore in subbuglio.
Afferrai una sedia, la girai di schiena, mi sedetti con le gambe a cavalcioni, le braccia appoggiate alla spalliera come un attore americano. Presi fiato, abbassai lo sguardo. Lei sbigottita, con un fil di voce mi fa: ma che cazzo c'hai? Io: niente, non ho niente. Solo che non ne posso più dei tuoi giudizi. Poi con calma e una punta di rassegnazione le spiegai, in realtà chiarendo a me stesso. Non so che cosa sia successo, ma ho visto in lui tante cose giù nel profondo. Ho soppesato le sue parole, le ho lette, le ho ascoltate. E mi sono fatto un mucchio di domande. Ho ritrovato in quell' artista un uomo così sfaccettato, complesso e semplice al tempo stesso, più di quanto possa immaginare.
Lei si alzò. Fece due o tre passi verso la cucina ma poi tornò indietro verso di me. Immaginavo la zampa morbida e stondata della tigre che retrae gli artigli e ti incute tenerezza, con la sua rotondità, se solo provi a cancellare l'idea di ferale potenza che un suo scatto repentino può generare.
Mi fa: povero Luca, quanto devi crescere ancora!
Io senza più guardarla ho ripensato ai giorni che mi hanno unito a quell’ uomo, agli interessi in comune, alle sue vicende e alle mie, alla sua arte e la sua cultura, e poi alla mia. Io che sono sempre stato pigro, anche a chiarire dentro di me i miei veri intendimenti, sentivo che nel suo interessarsi anche a me ci fosse un qualcosa di autentico, e un riconoscimento anche di me stesso.
Forse è per questo che ho preso un maglione, quello verde, che lei disprezzava, quello un po' stinto, le chiavi della macchina, il passaporto e la patente e sono uscito di casa. Prendi il latte quando torni, mi fa con quella sua voce stridula.
Prenditelo tu, le faccio, e lascio socchiudere la porta con un leggero scatto senza farla sbattere.
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- La situazione è trasparente.
Nessuno è perfetto.
Necessari tanti cazzi?
- Efficace la descrizione dello stato d'animo maschile in questi frangenti. Sarebbe curioso scrivere la stessa storia del punto di vista opposto.

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