racconti » Racconti autobiografici » W. S. T. 84 (dieci passi dal Nirvana)
W. S. T. 84 (dieci passi dal Nirvana)
Scendiamo dal treno alle sei del mattino, un freddo maligno e le giunture in sciopero ad oltranza.
Diciassette ore di treno si fanno sentire, ma l’eccitazione di essere qui, a poche ore dall’evento, agisce come un miorilassante psichico, e dopo pochi passi quasi non sento più niente.
Gli altri si aggirano tra la sala d’attesa e la biglietteria come zombies in attesa di trovare una vittima da scarnificare, è la prima volta che vengo a Bologna, e c’è una cosa che voglio subito vedere: un orologio, posto nel piazzale antistante la stazione e fermo a segnare un orario, le 10, 25, che mi ricorda un giorno di quattro anni fa. Quel due Agosto ero in vacanza con i miei, come sempre, una di quelle estati alle isole che ricordo con doloroso piacere ritornando con la mente a quando non sapevo che non sarebbero più tornate, e, passando per caso davanti al televisore acceso nel salotto di quella casa presa in affitto per le ferie, un programma interrotto, un annuncio con voce spezzata, la famiglia che a poco a poco converge davanti allo schermo, l’incredulità, ed i miei dodici anni che mi impediscono di realizzare compiutamente quanto accaduto; poco male, questa società mi darà tante occasioni per rifarmi. Questo brevissimo pellegrinaggio privato non ha alcuna relazione con il motivo della nostra presenza qui, e probabilmente gli altri neanche hanno pensato per un momento a quella mattina del 1980, certe volte è meglio avere meno coscienza delle cose, ed i miei diciassette anni talvolta hanno un peso specifico superiore a quello che dovrebbero avere, e non sempre è un bene; torno dagli altri.
La città è probabilmente molto bella, ma a noi non interessa e comunque non abbiamo modo di girare, abbiamo solo un pensiero fisso, raggiungere il teatro tenda, anche se mancano molte ore al concerto; un’occasione unica: una data del World Slavery Tour degli Iron Maiden.
Non importa la distanza, non importa la stanchezza, dovevamo esserci e ci siamo.
Ci rifocilliamo in un locale della Piazza e poi prendiamo un autobus, la location dell’evento è distante, e durante il tragitto ho modo di osservare i miei compagni di viaggio, Giovanni, alto, muscoloso, quadrato, capelli corti, (sarà forse l’unico stasera), naso aquilino e sguardo da duro. Antonio, il fratello, stesso tipo, solo un po’ più basso e capelli lunghi. Jock, basso, tarchiato, ed aria da attaccabrighe. Seba, esile, sempre un po’ a disagio e già stempiato prima della maggiore età; io lo diventerò tra qualche anno, ma per ora mi godo la mia criniera.
Rifletto sul rapporto che ci lega, difficilmente comprensibile da quelli che ci guardano dall’esterno e non vivono determinate situazioni, sono il mio clan, la mia band, quelli con cui passo la maggior parte del mio tempo e con i quali la condivisione della passione per una certa musica crea legami di sangue psicologici che mi sembra non possano essere intaccati da nessun acido sociale, e che trasmette appartenenza, vincolo, dedizione, lealtà, sicurezza.
Le stesse sensazioni primordiali che forse che provavano i nostri progenitori quando, tornando dalla caccia, sentivano di appartenere alla tribù, e di non essere insopportabilmente soli.
A quel tempo mi sembrava davvero che potesse durare per sempre, e stavo bene.
Siamo arrivati, non c’è ancora nessuno, meglio, possiamo piazzarci in posizione strategica per occupare i posti migliori, si vocifera di un set magnifico e stare davanti è fondamentale, ci sarà da farsi largo in ogni modo possibile.
A poco a poco lo spiazzale si riempie, tutta gente come noi, un mare di “chiodi” con maxi toppe sul retro, jeans coperti di scritte, e capelli fino alla cintola, cinturoni torchiati, T-Shirts serigrafate; gli accenti sono in prevalenza Nordici, ma non importa, siamo tutti della stessa crew, siamo tutti uno.
Dio, comincia il sound-check, ecco…. lo sferragliare metallico del Fender Jazz Precision di Steve, è lui…. cosa? Stanno aprendo i cancelli? Cazzo, dobbiamo correre, correre!
Mi fiondo verso le transenne mentre centinaia di altri hanno avuto lo stesso pensiero ed è inevitabile trovarsi compressi all’inverosimile contro i cancelli che intanto, invece, sono rimasti chiusi.
Ora fa caldo, molto caldo; sono tra i primi, altre decine si accalcano, spingono, ci comprimono, sembra l’Heysel ed il rischio è concreto, mi sento svenire, non respiro, non respiro…. ecco….. la polizia carica quelli che spingono: urla, bestemmie, manganellate, corse, sudore, sangue; in breve l’ammasso informe di corpi si smembra, si disperde, sciama impazzito, aria…. aria finalmente….. siamo rimasti in pochi a non mollare la presa ed alla fine aprono davvero, non sento più dolore ed entro correndo sotto il tendone, mi piazzo a dieci passi dal palco, un po’ sulla destra, verso il torrione di amplificazione.
Ora potete fare quello che vi pare, io di qui non mi sposto.
Le nove e trentacinque,… BUIO…. che succede? Che succede? Non sento niente, non capisco niente, qualcosa si muove nell’oscurità ….
ESPLODONO!!!
Esplodono tutti i fari all’unisono! Luci strobo, fasci laser verdi e blu, faretti rossi e luce bianca che invade il cervello, tutti puntati verso di noi!
Cosa si muove dietro il muro luminoso? Non vedo, non vedo….
Dopo qualche secondo la retina si abitua e la prima immagine decodificabile è la sua, è lui, Steve Harris, piegato verso di me, mi guarda, stringe il basso puntandomi contro la paletta e digrignando i denti, come nei posters.
In quella posizione i capelli lunghissimi pendono quasi fino a terra e dal muro di casse mi sta investendo in pieno “Aces High”, volto lo sguardo verso il resto dello stage, Dickinson si agita come posseduto brandendo il microfono come un arma; la coppia delle asce Smith/Murray sta sfruttando il lavoro di fino di McBrain dietro le pelli per far scorrere sicura la melodia sostenuta dallo scheletro delle note profonde del basso, la musica mi prende, mi penetra, mi possiede, ogni colpo del pedale sulla cassa mi alza verso la sommità del tendone e poi, quando la bacchetta colpisce il crash, mi scaraventa sul terreno di terra battuta, poi le scale pentatoniche mi artigliano le viscere e mi rimettono in piedi.
Per un attimo riprendo il controllo, guardo l’ambiente, guardo tutti gli altri attorno a me e so che stanno vivendo le mie stesse sensazioni, ed ancora siamo uno…. siamo uno…..
Mi rivolto verso il palco, guardo con l’ultimo respiro cosciente, e prima mi mollare l’ultimo appiglio terreno per le prossime due ore, capisco che sono a dieci passi da Nirvana.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Ti ringrazio , vita vissuta.
- Niente da dire, sei davvero bravo. Ciao.
- Qualcuna me la concedo ancora Sara, negli ultimi mesi Deep Purple e Glenn Hughes Pensa che ero accreditato per il concerto del trentennale dei Maiden della settimana scorsa, (con possibilità di partecipare alla conferenza stampa dei Motorhead e non sono potuto andare x motivi economici), e quest'estate, sempre soldi permettendo, un paio di festivals vorrei farmeli assieme a mio figlio.
- Bel racconto, bella esperienza, chissà che emozione...
- Ti ringrazio, intanto se vuoi puoi leggere i racconti precedenti, mi farebbe piacere un commento da uno come te, ciao.
- ragazzi su questo sito c sono Scrittori veri... eccone qua uno... grande francesco... aspetto il prossimo. ciao, duccio.
- Ti ringrazio.
- Ciao! Io non sono un'esperta in materia, ma il racconto mi è piaciuto davvero tantissimo! Complimenti!!!
- Assolutamente no, come sostengo dall'epoca del racconto, le partiture sinfoniche hanno parecchio in comune col metal, e se tu ti facessi un giro in certi settori del metal moderno rimarresti molto sorpreso. Se vuoi puoi richiedermi qualche piccolo consiglio, oppure ti rimando al portale per cui scrivo e che trovi nella mia scheda
ps - negli ultimi mesi ho visto Deep Purple e Glenn Hughes, live reoport nel portale.
- Ottima descrizione di un evento Metal. Io sono più rocchettaro anni 60/70, ma non disdegno capatine metalliche (le prime) Deep Purple, Iron appunto, come pure amo la sinfonica. Strano no?. Ciao a rileggerti.
- Ti ringrazio, del resto è il mio settore
ps - i cinturoni sono "borchiati", non "torchiati", il correttore automatico di word talvolta è un po' ottuso.
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0